Milano. Chiariamolo subito: non è una mostra di orologi, né il solito spot commerciale dello sponsor travestito da evento culturale, come sempre più spesso accade di vedere. Al contrario, va riconosciuto a Panerai, sponsor di «OClock», il merito di aver creduto in un progetto che alla celebrazione pubblicitaria della marca preferisce la riflessione critica su uno dei temi più sfuggenti e centrali del pensiero contemporaneo: il tempo. Argomento complesso e controverso che è stato affrontato dalla curatrice Silvana Annicchiarico con la consueta densità di pensiero e chiarezza espositiva, grazie anche alla felice collaborazione con Patricia Urquiola che ne ha curato lallestimento.
Per Marguerite Yourcenar il tempo era un «grande scultore». «OClock» ce lo presenta invece come un «grande designer» per la sua capacità di conformare azioni, pensieri e oggetti. Il che significa innanzitutto affrontare i «tempi» del design, rifuggendo dalla classificazione storica degli oggetti che hanno misurato il tempo o dal rapporto che i maestri del design hanno avuto con gli strumenti (dai calendari agli orologi) delegati a questa misurazione. Se infatti larte figurativa, il cinema e la fotografia hanno sviluppato unapprofondita riflessione sul tema del tempo, il design si è limitato a trattare questo argomento rinchiudendolo entro le categorie della precisione, della misurabilità, della funzionalità. Eppure i rapporti fra tempo e design sono molto più complessi e sorprendenti sia dal punto di vista estetico che funzionale, come documentato da questa mostra. Per la curatrice, «OClock» è una ricognizione sincronica delle possibili relazioni che alcuni oggetti o progetti contemporanei intrattengono con il tempo e con le problematiche a esso connesse. Più che nel segno di kronos, «OClock» si colloca sotto il segno di kairos: non una successione logica o cronologica di oggetti ma un insieme aggregato per il tipo di percezione che sollecita, di emozioni che accende, di pensieri che innesca.
In mostra unampia selezione di opere site-specific, installazioni, oggetti di design, opere darte, video di artisti e designer internazionali che cercano di rispondere a domande quali: «In che modo misurare il tempo?» o «Come mostrare il tempo che passa?». Nella prima delle tre sezioni, dedicata alla misurazione del tempo, Urquiola ha creato un gioco tra percezioni e visioni con strumenti di misurazione per oggetti sorprendenti e poetici come il collage di Louise Bourgeois o il Chrono Shredder di Susanna Hertick, un rotolo che scorre e passa nel tritadocumenti mimando un tempo sminuzzato, distrutto, eliminato. La seconda sezione riguarda gli oggetti che attraversano il tempo e il tema del viaggiare nel tempo. Dal manifesto del non tempo, la celeberrima 433 di John Cage alla 0,5 G/min di Albin Karlsson: un contenitore di cera bollente ruota di un giro allora lasciando cadere a terra una goccia di cera al minuto per una scultura in divenire. Interessante e bello anche il vaso di Marcel Wanders della One Minute Collection, dipinto a mano in un minuto, tempo nel quale il designer ha cercato di catturare nel blu della porcellana di Delft i limiti e la misura del gesto creativo. La terza sezione è dedicata alla rappresentazione del tempo, unelegante successione di limbi in cui sono ambientati piccoli teatri dove gli oggetti dialogano fra loro. I vari oggetti sono visibili solo una volta oltrepassati i limbi stessi. Bisogna quindi «guardare indietro» per vedere le opere. Vale la pena avvicinarsi e godersi la meraviglia della sedia «imbalsamata» Harvest, dove Asif Khan ha trasformato la plastica in materiali organici per fermare il tempo in una forma o come listallazione finale di Urquiola con Deis, dove il coniglio di Alice nel paese delle meraviglie, cinsegue non appena poggiamo il piede nella sua area, per poi tirare fuori lorologio con sguardo minaccioso non appena ci fermiamo. Lossessione del Bianconiglio, sempre in ritardo e di corsa, è la nostra per il tempo che passa, per la paura di sprecarlo. Ma, come diceva John Lennon, «Il tempo che ci piace buttare non è buttato». www.triennale.org
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