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Written by: Interviste

Sì, siamo dilettanti. Cioè l’autentica architettura cinese contemporanea Dialogo a più voci con il piccolo team dell’Amateur Architecture Studio: «il premio per noi è un diritto di espressione»

Sì, siamo dilettanti. Cioè l’autentica architettura cinese contemporanea Dialogo a più voci con il piccolo team dell’Amateur Architecture Studio: «il premio per noi è un diritto di espressione»

È una delle più ambiziose posizioni del nostro tempo. E sarà il tempo a dire quanto l’esempio dell’Amateur Architecture Studio potrà arginare le trasformazioni vorticose dell’oggi in Cina. Per ora i fatti sembrano dar ragione a Wang Shu, che con la socia (nonché moglie) Lu Wenyu compone il team di questo piccolo studio fondato a Hangzhou nel 1997. Annunciato nel febbraio 2012, il suo è il primo Pritzker conferito a un architetto cinese. Nel consegnare il «nobel dell’architettura», lo scorso 25 maggio a Pechino, il presidente della giuria, Lord Palumbo, ha indicato nel lavoro di Wang Shu l’espressione prima di un’autentica architettura contemporanea cinese, un’architettura capace di legare passato e futuro in un complesso e ricco presente. Prima Wang Shu, poi Lu Wenyu e poi all’unisono, in tre risposte e ciascuno a suo modo (con slancio o con riserbo), offrono un duplice racconto, come architetti e docenti.
 
Su quale strada procede il vostro studio e quale significato attribuisce a questo premio?
WS: Il nome dato, Amateur Architecture Studio, ha una speciale connotazione in Cina. È solo dagli anni novanta che l’architettura è entrata nel discorso mediatico, pubblico, sociale. Da allora, gli architetti temono spesso d’essere additati come non professionisti e non moderni; imparano meticolosamente dall’Occidente; e sono bramosi di disegnare progetti pubblici imponenti, brillanti, levigati, high-tech, nonché gruppi d’alti edifici residenziali seguendo logiche di sviluppo commerciale. Costruito in breve e in gran numero, tutto ciò ha portato alla quasi totale distruzione del paesaggio urbano tradizionale e dei modi di vita locali, fino a interessare i villaggi. Ma la comunità d’architetti raramente s’interroga sul proprio dovere professionale e sui danni derivanti dal proprio lavoro. Eppure in tale mole edificata è difficile scorgere una diversità culturale e regionale, così come le minute realtà del vivere quotidiano. Se questo significa «professionista», preferisco chiamare il mio studio «amateur»: dilettante.
Dopo anni di sforzi e perseveranza, oggi con un Pritzker, non mi reputo più solo, almeno in Cina. Tale premio inoltre riconosce una moderna architettura cinese. Negli anni ottanta ho sostenuto che mancasse il concetto di moderno, d’architetto e di disciplina architettonica. Oggi, tutto ciò esiste. E tuttavia c’è molto di più. La nostra ricerca sul confine tra modernità e tradizione, sull’eredità di materiali locali e artigianato, sullo sviluppo ecologico e sostenibile è una ricerca transnazionale che impegna molti studi in altri paesi; tuttavia, altrove si sperimenta a una scala più piccola rispetto a quella con cui occorre confrontarsi in Cina. Infine, il Pritzker 2012 è il primo riconoscimento attribuito a qualcuno estraneo alla cerchia europea e americana. Un architetto africano, congratulandosi con me per email, ha scritto che il mio è un premio al mondo; un premio che offre un diritto d’espressione alla cultura asiatica e africana.
 
Nella tradizione architettonica cinese il concetto di «facciata» non è preponderante, mentre è imperativo quello di «cortile». Può spiegare perché e come ciò si traduce nella sua architettura?
WS: La tradizione architettonica cinese pone molta attenzione all’armonia fondata su natura e poesia. Nella nostra cultura, l’architettura è secondaria seppur inestricabilmente legata alla natura. Gli edifici ne rappresentano la sostanza artificiale. Nell’ideale cinese (che io chiamo a way of nature), la gente impara dalla natura per avvicinare a questa il proprio modo di vivere. In tale modello, gli edifici posti su un terreno naturale sono inclini ad assumere un «atteggiamento umile». Un’espressione simile si osserva quando una facciata è ombreggiata per metà da un gruppo d’alberi e rocce; o quando un elevato è un semplice muro nel paesaggio. La complessità dello spazio si manifesta nei cortili. Qui, le architetture cinesi racchiudono sempre: per metà interni e per metà esterni, per metà costruito e per metà alberi e specchi d’acqua. Si tenta di delineare un intero microcosmo in uno spazio circoscritto, un tema che spesso è riconosciuto ai miei edifici.
Nel processo che prediligo d’ideazione dei giardini, tale idea si sviluppa così che il tangibile possa divenire un’eco di una realtà più complessa, delicata e immateriale. I giardini non sono solo imitazione della natura, ma anche oggetti semiartificiali che trasformati con intelligenza e poesia possono evocare altro e aggiungere significato. Questo è quello che intendo quando affermo: building like a hill. Così, quando il progetto del Ningbo Historic Museum è cominciato in un’area vuota, oggetto di radicali demolizioni, priva di nessi con la città, si è voluto riscoprire e suggerire le radici culturali di quel sito.
 
Ha menzionato Aldo Rossi e Carlo Scarpa tra gli architetti che l’hanno influenzata: può dirci come?
WS: Di Rossi mi ha molto stimolato la discussione sulla città e sulla tipologia architettonica a essa connessa. Mentre le architetture di Scarpa mi hanno indotto a ripensare la tradizione cinese dei giardini. Sono in cerca di una moderna tipologia architettonica per la Cina, e gli edifici che progetto sono molto simili a frammenti di città e frammenti di giardini.
 
