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Written by: Inchieste

La beffa della manna europea

«Sapete quanti fondi europei Palermo ha complessivamente ottenuto lo scorso anno? 35.000 euro per tutto l’anno, che sono serviti a comprare la pittura per dipingere le piste ciclabili!» così tuona il neo sindaco Orlando durante l’incontro L’Europa e le città tenutosi a luglio. Se questa è la somma transitata nel bilancio comunale del 2011, Palermo ha potuto beneficiare di fondi europei tramite altri canali, infatti, i programmi del ciclo attuale 2007-2013 a livello nazionale (Pon), interregionale (Poin) e regionale (Po Fesr e altri) hanno finanziato attività e progetti sul territorio cittadino, attuati dalla Regione Siciliana, dagli imprenditori e dalle sue istituzioni, anche se tuttora la maggior parte dei fondi rimane ancora da spendere. Inoltre, sono ancora in corso i progetti della «vecchia» programmazione, quella del ciclo 2000-2006, che sono stati travasati nella programmazione attuale. A questa parte cospicua bisogna aggiungere gli altri programmi per i quali i progettisti palermitani si confrontano con i loro colleghi mediterranei ed europei: i programmi transnazionali con una dimensione ter­ritoriale gestiti da regioni europee (come il Po Med e l’Enpi Med) o ancora i programmi aperti a tutta l’Unione Europea, gestiti direttamente da Bruxelles e dedicati alla ricerca e all’innovazione, alla gioventù, alla cultura, alla formazione e altro. Visitando il sito dell’ufficio del Comune di Palermo dedicato alle politiche europee, è visibile una lunga lista di bandi aperti per i diversi programmi potenzialmente accessibili agli attori del territorio. Tutto questo forma un sistema composto da tanti tasselli nel quale non è facile orientarsi. Se si volesse tentare di misurarne l’impatto, sarebbe riduttivo concentrarsi solo sugli importi finanziari a disposizione poiché l’influenza comunitaria si manifesta anche attraverso un processo lungo e «dalle molte facce» chiamato europeizzazione. L’Europa permea attraverso mutamenti di governance in cui le prassi lavorative e i vecchi equilibri politici e istituzionali sono rimessi in gioco. Tentando di dare un paio di riferimenti, si può nominare il progetto europeo Urban I (circa 20 milioni di euro) sviluppato alla metà degli anni novanta, che ha dato una spinta per la riqualificazione del centro storico di Palermo, seguendo una strategia integrata che prevedeva interventi a livello infrastrutturale, per potenziare i servizi sociali e per incentivare i privati a riqualificare i propri immobili. In seguito, il Por (Programma Operativo Regionale) 2000-2006 ha aperto un nuovo capitolo nella storia regionale della programmazione europea, dato che la Sicilia, essendo collocata nell’Obiettivo 1 (denominato «obiettivo convergenza» nella programmazione attuale) ottiene ingenti finanziamenti. Per raggiungere gli obiettivi di coesione territoriale e di sviluppo previsti dal programma, la Regione Siciliana, essendo l’autorità di gestione del Por, attua una parte del programma «a regia», aprendo agli attori del territorio, inclusi gli enti locali, l’accesso a questi finanziamenti. Nel corso dell’implementazione di questo programma sono apparsi problemi di varia natura. A livello tecnico, per rispettare le normative europee legate all’evidenza pubblica, lo strumento principale di attuazione per i beneficiari esterni alla Regione è quello del bando pubblico. Eppure, mentre i bandi avrebbero dovuto garantire un percorso trasparente, costringendo la pubblica amministrazione e gli attori del territorio ad adattarsi a modalità spesso lontane dalle loro pratiche abituali, le proposte progettuali non sempre hanno seguito l’iter previsto. A discolpa delle amministrazioni che non sono riuscite a rispettare le procedure previste, c’è da dire che queste ultime non sempre erano le più congrue o quelle che potevano garantire un risultato qualitativo migliore in quanto per assicurare un progetto partecipativo di alto livello ci vuole tempo, e non sempre i tempi dei bandi lo permettono. D’altronde, se il bando è necessario, non sempre è sufficiente ad assicurare una procedura equa e, se non c’è «l’anima» dietro, si può rivelare una foglia di fico. Infine, la dimensione integrata e complessiva della programmazione non ha dato i risultati sperati, innescando solo mezzi percorsi con lacune importanti incapaci di raggiungere i servizi dovuti ai cittadini.
In questa prospettiva, la ristrutturazione del Teatro Garibaldi offre un esempio significativo: un progetto di restauro elaborato da un professionista di fiducia dell’associazione che lo gestiva per presentarlo al Ministero dei Beni Culturali viene successivamente presentato dal Comune di Palermo in risposta a un bando Por, cogliendo l’occasione per ottenere 4,5 milioni di euro al fine di restaurare un edificio di sua proprietà. C’è stata una gara per l’impresa e pazienza se, contrariamente a quanto richiesto dalle norme europee, non c’è stata per il progetto di restauro! Ma c’è di più, come in molti altri casi legati a questa misura del Por e attuati su tutto il territorio regionale, mentre la parte riguardante il restauro del patrimonio storico-artistico ha funzionato, la parte riguardante la fruizione è stata largamente insoddisfacente tanto che oggi sono ancora molti i siti e gli edifici che, pur essendo stati restaurati, permangono chiusi al pubblico. Nel caso del Teatro Garibaldi c’è voluta la visita della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, l’anno scorso, per aprire il teatro per un paio di ore, e, successivamente, l’occupazione di artisti e operatori culturali per aprirlo alla città. I Cantieri Culturali alla Zisa, con una sala cinematografica da 400 posti dotata di attrezzature all’avanguardia e tanti altri spazi, hanno conosciuto la stessa sorte e così, a eccezione dei locali della sede siciliana della Scuola per il Cinema, la maggior parte dei padiglioni oggi sono chiusi. È ancora presto per dare una valutazione sulla programmazione in corso considerando la percentuale ancora bassa dei fondi già spesi, ma sembra che Palermo abbia giocato un ruolo piuttosto modesto negli ultimi anni. Bisogna riconoscere che le procedure si sono fatte sempre più pesanti e che la burocrazia si è notevolmente appesantita a livello europeo. Considerando i rischi che si corrono impegnandosi nel labirinto dei flussi finanziari europei, si è giunti al punto che diversi beneficiari privati hanno rifiutato i finanziamenti che gli erano già attribuiti pur di evitare i percorsi pericolosi dei controlli di primo e secondo livello. Per la sua complessità, la moltiplicazione dei programmi che sono stati attuati dai vari livelli della pubblica amministrazione e altrettanti beneficiari, nonché per gli obiettivi programmatici a volte confusi e le per modalità di attuazione non sempre chiare, è difficile farsi un’idea precisa dell’impatto della programmazione comunitaria a Palermo. Fatto sta che la percezione di una beffa legata a una manna europea fantasma o captata da pochi privilegiati è un sentimento ben reale e largamente condiviso.

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Last modified: 9 Luglio 2015