Con l’intervento* del presidente INU Piemonte e Valle d’Aosta apriamo un dibattito sul Ddl nazionale sul “Contenimento del consumo del suolo”, approvato dalla Camera il 12 maggio 2016 e in discussione al Senato dal 6 luglio scorso
* L’intervento sviluppa alcune considerazioni presentate dall’autore in occasione del convegno “Consumo di suolo o valorizzazione del territorio?”, organizzato il 18 ottobre 2016 presso la Fondazione Mirafiore di Serralunga d’Alba dall’Ordine degli Architetti di Cuneo
Legiferare, ma come?
Il tema del contenimento del consumo di suolo è ormai da quasi un decennio all’attenzione, sia nel merito di questo importante obiettivo (per il valore ecosistemico, paesaggistico, produttivo, socio-economico da assegnare al suolo come risorsa fondamentale e finita), sia per il profilo legislativo-normativo con cui si sta cercando di affrontarlo a livello nazionale e di alcune regioni (fra cui il Piemonte).
Riguardo al contrasto del consumo di suolo (ma preferisco dire risparmio del suo uso e necessaria interruzione del suo spreco), sostengo sia che non debba essere un esito di provvedimenti settoriali e sia che ciò possa trovare la sede più adeguata di decisione e di valutazione proprio nella pianificazione del territorio, alle diverse scale e nel suo rilancio come attività fondamentale.
Prima che nel merito, vanno sottolineati quelli che mi paiono due aspetti critici di fondo del Ddl nazionale sul “Contenimento del consumo del suolo” e più in generale dell’azione legislativa del Governo e del Parlamento. Il primo aspetto critico, consiste proprio nel citato approccio settoriale che presenta l’atto legislativo (peraltro su un tema il cui complesso profilo richiederebbe un approccio più integrato e plurale); ciò perché il settorialismo rischia di trascurare gli indispensabili nessi con altri aspetti importanti, perdendo il necessario telaio organico nel quale collocare l’indispensabile azione di contenimento del consumo di suolo ed il suo buon uso sotto molteplici profili (ecosistemico, ambientale, agricolo, energetico, paesaggistico e per quella crescita che, contemporaneamente, si invoca continuamente). Il secondo aspetto critico consiste nel paradosso di utilizzare i provvedimenti settoriali come contenitori di norme attinenti ad altre materie che, non trovando prospettiva legislativa in leggi organiche o in leggi di principi fondamentali (come è il caso di una materia complessa quale il governo del territorio), vengono avulse da quei contesti e inserite nella legge settoriale “al momento disponibile”.
È il caso del Ddl in questione, in particolare delle sue norme su rigenerazione urbana, perequazione urbanistica, oneri di urbanizzazione ed in certa misura sulla fiscalità urbanistica che, invece di essere trattate all’interno del luogo legislativo proprio e costituzionalmente corretto (il riferimento è ancora una volta alla Legge sul governo del territorio), vengono “anticipate” episodicamente come parti a sé, senza la possibilità di esplicitarne gli importanti nessi con altri oggetti, strumenti e temi che la legislazione organica o di principio fondamentale garantirebbe. È in quest’ultimo contesto che si colloca uno specifico contenuto del Ddl (stranamente trascurato dal dibattito urbanistico) che appare poco comprensibile e coerente ma che potrebbe aprire ad una pianificazione ed una pratica urbanistico-edilizia “originali”, abbastanza estemporanee e dai discutibili effetti. Si tratta della “invenzione per legge” di una nuova Zona o fattispecie urbanistica: il “compendio agricolo neorurale”.
Vi è poi da sollevare ancora una perplessità sulla natura troppo “ibrida” del Ddl: nello stesso testo sono infatti compresenti profili e stili legislativi che vanno dalla natura di Legge di principi fondamentali (in conformità dell’ancora vigente Titolo V della Costituzione) per ciò che è scritto esplicitamente all’art. 1; alla natura di Legge delega, così chiaramente definita all’art. 5; ad una Legge di definizione di un glossario di cui all’art. 2; ad una Legge di contenuti e disciplina normativa immediatamente operanti; e, soprattutto, le controverse e discutibili Disposizioni transitorie e finali.
Rilanciare la pianificazione e innovare il piano
Già da prima, ma soprattutto negli anni che stanno trascorrendo dalla crisi iniziata nel 2008, in Italia, è andato configurandosi un profilo d’indebolimento del governo del territorio mediante l’importante azione della pianificazione delle città e dei territori.
Molteplici sono le cause e fra questa non è marginale la perdurante ed insostenibile mancanza di un telaio di principi e regole fondamentali nazionali per sostenere e completare l’innovazione di un pianificare per un governo del territorio, percepibile ed efficace come tale.
Tuttavia sono rilevabili anche dinamiche positive, o potenzialmente tali. In particolare, due sembrano pertinenti per le considerazioni qui delineate. La prima concerne proprio una maggiore attenzione al consumo di suolo ed allo spreco delle risorse, ai temi dell’efficienza energetica e del comfort ambientale; ciò insieme all’obbligatoria Valutazione ambientale strategica (VAS) nel processo di pianificazione urbanistica, territoriale e paesaggistica. La seconda guarda ad una più recente vitalità ed innovazione della pianificazione su base intercomunale e unionale con l’avvio, in alcune regioni, di una seconda generazione di piani associati (rispetto alla fallimentare prima generazione costituita dai Prg intercomunali di oltre 30 anni fa) del territorio locale, favorita dalla diffusione di piani strutturali, piani operativi temporalizzati e/o regolamenti urbanistici in luogo dei tradizionali Prg.
Immagine di copertina: periferia milanese (foto di Davide Maccioni per ACMA)
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Last modified: 8 Novembre 2016