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Written by: Inchieste

Walter Angonese

Walter Angonese

1. Nel mio lavoro cerco di interpretare e porre in relazione i dati della topografia con quelli della tipologia, in quanto entrambe mi garantiscono un approccio peculiare al luogo. L’analisi delle tipologie, costruttive così come funzionali (tra l’altro in rapporto con una grande tradizione disciplinare della cultura architettonica italiana), permettono di leggere l’intervento in continuità con la storia e con il territorio e le sue trasformazioni. Ne deriva una sorta di memoria mediata, attraverso un processo di astrazione.

2.
Lo strumento del concorso è fondamentale, perché ha ricondotto l’architettura a una dimensione più oggettiva, ovvero slegata da clientelismi e amicizie. Inoltre, deve essere aperto ai giovani, dunque slegato dai curriculum. Il meccanismo è buono, ma ovviamente dipende anche dalle scelte a monte, cioè dalla capacità di organizzare una buona programmazione e di esprimere una chiara «domanda di progetto». Poi, a valle, occorre che vi sia una giuria di livello, impermeabile a eventuali interessi locali, e occorre la volontà politica di arrivare fino in fondo, con la realizzazione dell’opera. Per l’Italia sarebbe una grande cura, ma troppo spesso tutto resta sulla carta. In Alto Adige, invece, da una ventina d’anni a questa parte e grazie all’impulso dato dal direttore del Dipartimento Lavori pubblici Josef March, si bandiscono moltissimi concorsi e se ne realizzano il 90-95%. Dati la piccola struttura del mio studio e il mio parallelo impegno accademico a Mendrisio, io partecipo solo a un paio di concorsi a inviti all’anno, in Alto Adige o all’estero, a cui non posso dire no.

3.
Lavoro con entrambe. In passato i privati, molto a macchia di leopardo, hanno commissionato opere di rilievo. Ma il ruolo del pubblico è diventato trainante e di grande impatto sulla cultura architettonica con il trasferimento delle competenze dallo Stato alla Provincia autonoma negli anni settanta. A traino sono così arrivati anche i singoli comuni, e poi un maggior numero di privati, comprendendo che le opere di qualità sono un ottimo biglietto da visita per la committenza e il territorio.

4.
No, vi sono troppe differenze, su molteplici livelli: morfologiche (il nostro paesaggio non è solo quello dolomitico), etniche, culturali, di formazione. Infatti, il catalogo della mostra di Merano è eterogeneo: dall’espressionismo di matrice hadidiana all’astrazione purista. Si tratta comunque di un arricchimento in termini di elaborazione linguistica. Posso invece sostenere che, se c’è un denominatore comune, va ritrovato in una familiarità metodologica nell’impostazione del lavoro, mentre forse altrove, in Italia, si punta di più sugli aspetti della figurazione e dell’elaborazione formale.
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Last modified: 20 Luglio 2015