Presso la Fondazione MAST, una mostra interamente dedicata all’opera che il fotografo americano ha realizzato in tre anni per documentare la città industriale per antonomasia del Novecento negli Stati Uniti
BOLOGNA. La Fondazione MAST presenta, per la prima volta in Italia (fino al 16 settembre), una mostra – a cura di Urs Stahel – interamente dedicata all’opera che il fotografo americano W. Eugene Smith (1918-1978) ha realizzato a partire dal 1955 su Pittsburgh (Pennsylvania). Smith, nell’accingersi a lavorare sulla città industriale più famosa del primo Novecento, scrisse di voler ritrarre «la città come un organismo vivo, un ambiente fatto per le persone e, a sua volta, creato per le persone, che gli danno cuore ed energia vitale». Al culmine della sua fama di fotografo per riviste, dopo soli sette anni di impiego a tempo pieno per “Life” – seguiti da un altro paio d’anni di lavoro su commissione – nel 1954 Smith abbandonò tutto, lasciando il giornale per un diverbio. La rottura con la stampa, con le riviste, con i media rappresentò una cesura nella sua vita, e da ultimo anche una rottura con la famiglia. A quel punto gli giunse la richiesta di realizzare, nel giro di un paio di mesi, tra le 80 e le 100 foto della città di Pittsburgh. L’incarico si trasformò gradualmente nel progetto più ambizioso della sua vita e poi nel suo fallimento più doloroso. Invece che per un paio di mesi, Smith continuò a fotografare per due o tre anni, rimanendo impegnato per il resto della vita in innumerevoli tentativi di produrre, a partire dai quasi 20.000 negativi e 2.000 masterprints, il libro definitivo su Pittsburgh, la città industriale più famosa del primo Novecento. Solo una piccola parte di questo lavoro venne conosciuto dal grande pubblico, tramite il Photography Annual del 1959 dove pubblicò un saggio di 36 pagine dal titolo Pittsburgh. W. Eugene Smith’s Monumental Poem to a City.
Oggi, grazie alla collaborazione fra la Fondazione MAST e il Carnegie Museum of Art di Pittsburgh è possibile apprezzare – attraverso 170 stampe vintage – il compito che il fotografo definì “senza fine” e comprendere la storia di una città che ha vissuto nei primi anni del Novecento il suo sviluppo maggiore, legato alla nascita dell’industria dell’acciaio, supportando poi gli Stati Uniti nello sforzo bellico imposto dal secondo conflitto mondiale a cui è seguito, però, un lento declino. Oggi, grazie alle nuove tecnologie nei settori medico-sanitari, la città è un modello di riferimento per il suo percorso di rinascita e la sua popolazione ha ricominciato a crescere.
Grazie alla mostra del MAST è dunque possibile conoscere l’opera di un grande fotografo del Novecento ma, osservando le immagini di un luogo che si è sviluppato in funzione di un unico modello industriale, è possibile anche riflettere su temi urbanistici, ambientali e sociali. Come ha ricordato Dan Leers nell’incontro L’industria di Pittsburgh attraverso lo sguardo dei fotografi dal 1890 ad oggi tenutosi al MAST il 27 giugno scorso, grazie alle collezioni del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, fondato nel 1895 dall’industriale dell’acciaio Andrew Carnegie, è possibile ripercorre un secolo di storia della città e dell’industria. Il museo conserva, infatti, le immagini dei fotografi pittorialisti a cavallo tra Otto e Novecento, attratti dalle vedute delle colline di scarti industriali e di ciminiere avvolte dai fumi e dai vapori, ma anche i ritratti dei lavoratori realizzati da Lewis Hine (1874-1940), le vedute di Edward Weston (1886-1958) o le immagini di Todd Webb (1905-2000) a documentare una città che non cresceva nei sobborghi seguendo il fenomeno dello sprawl ma restava concentrata nel suo nucleo urbano, contrariamente al resto dell’America nel primo dopoguerra. È con il lavoro del primo dopoguerra di Smith, ma anche con le celebri fotografie aeree di Margaret Bourke-White (1904-1971), che viene evidenziato l’ultimo periodo di crescita, accompagnato dalla forte infrastrutturazione stradale ad affiancare il trasporto per via d’acqua e ferroviario. A Lee Friedlander (1934), a Bernd (1931-2007) e Hilla (1934-2015) Becher, a Duane Michaels (1932), il compito di descrivere gli anni della decrescita, mentre da LaToya Ruby Frazier (1982), fotografa originaria di uno dei quartieri di Pittsburgh in più profonda trasformazione, la riflessione, a partire dai documenti delle fabbriche dismesse, su quello che non è più per dare un senso al presente.
La fotografia ha accompagnato Pittsburgh dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi e si dimostra un potente strumento di conoscenza e documentazione. È importante chiedersi, partendo da questo esempio, quali siano gli strumenti contemporanei a cui stiamo affidando il compito di documentare ma anche interpretare la città. I dati che raccogliamo sono infinitamente più numerosi e qualitativamente migliori di quanto era possibile fare nel Novecento; resta da capire se il lavoro autoriale sia ancora necessario per orientarci nell’interpretare l’organismo vivo della città. Siamo convinti di sì e, anzi, che non si debba abdicare al ruolo critico e autoriale affidato ad architetti, artisti, fotografi, giornalisti, tanto più necessario se, a raccogliere l’immagine delle nostre città, sono oggi soprattutto società private quali Facebook, Instagram, Google, per citarne solo alcune.
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W. Eugene Smith – Pittsburgh: ritratto di una città industriale.
Mostra a cura di: Urs Stahel
Organizzata dalla Fondazione MAST in collaborazione con Carnegie Museum of Art, Pittsburgh
MAST.Photogallery
16 maggio – 16 settembre 2018
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fotografia , mostre
Last modified: 17 Luglio 2018