La “signora della luce” che ha scandagliato i confini tra design, architettura e arte
Ci ha lasciati in questi giorni Nanda Vigo, la “signora della luce” e pioniera dell’arte moderna italiana, aveva 83 anni. Nata a Milano, ha trascorso la sua vita ai confini del design, dell’architettura e dell’arte. Passione, libertà e interdisciplinarità sono state le parole chiave del suo lavoro. La sua opera spazia da interni strabilianti e sculture enigmatiche di luce a performance e installazioni. Anche i suoi progetti più recenti derivano da questa incessante esplorazione tra le arti e mostrano la sua grande capacità di saper guardare oltre.
Vigo aveva aperto il suo atelier a Milano nel 1959, e poco dopo ha iniziato a esporre le sue opere in tutta Europa. La sua vita è stata costellata da esperienze, da incontri straordinari e da collaborazioni con artisti come Lucio Fontana, Giò Ponti e Piero Manzoni, di cui fu compagna. È proprio nell’arte che Vigo inizia a esprimere il suo interesse per la luce, elemento determinante per le forme, per gli oggetti e gli interni che progetta, in particolar modo per gli effetti di riflessione e straniamento che scatenano. Un interesse che nasce anche dagli incontri con i grandi maestri dell’architettura italiana: «Quando avevo sette anni, ho capito per la prima volta cos’era la bellezza guardando la Casa del Fascio di Giuseppe Terragni. Quella bellezza era per me data dalla luce, che giocava con le forme e modificava addirittura l’architettura nel corso della giornata».
Sin dagli anni ’60, seguendo un processo in costante evoluzione, lontano da stereotipi e mode, il suo lavoro ha ispirato generazioni di artisti e designer. La materia principale per Vigo è stata quella luce che arriva dal sole e che attraversa spazi e tempi infiniti. La cattura e la diffonde nello spazio smaterializzandolo. Da qui la scelta di usare materiali nuovi per l’epoca, in grado di riflettere e rifrangere la luce: vetri smerigliati o specchianti, alluminio, acciaio, perspex. Progetti complessi composti attraverso inedite prospettive, studiate angolazioni e sfaccettature; forme ritagliate, ribaltate, alterate, specchi, luci colorate al neon, opacità e trasparenze, superfici rigide, morbide e imprevedibili, solidi geometrici: questi sono gli ingredienti delle opere di Vigo. La singolarità della sua arte racconta la sua ricerca sullo spazio che incorpora il gioco immateriale di luce e di riflessi all’interno delle sue opere. Tra le opere, i “cronotopi” (tempo-spazio) sono l’espressione della sua personale ricerca: spazi immersivi e abitabili in cui vivere l’esperienza totale e assoluta della luce che, attraverso la riflessioni su altri materiali, genera distorsione e smaterializzazione nella percezione degli spazi, coinvolgendo emotivamente chi fruisce gli ambienti.
Vigo ha esposto in tutto il mondo con il gruppo Zero, ed è stata protagonista di molteplici esposizioni dalla Triennale di Milano e alla Biennale di Venezia. L’importanza del suo lavoro, la sua ricerca incentrata sul rapporto spazio-luce, che ha indagato come artista, ma anche come architetto e designer è unica e continuerà ad essere di grande ispirazione e ci ricorderà sempre dell’importanza della trasversalità tra le discipline.
Riapre in questi giorni al Museo di arte contemporanea di Termoli (Campobasso) la mostra “Nanda Vigo – Light project 2020”, a cura di Laura Cherubini e realizzata in collaborazione con l’Archivio Nanda Vigo (fino al 13 settembre).
Immagine di copertina: foto di Ruve Afanador
About Author
Tag
arte contemporanea , interni
Last modified: 20 Maggio 2020