Visita all’eccellente restauro del Kulturpalast a Dresda, eredità dell’epoca socialista convertito in filarmonia, teatro e biblioteca su progetto di concorso di GMP
La musica ha molto a che fare con la libertà dell’intelletto e con la libertà dell’umanità; di questa libertà si dovrebbe fare uso il più possibile, e il meglio possibile (Giuseppe Sinopoli, 1946-2001)
DRESDA (GERMANIA). Fra le architetture dei paesi dell’ex blocco sovietico i cosiddetti palazzi per la cultura ricoprono un ruolo di primo piano. Mosca, Varsavia e Berlino ne hanno forse offerto gli esempi più celebri, dando origine a un nuovo binomio tipo-stile, di classicismo socialista/modernista. Architetture colossali, edifici multifunzionali, emblemi di uno status quo tramontato con la stagione che li vide nascere e prosperare, tuttavia da non associare al grigiore urbano che spesso fece loro da sfondo: il Palast der Republik di Berlino fu luogo di ritrovo amatissimo dagli abitanti della capitale che, anni dopo la sua costruzione e caduto il regime, combatterono uniti contro l’inevitabile demolizione, le nuove propagande e il repulisti ad esse sotteso. Il suo gemello sassone, meno imponente, ha vissuto ben altra sorte e anziché essere demolito è stato splendidamente restaurato. Retoriche comuni con esiti differenti: lì il Castello prussiano e il rudere della Gedächtniskirche, qui Frauenkirche e Zwinger, lasciati a monito di un orrore mai più da ripetere (leggi: a ovest, la guerra; a est, il nazifascismo); lì distruzione delle tracce del socialismo, già artefice di altre demolizioni, qui restauro di emblematiche architetture barocche accanto a memorie di un tempo più recente: il Kulturpalast è rinato e i suoi concittadini festeggiano come solo sa fare chi ha camminato, scrisse Kurt Vonnegut, per anni sopra cumuli di ossa.Che l’Elbphilharmonie di Amburgo sia il punto di non ritorno delle architetture per la musica, la stampa non manca di ribadirlo tutte le volte che un auditorium viene restaurato o costruito ex novo. Perciò non sorprenda – per chi pianifichi una visita al Palast di Dresda – il contrasto fra realtà e racconto nei media, ove si parla solo di una competizione ghibellina “Kulti vs. Elphi” a chi ha la migliore acustica, quando poi ci si ritrova ad apprezzare un coraggioso e sapiente lavoro su un intero edificio, in tutte le sue dimensioni e funzioni, non ultima quella di sala concerti. 37.000 mq di superficie di puro contrappunto cittadino, facciate vetrate lunghe 100 metri, caldo raumplan di piattaforme, rampe e locali a varia destinazione che lo studio GMP di Berlino, vinto il concorso del 2009, ha liberato dai rigori spaziali residui a vantaggio dei numerosissimi visitatori (non solo) della filarmonia su giardini pensili (lett. “a weinberg”, come nella Berlino di Hans Scharoun o nella Leipziger Gewandhaus), porto franco di creatività per i progettisti. Qui lo spazio un tempo destinato a tutte le assemblee diventa luogo esclusivo per la musica, nonostante le proteste del partito di Wolfgang Hänsch, primo progettista nel 1969, che ne pretendeva la conservazione degli spazi come fossero decorazioni, o di chi al contrario era per una demolizione totale. Per fortuna le polemiche a Dresda non hanno dato frutto. Affannarsi a dire che recuperare il famoso mosaico “Der Weg der Roten Fahne” (sulla facciata ovest) non significa condividerne gli ideali è la croce che qualsiasi opera di restauro a queste latitudini deve portare: l’architettura, fra i due fuochi di politica e arte, si veste nella rivisitazione di GMP di quell’aura di universalismo che le è propria, declinando restauro altrimenti da restaurazione. Le retoriche per immagini dei regimi sono nella sostanza sempre le stesse: alla politica estetizzata del celebre mosaico in vetro e del ciclo di dipinti nel primo foyer, ripuliti insieme a marmi ucraini obsoleti e lampade sovietiche, risponde, benjaminianamente parlando, l’arte democraticizzata, senza separazione pubblico-artista, di Konzertsaal e teatro di cabaret, col supporto emotivo della strepitosa biblioteca che fiorisce loro attorno. Sbaglia chi pensa che l’architettura, oggi come ieri, si limiti ad essere passivo teatro delle prime. Le distopie delle dittature divengono eu-topia costruita, luogo bello di cultura, e il Palast meta imperdibile per chi apprezza questa Dresda in armonia col passato e con ancora tanta voglia di rinascere.Immagine di copertina: Konzertsaal ©Jörg Simanowski
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La carta d’identità del progetto
Progetto originario
Architetti: Wolfgang Hänsch, Herbert Löschau, Heinz Zimmermann, Dieter Schölzel (1969 e seguenti) su un progetto di Leopold Wiel (1959)
Decorazioni artistiche: Gerhard Bondzin & Kollektiv
Spazi pubblici: Günther Krätzschmar (fontane, spazi verdi, lato posteriore distrutto nel 2009-2011)
Costruzione: 1966-69 (dopo diversi concorsi dal 1953)
Progetto di ammodernamento
Cronologia: concorso 2009; cantiere 2013-2017 (per Filarmonia, Biblioteca centrale e Kabarett Herkuleskeule); riapertura 28 aprile 2017
Architetti: GMP – Architekten von Gerkan, Marg und Partner (Meinhard von Gerkan e Stephan Schütz con Nicolas Pomränke); project management: Christian Hellmund; strutture: Prof. Pfeifer & partner; acustica: Peutz (Olanda), ADA Acoustic Design Ahnert; sicurezza: hhpberlin Ingenieure für Brandschutz; tecnologie teatrali: Theater projekte daberto + kollegen planungsgesellschaft mbh; illuminotecnica: Conceptlicht
Area: 37.062 mq
Sala concerti/filarmonia (Dresdner Philharmonie): 1.800 posti; 23 accessi alla sala; superficie del palco: 210 mq; organo a 3.870 canne, 5 toni, 24 bielle, 4 accordature manuali; superficie totale backstage: 245 mq; superficie coro: 180 mq; 20 camerini; volume sala: 21.500 mc. Committente: Förderverein der Dresdner Philharmonie
Teatro cabaret (Die Herkuleskeule): 250 posti; palcoscenico: 94 mq; volume sala: 3.500 mc
Biblioteca centrale: 5.463 mq; raccolta media: 300.000 elementi; posti utenza: 450; postazioni internet fisse: 50. Committente: Kommunales Immobilienmanagement Dresden GmbH & Co KG
Costo totale dell’opera: circa 100 milioni
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concorsi , germania , restauro
Last modified: 12 Luglio 2017