La pandemia cambierà i contratti di commissione d’opera tra imprenditore e designer? Riflessioni sulle possibili evoluzioni delle forme di collaborazione nelle industrie creative
Settembre 2020 è stato un mese particolarmente interessante per chi si occupa d’indagare l’evoluzione dei processi di design, dalla gestazione di un’idea creativa fino alle ricadute prodotte dalla stessa nell’economia tricolore e comunitaria. Da un lato sono stati registrati “rimbalzi” insperati (molte industrie creative hanno dichiarato non solo di essere tornate ad ordinativi pre-Covid, ma in alcuni casi superiori allo stesso periodo del 2019); dall’altro ci ha restituito nuovamente una situazione d’incertezza (poderoso aumento dei contagi su scala globale), confermando le previsioni di un autunno tutt’altro che tranquillo dal punto di vista sanitario. E di conseguenza incerto se immaginiamo tutte le possibili conseguenze dovute a nuove chiusure localizzate o lockdown generali. È come se settembre avesse definitivamente confermato che l’unica vera strategia praticabile dall’essere umano nel corso di una pandemia è la capacità di modulare entrate e uscite da un guscio di protezione, in perfetto stile tartaruga, ovvero individuare stili di vita, modelli di business e strumenti lavorativi adattabili. Ma quello che più ci ha sorpreso è che, in merito a quest’ultimo punto, le collaborazioni tra i creativi e i loro committenti, principalmente tra designer e imprese, stiano gradualmente trasformandosi, valutando e sperimentando contratti atipici, inimmaginabili anche dopo la crisi scatenata dal fallimento di Lehman Brothers.
Partiamo dal presupposto che, fatta eccezione per le imprese che hanno avviato rapide riconversioni (alcune delle quali con le spalle coperte da investitori con ampie disponibilità finanziarie, la maggior parte facilitate dall’avere attrezzature e canali di distribuzione consolidati nei settori tessile, chimico e medicale), buona parte delle idee non riconducibili a sanità e sicurezza sono state temporaneamente sospese o parcheggiate. Da marzo a giugno, anche nel settore del design, la risposta è stata che fino a quando l’economia non si riprenderà, i consumatori continueranno ad essere frugali: acquisteranno beni a un prezzo più basso e approfitteranno di una grande quantità di sconti. In altre parole, nessuna reale intenzione d’investire in beni durevoli, costosi, innovativi, belli. Meglio una poltrona da ufficio per smartworking acquistata online a metà prezzo rispetto a un divano a isola rivestito in pelle pieno fiore con sistemi audio integrati basati su tecnologia danese.
Una delle riflessioni più importanti che abbiamo avuto modo di analizzare in questi mesi è la richiesta dell’imprenditore al designer non dipendente di assumere un rischio in comune. Il problema è di natura prettamente contrattualistica; siamo nel campo dei contratti di commissione d’opera. Non si tratta, come potremmo immaginare, del rischio associato ai quantitativi di vendita dei prodotti realizzati da un designer per il committente. Si tratta dei rapporti dove il compenso del designer è regolato a forfait, ovvero per l’attività creativa svolta nel caso di opere che si esauriscono con il completamento del lavoro. In molte situazioni è stato richiesto di poter mettere in discussione la prestazione stessa, se e quando il progetto potrà essere pagato, qualora lo scenario economico dell’impresa e dei mercati faticasse a ripartire o precipitasse del tutto.
In questo lungo percorso di ascolto, ci sono venute incontro le parole di Martin Lindstrom, quando nel suo saggio Adesso descrive la risposta della Hyundai alla crisi finanziaria del 2008. Mentre molte case automobilistiche abbassavano semplicemente i prezzi (con un effetto sulle vendite molto debole), la casa coreana aveva scoperto che i consumatori avevano ancora le risorse per comprare un’automobile ma, non sapendo se avrebbero mantenuto il posto di lavoro, evitavano ogni spesa inutile. Fu lanciata quindi la Hyundai Assurance che, sintetizzata, recitava così: “Acquista ora una nuova Hyundai, se nel prossimo anno non avrai più il tuo reddito, ti permetteremo di restituirla” (l’incremento delle vendite è stato di una percentuale a due cifre).
Ecco, la stessa cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi nei servizi di design. Se l’imprenditore non sarà in grado d’industrializzare un progetto (consegnato in via definitiva dal designer) o di valorizzarlo dal punto di vista commerciale, il designer potrebbe essere messo nella condizione di dover rinunciare a parte o a tutto il compenso professionale pattuito. Potrebbe sembrare un approccio impraticabile (il caso Hyundai prevede la restituzione del bene, un servizio di design dovrebbe invece basarsi sulla regolamentazione della titolarità e dell’esclusività), dove più che scenari di virtuosa collaborazione, sembrerebbe delinearsi una moltiplicazione di rinunce o di pericolose battaglie legali. E invece, paradossalmente, potremmo assistere ad un generale incremento delle collaborazioni, all’attivazione di progetti particolarmente promettenti, alla conservazione di uno stato di creatività fisiologicamente necessario per paesi fortemente manufatturieri come l’Italia. Gli imprenditori investirebbero sicuramente con maggiore leggerezza, ma anche i designer ne trarrebbero stimoli e benefici se pensiamo che in tanti preferirebbero non accontentarsi di una sola commessa certa investendo invece il loro tempo in dieci commesse “a rischio”. Monitoreremo nei prossimi mesi l’evoluzione di questo scenario, sarà interessante scoprire se i contratti di commissione d’opera nelle industrie creative saranno sempre più popolati di clausole essenziali alternative e adattive rispetto alla precarietà dei nostri tempi.
Immagine di copertina: fonte mediagold.it
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contratti , coronavirus
Last modified: 6 Ottobre 2020