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Written by: Progetti

Ancora sul restauro del pronao della basilica di Sant’Andrea a Mantova


Il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, Mario Turetta, risponde alla lettera del Presidente del Comitato Centro Studi Leon Battista Alberti, Francesco Paolo Fiore (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 73, maggio 2009) sui lavori eseguiti nel vestibolo sinistro del pronao della Basilica di Sant’Andrea a Mantova con un estratto della relazione redatta da Daniela Lattanzi ed Elena Romoli dell’Ufficio di Direzione dei lavori della Direzione regionale, pubblicata integralmente sul sito www.lombardia.beniculturali.it.
 
Il progetto di conservazione della facciata della Basilica di Sant’Andrea si è posto l’obiettivo teorico e metodologico di conservarne le stratificazioni, purché compatibili con i materiali sottostanti. In quest’ottica è stato eseguito un intervento cauto e mirato, così da evitare rimozioni di finiture. Nell’ambito dei lavori, in soli tre casi si è dovuto optare per l’asportazione di superfici, quando risultate ammaloranti (rappezzi cementizi degli intonaci di fondo, scialbo novecentesco sulle cornici dei portali architravati e all’imposta della volta) o non recuperabili (vernici distaccate e lacunose sulla porta). Per quanto riguarda alcune velature e reintegrazioni necessarie, corrisponde a una precisa necessità di pianificazione dell’intervento di restauro, suddiviso in due lotti distinti in ragione dei finanziamenti, la decisione di rimandare alla fase di completamento le scelte definitive sul trattamento di alcune superfici che generano criticità interpretative. Questo per consentire la possibilità di confrontare le stratigrafie e di verificare ulteriori riscontri tra documenti d’archivio, dati materiali e risultati diagnostici. Durante i lavori nel vestibolo sinistro è emerso che le finiture del restauro ottocentesco di Paolo Pianzola, ultimo apporto coerente e documentato su questa parte della fabbrica, sono in realtà assai lacunose. Ciò premesso, questi sono gli aspetti salienti di quanto rilevato e realizzato nel corso dell’intervento:
1) sia le indagini eseguite con il cantiere di prova del 2005, sia le successive verifiche stratigrafiche, hanno confermato quanto riportato da Pianzola nella sua «Descrizione delle opere» del 1 agosto 1828, ovvero che l’intervento ottocentesco non ha conservato le cromie, le finiture, gli intonaci, gli apparati lapidei quattrocenteschi, i quali sono risultati rimossi. Pianzola esegue una rilettura critica e re interpretativa dell’immagine della facciata secondo il gusto neoclassico e l’allora prevalente indirizzo, a carattere sostitutivo, del restauro.
2) l’intervento ha conservato tutte le stratificazioni di intonaco e di tinte presenti sugli sfondati delle pareti, comprese quelle novecentesche, e non ha messo in luce precedenti strati preparatori.
3) sulle decorazioni a stucco della volta sono presenti lacerti della finitura ottocentesca, costituita da uno scialbo composto da due strati di pittura a calce e uno finale a gesso; il corpo rosato dello stucco è un impasto di gesso ed ematite. Con l’intervento non vi è stato tentativo alcuno di lasciare emergere la «verità» del materiale, conservando altresì i lacerti di finitura presenti e attenuando l’effetto rosato dello stucco dove cromaticamente prevalente. Non si è ritenuto di reintegrare la tinta a base di gesso, non campionabile secondo un riferimento certo, per l’alterazione cromatica della patina di ossalati di calcio.
4) sulle cornici dei portali laterali decorate in pietra di Nanto e sulla cornice in cotto di imposta della volta era stesa una tinta ocra-marrone in fase con il colore novecentesco degli sfondati che è stata rimossa per gli effetti dannosi riscontrati sulle superfici decorate, lacunose, scagliate e decoese a causa della ridotta traspirabilità della tinta. Non sono stati rinvenuti altri strati di finitura sugli elementi architettonici in pietra. Invece, sulla decorazione in cotto all’imposta della volta, l’eventuale stesura di una velatura che attenui l’effetto cromatico delle lacune, deve considerare la presenza di lacerti della finitura ottocentesca e il degrado che ha notevolmente deformato il modellato, per cui si andrebbe a tonalizzare una superficie lacunosa e degradata con una cromia non accertabile dai lacerti superstiti. Questo pone ulteriori criticità interpretative che si è ritenuto di demandare al secondo lotto di lavori, nell’evidenza di ulteriori elementi di conoscenza.
5) la decisione di tinteggiare il fregio della trabeazione dei portali architravati in analogia alla tinta ottocentesca rinvenuta sugli sfondati delle pareti dell’atrio deriva dagli esiti stratigrafici, che non hanno rilevato soluzioni di continuità tra fondo e fregio. Se, da un lato, si concorda che dal punto di vista architettonico ciò può determinare un’anomalia nella composizione dei portali, dall’altro si ritiene fondamentale eseguire la medesima verifica sugli elementi corrispondenti del vestibolo destro, quando per poter accordare i due lotti di intervento e calibrare le tonalità finali, si darà un’ultima mano di tinta su tutti gli sfondati del vestibolo e il trattamento superficiale dei portali lignei.
In conclusione, preme chiarire che l’intervento eseguito dalla Direzione regionale non ha affatto inteso affermare scelte ideologiche riconducibili alla supposta «logica, tutta contemporanea, della verità dei materiali nella restituzione della facies ottocentesca», bensì ha conservato le finiture presenti – laddove non ammaloranti – rinunciando a interpretazioni arbitrarie in assenza di dati certi sia di carattere storico documentario, sia diagnostici, sia stratigrafici. L’ ufficio di Direzione dei lavori ha già avviato un positivo confronto con la Fondazione Centro Studi Leon Battista Alberti e con la comunità scientifica interessata con l’obiettivo comune di assicurare la conservazione dell’insigne monumento su una base di conoscenze il più possibile amplia e diversificata.

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Last modified: 18 Luglio 2015