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Written by: Inchieste

Che cosa è cambiato dall’Irpinia all’Aquila

Dondolavo. Impiegai tempo a capire. E capii solo perché una mamma tirò fuori dal passeggino il suo bambino urlando: «È il terremoto!». 
Epicentro. Cratere. Corona. Fascia a e Fascia b. Casa distrutta, inagibile, parzialmente inagibile. È il nuovo vocabolario a cui gli italiani piano piano vanno abituandosi. Trent’anni fa toccò a me, e a tutti coloro che abitavano nelle aree interne della Campania e della Basilicata. Quattro anni prima, era il 1976, era toccato ai friulani. Nel 1997, diciassette anni dopo l’Irpinia, il nuovo abecedario sarebbe stato patrimonio degli umbri e dei marchigiani. Poi dei molisani, infine degli aquilani. È un Paese che traballa. Trettica, dicono all’Aquila. Trettica ovunque. 
[…] Fu la fila la prima forma di organizzazione e autogestione importata dall’esterno. Bisognava rimanere in fila, non superarla, attendere il turno per poter mangiare alla mensa allestita dal Comune di Milano. Non c’era mai stata una fila da rispettare al mio paese. Il medico non avrebbe fatto mai la fila, o il notaio. In fila stavano solo i poveri quando al municipio ritiravano il buono dell’ente assistenza. Il titolo per il ritiro settimanale della pasta, della carne in scatola, degli alimenti di base. La mia terra era povera e Manlio Rossi Doria, grande meridionalista, l’aveva per l’appunto definita osso. L’osso del Sud comprendeva tutto il crinale appenninico che divide la Campania dalla Lucania. Osso qui, polpa lì, sulla costa. 
[…] Il terremoto della Campania e della Basilicata riuscì a unire l’Italia come mai era successo prima. Durò qualche mese quel clima inebriante, attivo, partecipe. Il Nord ci aiutava e noi sentivamo il corso di un destino nuovo.
[…] Piano di recupero. Credo che fosse l’estate del 1981 quando intesi, ed era sempre la prima volta, che uno strumento urbanistico avrebbe stretto tra le braccia il mio paese. Era una meraviglia […] l’accesso all’idea di una coscienza che si elevava, doveva misurarsi con quelle nuove regole che avrebbero portato sapienza, conoscenza, qualità.
Un altro mondo. E altra vita in confronto a ciò che ventinove anni dopo sarebbe avvenuto all’Aquila, con il terremoto trasformato in grande evento, la Protezione civile in ordine militare, la televisione in strumento di propaganda e sorveglianza. L’Irpinia contadina si animò nelle tendopoli e L’Aquila, città nobile e colta, città d’arte al centro dell’Italia, fu rinchiusa in quelle tende.

(Da Terremoti SpA. Dall’Irpinia all’Aquila. Così i politici sfruttano le disgrazie e dividono il Paese, Rizzoli 2010)

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Last modified: 10 Luglio 2015