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Written by: Progetti

Restauro distratto in stile «bolidista»

Bologna. «Veramente non c’è casa più limpida di quella di Morandi»: iniziando il suo libretto Ritratto di Morandi, Cesare Brandi sottolineava la rilevanza dell’intimo rapporto esistente tra il calmo luogo di lavoro del pittore bolognese e i suoi quadri. Ma l’identità di tale relazione fatta di spazi estetici e di accorti accostamenti, di «poveri polverosi oggetti» divenuti segni costantemente ripetuti nella sua opera, è stata trasformata dal recente recupero che ha richiesto 16 anni di collaborazione fra Comune, Mambo e Unindustria, un anno e mezzo di lavori e 700.000 euro. «Casa Morandi» rinasce soffocata da un allestimento che snatura l’originaria purezza degli ambienti in cui Giorgio Morandi è vissuto dal 1910 fino alla sua morte. Una doppia e contraddittoria anima ne caratterizza il distratto restauro: alla ricostruzione filologica dell’anticamera, del ripostiglio e dello studio, ristabiliti con meticolosità da Carlo Zucchini nel loro stato originale con il modesto mobilio in legno, i pavimenti in cotto, gli intonaci scarni con i pochi quadri sparsi sulle pareti e con il ricollocamento degli oggetti appartenuti a Morandi, si contrappone l’invadente scenografia di contorno firmata da Massimo Iosa Ghini.
Disturbando la «poverissima consistenza» della quiete cercata da Morandi per ritirarsi dal mondo e depositata sulle sue tele, il progetto ricorre all’esibizione tecnologica e al rumore delle registrazioni video, a pavimenti in resina, a serigrafie e arredamenti in plastica, a oggetti di design in stile «bolidista» che stonano con gli oggetti icastici, distanziandosi senza riserbo dalle forme elementari delle bottiglie e degli anonimi barattoli. Il passaggio dall’austero spazio originario ai nuovi ambienti reinventati crea un vero e proprio dramma visivo. Durante il percorso espositivo al visitatore non è dato cogliere il nucleo autentico della casa, stravolta nella distribuzione dei suoi spazi da sale espositive risolte funzionalmente per attivare un centro studi inadatto al contesto. La mancata conservazione integrale della casa riduce gli unici interni fedelmente riadattati, resi inaccessibili al pubblico da barriere trasparenti di vetro, a frammenti preziosi, ma quasi casuali, di un percorso «cinematografico» concepito senza un programma scientifico preciso. Nel compiaciuto tentativo di mettere in mostra se stesso, inserendo sin dentro le stanze ricostruite faretti disegnati da lui stesso, il nuovo arredatore di «Casa Morandi» (immortalatosi in uno schermo sistemato immediatamente all’ingresso dove è ubicata la postazione informativa…) ignora il rigore del luogo con incongrue soluzioni progettuali. Anche la biblioteca personale dell’artista  è stata ripensata con scaffali ad ante grigliate che oscurano i libri del pittore, strumenti essenziali del suo lavoro, non a caso scelti spesso come sfondo preferito in quei rari scatti fotografici con i quali Morandi si faceva ritrarre.
Per quegli estimatori dell’arte che con imbarazzo riescono a fatica a trovare un significato in questa incurante sovraesposizione mediatica, la perduta limpidezza evocata da Brandi è ancora rintracciabile recandosi a Palazzo D’Accursio. Qui, nelle antiche aule medioevali si può ammirare l’ampia collezione donata alla città dalla sorella del pittore. Appesi su muri bianchi e spogli i dipinti sono immersi in un silenzio nobile che pervade lo spazio, testimoniando meglio di ogni autoreferenzialità la semplicità espressa dai pochi gesti controllati delle pennellate di Morandi.

Autore

  • Matteo Agnoletto

    Professore associato in Progettazione architettonica all'Università di Bologna. Coordina il Laboratorio "Ricerca Emilia", unità di lavoro del Dipartimento di Architettura impegnata a sviluppare scenari, temi, idee per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 2012. Tra le attività svolte, la cura della mostra "Interno perduto" con le fotografie di Giovanni Chiaramonte e "Architetture padane".

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Last modified: 17 Luglio 2015