Polemiche intorno a due progetti di centri culturali commissionati dalla Russia in Crimea e Siberia allo studio viennese
Kemerovo, Sebastopoli, Kaliningrad, Vladivostok… quattro luoghi connessi all’epopea nazionalistica russa. Come Kaliningrad (l’antica Königsberg), sovietizzata nel dopoguerra ma celebre in Europa come luogo natale di Immanuel Kant, che qui vi è sepolto. O Sebastopoli, città ucraina ben nota a noi italiani per l’intreccio politico con le nostre guerre di indipendenza, oggi occupata dalle truppe russe nonostante le sanzioni economiche europee e una risoluzione dell’Onu. In queste quattro città, accuratamente scelte per il loro valore strategico, Vladimir Putin ha personalmente deciso di costruire entro il 2023 dei giganteschi complessi culturali, destinati a celebrare la grandezza della nazione russa e della sua illuminata guida politica.
“Putin non è Hitler o Stalin”, assicura Wolf Dieter Prix, fondatore del celebre studio viennese Coop Himmelb(l)au, cui è stato affidato il progetto di due di questi colossali interventi, rispettivamente a Sebastopoli e a Kemerovo. Dopo il clamore suscitato da questa notizia, Prix ribatte assicurando che il suo progetto non rientra in alcun modo nel novero delle attività proibite dalle sanzioni internazionali. Sembra che, almeno formalmente, sia proprio così, nonostante l’Ue abbia vietato di offrire alla Russia di Putin qualsiasi forma di supporto materiale o tecnologico dopo l’invasione militare della Crimea. Ma, come sostiene in punta di codice Prix, i progetti per la cultura non rientrano nelle sanzioni economiche applicate alla Federazione russa, quindi sono regolari. Forte di illustri pareri legali, egli sta continuando a progettare i due mega-complessi voluti da Putin, assieme ad altri noti studi di architettura che, secondo la stampa internazionale, sarebbero stati selezionati per ricevere analoghi contratti: Snøhetta per Kaliningrad e Asymptote per Vladivostok.
Questa disponibilità pronta ed illimitata delle “grandi firme” a mettersi a disposizione di governi totalitari è indice di spregiudicatezza commerciale. In gioco ci sono grandi studi di progettazione, con filiali tra Europa e Cina al pari di una holding internazionale, con necessità di bilancio e precise strategie di marketing e, proprio per questo motivo, privi di alcuna remora ad annoverare fra i propri committenti governi stranieri che usano la loro opera come mero strumento di propaganda politica. Accade così che le forme aerodinamiche del “gabbiano” di Coop Himmelb(l)au in Crimea si staglino come sfondo all’eroico monumento dell’assedio alla città [immagine di copertina]. Una coincidenza?
Il caso dei progetti russi è emblematico ma non certo isolato; il rapporto fra architettura e totalitarismo è sin troppo noto per suscitare ancora oggi sorpresa. La contaminazione fra retorica e architettura è tuttora praticata in molte delle ex repubbliche sovietiche e nel mondo asiatico, dal Kazakistan alla Cina. Ogni governo per celebrare se stesso ha sempre fatto ricorso ad architetti disponibili e al gigantismo delle opere. Senza rispolverare la sfrenata passione di Adolf Hitler per i piani di Albert Speer, ci è sufficiente ricordare la disinvoltura con cui Philip Johnson affermava a gran voce che avrebbe volentieri lavorato col diavolo in persona pur di costruire qualcosa. Naturalmente è diritto di ogni architetto fare il possibile per ottenere un incarico professionale; nessuno lo contesta. Ben diversa è, però, la condizione di chi, pur potendo dall’alto della sua fama sostenere istanze culturali innovative, decide opportunisticamente di realizzare i piani megalomani di un governo condannato da tutte le organizzazioni politiche internazionali. Questo è solo cinismo.
È per questo motivo che, in queste ultime righe, non vogliamo neanche parlare di quel poco di architettura che appare dalle immagini, ma solo del rispetto dovuto alle popolazioni locali che soffrono i morsi della crisi economica e sanitaria, e a cui poco importa se, rivolte ai quattro punti cardinali, sorgeranno davanti ai loro occhi scintillanti cattedrali nel deserto. Poniamoci perciò una scomoda domanda: l’architettura è solo un’impresa economica o anche un atto culturale e sociale?
About Author
Tag
architettura e politica , russia
Last modified: 18 Dicembre 2020