Benché sia uno dei soci fondatori dell’Amateur Architecture Studio, la stampa internazionale tace sulla sua biografia professionale. Può dirci chi è Lu Wenyu?
LW: Lu Wenyu è un segreto che non vuole essere svelato.
 
Com’è organizzato l’Amateur Architecture Studio, che ruolo vi ricopre, ci sono progetti ove il suo contributo è stato più cospicuo?
LW: Lu Wenyu è il solo partner di Wang Shu. Tutte le decisioni importanti sono prese insieme. Non ci sarà alcun progetto senza Wang Shu, né alcuna realizzazione senza Lu Wenyu.
 
Qual è la sua concezione dell’architettura? Lei e Wang Shu avete qualche opinione divergente in merito?
LW: Lu Wenyu enfatizza costantemente il principio di base del following the nature. Wang Shu è d’accordo con tale principio, ma è spesso più simile a un utopian dreamer.
 
In qualità di docenti alla China Academy of Art in Hangzhoug, nonché di direttore del dipartimento d’Architettura (Wang Shu), quali principi ponete a fondamento dell’insegnamento d’architettura?
WS e LW: Partiamo dall’esempio del New Campus of China Academy of Art in Hangzhoug. Con un sito di 530.000 mq e un’area edificata di soli 160.000 mq caratterizzata da un insieme di trenta edifici, questo complesso riflette bene la nostra idea. E cioè che la stessa architettura sia un paesaggio. Per noi, ciò significa impiegare materiali locali e riciclati secondo ritrovati modi di costruzione; significa interpretare la «Natura» adattando delicatamente l’edificato alla morfologia e alle caratteristiche geografiche del luogo (colture, bacini d’acqua); significa far divenire gli stessi elementi naturali una parte indissolubile del costruito. Di fronte alla monotonia e al caos dello sviluppo piegato a logiche commerciali, lo Xiangshan campus non è solo un campus universitario, è anche un tentativo di reagire alla didattica accademica e classica in vigore in Cina. È l’esperimento di una nuova forma urbana: per tipologia e scala del costruito, per densità edificata e materiali, per tecniche costruttive mutuate dall’arte dai giardini. È uno sforzo di presentare una soluzione radicata nel contesto locale. È uno sforzo di rovesciare l’influenza della città in favore di una way of nature dedotta da ricerche sul campo. È una dichiarazione di diversità culturale. Lo Xiangshan campus racconta la nostra posizione, anche nell’insegnamento: sorpassare le differenze tra spazi urbani e rurali, tra architettura e paesaggio.
 
Come trasponete tutto ciò nella pratica dell’insegnamento?
WS e LW: Prima del 2000 non c’era una scuola d’architettura nelle università artistiche. È Wang Shu che ha introdotto la formazione architettonica nella China Academy of Art nel 2001, istituto al quale Lu Wenyu si è unita nel 2003. Abbiamo cercato di configurare un nuovo tipo di percorso educativo avendo presente che, per noi, sono cinque i principali problemi nell’attuale sistema d’istruzione universitario. Primo: la netta separazione tra progettazione e tradizione cinese in termini di filosofia, materiali e tecniche costruttive. Secondo: la cieca imitazione di modi occidentali a scapito di contesti locali e culturali. Terzo: l’impiego passivo di soluzioni industrializzate che minano innovazione ed estro. Quarto: l’iperdipendenza da computer. Gli studenti non sono più abituati a disegnare a mano; a toccare legno, metallo, pietre; a costruire qualcosa da soli. Quinto: la distanza tra l’architettura e lo sviluppo dell’arte contemporanea. Sulla base di ciò, la finalità della nostra scuola è stata quella di definire un’educazione architettonica vernacolare e contemporanea, che si può chiamare un’istruzione da «filosofi e artigiani». Pertanto, nel nostro dipartimento carpenteria, calligrafia cinese, muratura, costruzioni in terra battuta, disegno a matita sono corsi obbligatori. Questa è un’eccezione nelle scuole d’architettura d’oggi. Allo stesso tempo, promuoviamo ricerche sull’architettura locale nonché discussioni internazionali sull’arte contemporanea, invitando artisti e architetti stranieri a condurre workshop. Procedendo secondo questo schema, abbiamo istituito in circa 11 anni il miglior atelier d’artigianato tenuto tra i dipartimenti d’architettura in Cina. Ma è solo il principio. È in via d’elaborazione un laboratorio volto a studi sulla terra che sarà integrato da ricerche su bambù, erba e legno. Il suo nome è «Sustainable Construction Laboratory».
 
La giuria del Pritzker ha definito gli esiti della vostra architettura esemplari per il forte senso di continuità culturale che hanno saputo instaurare con la tradizione. Sapreste indicare altri architetti cinesi interessati a seguire la medesima strada?
WS e LW: Di fronte alla constatazione che l’architettura tradizionale va completamente dissolvendosi, è necessario conservare. Non è più un problema di demolizione dell’esistente e di costruzione di nuove parti. Secondo noi, ovunque in Cina, tutto il «vecchio» dovrebbe essere protetto. A causa del repentino sviluppo urbano e della commercializzazione e politicizzazione delle loro attività, molti architetti si trovano oggi in uno stato di totale caos, privi d’identità e di un qualsiasi criterio per giudicare il valore storico di quando si va distruggendo. Tuttavia esistono anche professionisti che tentano di fronteggiare questo stato di fatto proponendo soluzioni originali, come quelle che si osservano nei lavori di Zhang Yonghe, Liu Jiakun, Zhang Ke, Tong Ming.

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Last modified: 20 Luglio 2015