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Alba CappellieriWritten by: Design

Museo Molteni, 48 storie di successo

Museo Molteni, 48 storie di successo

Per gli 80 anni, l’azienda brianzola leader dell’arredo si regala un museo allestito da Jasper Morrison all’interno della propria sede

 

GIUSSANO (MONZA BRIANZA). Ottanta anni sono un compleanno importante, soprattutto quando a celebrarlo è il gruppo Molteni che con i suoi quattro brand (Molteni, Dada, Unifor e Citterio) ha scritto pagine importanti della storia del design italiano. Le celebrazioni, il 20 novembre scorso, sono avvenute secondo i consueti canoni di lombarda sobrietà della Molteni che, ai party hollywoodiani, oggi purtroppo in gran voga anche nel design, ha preferito la ben più utile e colta apertura di un museo nella sede storica del gruppo, nel cuore della Brianza. Si tratta di un museo per visitatori professionali che si aggiunge alle altre strutture del compound Molteni: l’archivio, la Glass Cube di Ron Gilad e lo spazio per le installazioni QallaM di Patricia Urquiola. L’edificio che ospita il museo, di fine anni cinquanta, era adibito a essiccatoio del tranciato. Ristrutturato nel 1986 (da Aldo Rossi e Luca Meda) e nel 2004 (da Studio Cerri & Associati), conserva tracce del suo passato industriale. Intorno, il progetto del verde, a firma di Amazing Studio, è caratterizzato dalla presenza della sedia «Milano» realizzata in grande scala (7:1) nel 1990 per la mostra dedicata a Rossi.

Passeggio in questo luogo verde e armonioso, disseminato di architetture e di opere d’arte, in compagnia del responsabile del museo, Peter Hefti, che lavora qui dal 1983 e parla della Molteni con un entusiasmo e una passione che mi stupiscono. Capisco allora che il successo di questo gruppo non è legato soltanto al profitto e ai numeri ma alla relazione – profonda e sincera – tra uomini e oggetti, padroni e operai, mani e macchine. L’azienda è una comunità, nessuno prevarica l’altro e il successo dell’azienda è l’orgoglio di tutti. È questo il modello familiare che l’Italia ha opposto al fordismo americano, dove le persone sono risorse e generano conoscenze e competenze che tutto il mondo ci invidia. Se questo modello è stato nel tempo purtroppo superato da quello manageriale dei fondi di investimento, il gruppo Molteni è tra i pochi ancora saldamente nelle mani della famiglia e mostra con palmare evidenza quanto sia possibile coniugare qualità artigianale con innovazione tecnologica e anche che, come sosteneva Andy Warhol, «good design is good business».

Dietro ogni oggetto c’è una storia. Così, il museo nasce dall’esigenza di raccontare le numerose storie dei prodotti del gruppo, per fare comprendere al consumatore il valore di ciò che compra. Per l’immagine coordinata di Studio Cerri & Associati, in un allestimento non memorabile di Jasper Morrison il museo si configura come una mostra di 48 icone del gruppo dagli anni trenta a oggi.

L’incipit è rappresentato da due bellissimi prototipi, il cassettone di Werner Blaser del 1955 e la libreria in legno curvato di Yasuhiko Itoh del 1959 con cui i progettisti vinsero rispettivamente il primo e il terzo premio del concorso internazionale del Mobile di Cantù, indetto nel 1955 per riqualificare l’immagine produttiva del distretto. A tal fine fu invitata una giuria prestigiosa: Gio Ponti come presidente, Alvar Aalto, Romano Barocchi, Carlo De Carli e Finn Juhl per un obiettivo ambizioso: introdurre i linguaggi della modernità nella tradizione mobiliera brianzola. La Molteni allora faceva solo mobili in stile e, nonostante la contaminazione con Blaser e Itoh gli avesse fatto sperimentare sistemi modulari e tecniche a loro poco familiari come il legno curvato, entrambi i progetti non furono mai messi in produzione, esperimenti felici ma isolati che non convinsero Angelo Molteni. Probabilmente anche a causa di una straordinaria richiesta del mercato, come ricorda Carlo Molteni: «Alla fine degli anni cinquanta la domanda era talmente elevata che durante la domenica arrivavano i rivenditori e caricavano tutto quello che c’era nella sala espositiva».

