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Written by: Inchieste

Le aree di trasformazione urbana/2: Castello e il nord-ovest

Il destino dei territori a nord-ovest, nella piana tra Firenze, Prato e Sesto, e in particolare nell’area di Castello compresa tra l’aeroporto di Peretola e viale XI Agosto, costituisce, ormai da metà Novecento, uno dei principali temi di riflessione dell’urbanistica fiorentina. Tutti i piani urbanistici, dagli studi per il Prg del 1951 al piano Detti del 1962, fino alle recenti formulazioni del Psc prevedono in questa parte della città interventi di grande rilievo.
Inizialmente la destinazione delle aree di espansione a nord-ovest della città è industriale; solo con la fine degli anni cinquanta compare nell’area di Castello la destinazione terziaria e direzionale: il «Porto», destinato ad accogliere le attività commerciali e direzionali che «strangolano» il centro storico e a costituire il grande centro direzionale per l’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia. La previsione è collegata anche all’ipotesi di localizzare a Castello la nuova stazione ferroviaria della città, nonchè di spostare l’attuale aeroporto in un’area libera da vincoli tra Prato e Pistoia. Nessuna di queste scelte urbanistiche però si concretizzerà, nonostante diversi studi e progetti, il bando di un concorso internazionale per il centro direzionale (1976) e soprattutto l’elaborazione della «Variante Fiat-Fondiaria» (seconda metà degli anni ottanta), che nell’area di 186 ettari di proprietà Fondiaria a Castello prevede 3 milioni di mc. Nonostante un notevole sforzo, che vede coinvolti numerosi e importanti urbanisti e architetti (Paolo Sica, Gianfranco Di Pietro, Norman Foster, Oswald Mathias Ungers, Vittorio Gregotti, Carlo Aymonino e Gino Valle) il progetto, peraltro fortemente criticato, viene clamorosamente annullato nel 1986.
Dopo alcuni anni di oblio l’idea di un intervento urbanistico a Castello, assai ridimensionato sia in termini quantitativi che nella portata strategica, viene riproposta nel 1992 dal piano Vittorini. L’area d’intervento rimane la stessa, mentre la superficie da destinarsi a parco viene portata a 80 ettari; le volumetrie ammesse, che all’adozione ammontano a 2,2 milioni di mc, in sede di approvazione vengono ulteriormente ridotte e portate a 1,4 milioni. Nel 1999, ben 89.000 mq vengono destinati alla Scuola sottoufficiali dei carabinieri, a cui viene assegnata un’area di 20 ettari. Quello che cambia rispetto alle formulazioni precedenti è soprattutto la natura delle funzioni da insediare, in quanto nel frattempo una parte importante delle previsioni originali di natura direzionale e terziaria trova altre collocazioni.
Lo stesso Piano guida di Richard Rogers, a cui l’intervento era sottoposto dal Prg, propone non tanto il «caposaldo del sistema terziario-direzionale metropolitano» quanto un quartiere a destinazione prevalentemente residenziale, compatto e ben articolato, che mantiene solo alcune, anche se decisive, funzioni direzionali pubbliche. Al progetto di Rogers fa seguito la predisposizione del Piano attuativo, approvato nel 1999, e la lunga e tormentata vicenda urbanistica di questa area sembra giungere a conclusione. L’incarico della progettazione di dettaglio è affidata allo studio Archea per la parte urbana e a Christophe Girot per il parco. Se si eccettua però la Scuola dei carabinieri, pensata al di fuori di ogni progetto d’insieme per l’area (e divenuta tristemente nota per un forte conflitto tra le imprese Baldassini Tognozzi Pontello di Riccardo Fusi e Astaldi sull’assegnazione del ricco appalto in cui si assiste alla presenza inquietante degli stessi protagonisti dell’inchiesta sui cantieri dei Grandi eventi), i lavori non prendono avvio, anche perchè gli interventi che dovrebbero costituire il volano economico dell’intero progetto, cioè le sedi della Regione e della Provincia, stentano a decollare. A complicare ulteriormente il quadro, un’altra e precedente inchiesta della magistratura su possibili collusioni e favori tra amministratori pubblici locali e il Gruppo Ligresti divenuto proprietario dell’area, porta nel 2008 alle dimissioni dell’assessore all’Urbanistica Gianni Biagi dell’allora giunta Domenici e del dirigente responsabile del Psc Graziano Cioni.
Più recentemente, due importanti proposte irrompono prepotentemente sulla scena: la «Cittadella dello sport» (proposta dalla società proprietaria della squadra di calcio cittadina che, secondo lo schema elaborato dallo studio Fuksas, dovrebbe ospitare, insieme al nuovo stadio e alle relative strutture di supporto, anche ristoranti, alberghi e centri commerciali), e il potenziamento dell’aeroporto con modifica della pista. Tutte le soluzioni proposte confliggono con l’assetto urbanistico precedentemente stabilito e rendono i destini di quest’area di nuovo aperti.
Ciò potrebbe anche presentare risvolti positivi in quanto offre l’opportunità per riaprire una riflessione seria e approfondita sul significato urbano e territoriale degli interventi da attuarsi a Castello, che dovranno necessariamente legittimarsi nuovamente all’interno di una visione di assetto metropolitano di tutto il sistema urbano fiorentino, come d’altronde era stato fatto cinquant’anni fa quando venne lanciata per la prima volta la proposta. Ma un dubbio atroce subito si palesa: ne siamo ancora veramente capaci? E, per essere più precisi, che cosa ci resta delle competenze urbanistiche necessarie per elaborare visioni urbane di così grande portata dopo decenni di esercizi centrati quasi esclusivamente sul versante del «controllo normativo-procedurale», del «porre limiti» e della negazione del progetto? E soprattutto, c’è un apparato politico-amministrativo disponibile e capace di raccogliere e gestire la sfida, quella cioè di elaborare una strategia coerente e adeguatamente definita di trasformazione degli assetti urbani di ampio respiro e di lunga visione? Il rischio è che il glorioso destino pensato per Castello alla metà del secolo scorso svanisca del tutto e l’area diventi il mero raccoglitore d’ingombranti «frammenti» urbani che non sappiamo dove collocare, come fin troppo bene evidenzia il gigantesco «fortino turrito» della Scuola dei carabinieri che, inevitabilmente, non fosse altro che per la sua mole, conduce e apre a un’altra e ancor più drammatica domanda: la costruzione di questa agghiacciante struttura è il frutto dell’ennesimo «errore di percorso» oppure rappresenta la più coerente interpretazione di un modus operandi ormai imperante e dunque l’illuminante manifesto di quello che il futuro ci riserverà?

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Last modified: 10 Luglio 2015