Breve percorso attraverso una generazione di testi e autori che scrivono non solo di storia dell’architettura
Quando si pensa all’estate viene quasi spontaneo pensare all’evasione, al libro che si legge all’ombra di un albero o di un ombrellone, poco impegnativo e capace di sollecitare la nostra ormai quasi nascosta fantasia. Il lockdown ha o dovrebbe aver saturato la nostra poco sollecitata capacità di leggere, lasciando giusto lo spazio per un classico da rinfrescare o per rapidi gialli da… dimenticare,
Vorrei provare a suggerire un’estate meno scontata e sollecitare un piccolo percorso attraverso una generazione di testi e autori che scrivono non solo di storia dell’architettura.
Il primo testo quasi emerge dalla contemporaneità. Non è di recente pubblicazione ma intercetta il confuso dibattito che oggi attraversa l’Europa, sul come uscire dalla crisi economica indotta dalla pandemia o forse che la pandemia ha solo messo a nudo: Dutch Culture in a European Perspective: prosperity and welfare (Kees Schuyt e Ed Taverne, 2005) indaga una delle risposte più interessanti alla ricostruzione che seguì la seconda guerra mondiale, Un esempio? Forse non esattamente, ma un aiuto certamente a evitare anche solo di usare la parola “ricostruzione” in una salsa impazzita.
Il secondo libro è assai recente (maggio 2020) e indaga i tanti modi in cui le avanguardie storiche ridefinirono i loro ruoli (tra 1919 e 1938), riconvertendosi in propagandisti, pubblicitari, grafici curatori di mostre con l’obiettivo comune di creare un nuovo linguaggio per un mondo che volevano mutasse profondamente. Engineer, Agitator, Constructor: The Artist Reinvented 1918-1938 è il catalogo di una mostra in allestimento al MoMA di New York di cui sono curatori, tra gli altri, Jenny Anger, Barry Bergdoll, Jean-Louis Cohen, Masha Chlenova, Lee Daffner. Un testo che aiuta a capire come la modernità permei la vita quotidiana e i suoi prodotti, mutandone il linguaggio. Sempre sul tema della trasmigrazione dei simboli e dei linguaggi, Cohen ha portato a compimento un lavoro iniziato nel 1987 con La mysthique de l’URSS, attraverso il suo recente Building a new World: Americanism in Russian Architecture, anch’esso catalogo di una mostra aperta a fine 2018, che uscirà come testo nell’agosto di quest’anno. Dopo anni di quasi totale silenzio su un tema che era una chiave essenziale per capire come le forme (sociali, organizzative, iconologiche) della modernità non rispettassero frontiere e cortine, il tema viene riproposto con una ricchezza di notazioni e documenti davvero rara e, oggi soprattutto che mura e muri sembrano erigersi ovunque nel mondo, fisicamente o in maniera digitale, questo lavoro di lunga durata di Cohen è ancor più intrigante.
Recente è anche il Manifesto per riabitare l’Italia, curato da Domenico Cerosimo e dallo stesso editore, Carmine Donzelli per i tipi della sua casa editrice, che fa seguito al testo curato da Antonio De Rossi, Riabitare l’Italia (2018), completando una riflessione di straordinaria portata, per la qualità dei contributi e per la forma enciclopedica a voci, che aiuta il lettore a muoversi in un universo oggi frequentato da troppi improvvisatori e analfabeti, allontanando dal fastidio quasi epidermico che assale chi legge parole come sostenibilità, resilienza, smart.
Vorrei finire con un volume che sta uscendo da Bollati Boringhieri, I sogni, perché l’autore Stefan Klein ci dimostra su un tema tanto importante, quanto mal frequentato sulla pubblicistica odierna, che cosa un testo di divulgazione scientifica è in grado di produrre in quanto a conoscenza, curiosità, aiuto ai suoi lettori. È vero che forse mai come oggi si ha bisogno di sognare per dare senso ad un’attualità attraversata da approssimazione e stupidità, in forme che mai avremmo pensato (come la distruzione dei monumenti), di paura e rancore verso l’altro; forme che il virus (cui Donatella Di Cesare ha dedicato un rapido testo, Virus Sovrano, che fa pensare, ma che fa anche riflettere su come sia facile cadere nella crudezza della logica immunitaria) ha certamente radicalizzato. Oggi forse bisognerebbe riprendere la riflessione, lanciata su questo Giornale, A distanza da chi? e domandarsi da chi vogliamo essere a distanza, a partire dalle parole che usiamo e da come le usiamo. Se persino istanze giustissime come il politically correct o come la capacità di collocare due parole chiave – testimonianza e monumento – ci stanno sfuggendo di mano, forse A distanza da chi? diventa quasi… un altro manifesto da scrivere collettivamente.
Immagine di copertina: fonte rawpixel.com
About Author
Tag
coronavirus , libri
Last modified: 14 Luglio 2020