 

Nel 1961 Molteni è tra i 14 fondatori del Salone del Mobile e traghetta l’azienda verso una dimensione industriale che vede dialogare felicemente macchine, mani e creatività. Ma la contaminazione con il design milanese avviene nel 1968, l’anno della svolta, quando Molteni si apre alla cultura del progetto collaborando con i Vignelli, i Mangiarotti, gli Scarpa, ma soprattutto con Meda che diverrà un punto di riferimento importante per l’azienda. Meda convince tutti della necessità di abbandonare i mobili in stile e passare al moderno e introduce prospettive e punti di vista inesplorati dall’azienda. Con «Iride», un sistema modulare colorato, flessibile, funzionale ed elegante, basato su elementi sovrapponibili laccati in vari colori, Meda conquista la Molteni che in soli otto mesi abbandona definitivamente l’eclettismo della tradizione. Lo stand al Salone del Mobile del 1968 è un successo immediato che «Domus» sintetizza così: «In un allestimento esemplare, tutto in laminato plastico bianco, Molteni di Giussano presenta una collezione nuovissima di bellissimi contenitori» (n. 468, p. 36). Meda plasma l’azienda, combina i metodi e i processi del design con i saperi artigiani, le macchine a controllo numerico con giunti e snodi artigianali, presenta ai Molteni il suo amico Rossi che non è un designer di mobili ma un architetto che interpreta i mobili come micro architetture. Nascono progetti, teatri, famiglie e icone, come la sediolina «Milano» e «Carteggio», un secretaire alto con ribaltina e saracinesca composto da 50 pezzi, dove l’aspetto artigianale nasconde un prodotto industriale realizzato con macchine a controllo numerico. Rossi progetta con Ignazio Gardella e Fabio Reinhart il teatro Carlo Felice di Genova e Molteni ne realizza l’arredamento di sale e spazi comuni. Da un progetto contract a un prodotto di serie, ha inizio un modello poi felicemente ripetuto in numerosi lavori pubblici, dai musei alle fondazioni.

Altro incontro importante per l’azienda è quello con Jean Nouvel, agli inizi dei novanta che per la sua Fondation Cartier chiede a Molteni «un tavolo trasparente come un foglio». Niente disegni, nè schizzi, niente di niente, solo un’idea potente e la fiducia assoluta nell’azienda. Nel 1994 nasce così «Less», per Unifor, un tavolo in acciaio con piano rigido sottilissimo, ottenuto per piegature successive della lamiera. Impensabile per la tecnologia del tempo ma alla Molteni l’innovazione è una sfida.

Nouvel apre la strada alle collaborazioni internazionali, ai nuovi materiali e alla sperimentazione di materiali e tecnologie mutuate da altri contesti. Tra gli altri, è il caso di «Arc», base per tavolo di Foster & Partners realizzato in cemento Ductal; le librerie «Graduate» di Nouvel sostenute da tiranti in acciaio invisibili come per le solette dei ponti; il tavolo «Diamond» di Patricia Urquiola impossibile da realizzare in pressofusione in pezzo unico e allora realizzato con lamiera di alluminio piegata; ancora, il bellissimo tavolo di Pierluigi Cerri «Naos» per Unifor nel 1994. Emerge una storia fortemente radicata al territorio, ai suoi saperi e alle sue esperte maestranze ma anche alla capacità, propria del design, di intrecciare competenze, lavorazioni, tecniche e contesti. Qui innovazione, qualità e bellezza italiana sono di casa.

 

Per_approfondire

moltenimuseum.com

Autore

  • Alba Cappellieri

    Professore ordinario al Politecnico di Milano, dove dirige il corso di laurea in Design della moda. Dal 2014 è direttrice del Museo del Gioiello di Vicenza. Ha dedicato al design e alle sue intersezioni con la moda numerose mostre e libri, ha partecipato a convegni internazionali e vinto premi e riconoscimenti, ma considera il suo maggior successo avere incuriosito i suoi studenti a scoprire le storie meno note ed evidenti del design, stabilendo connessioni e convergenze senza mai fermarsi alle apparenze.

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Last modified: 16 Dicembre 2015