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Lucia Pierro e Marco ScarpinatoScritto da: Città e Territorio Mosaico

Ritratti di città. Larnaka, complessa riconciliazione (culturale) per una Cipro divisa

Ritratti di città. Larnaka, complessa riconciliazione (culturale) per una Cipro divisa
Il terzo centro urbano dell’isola mediterranea sarà Capitale Europea della Cultura nel 2030. Una realtà attuale di fratture e di lacerazioni, un futuro con il rischio di risposte ulteriormente esclusive

 

LARNAKA (Cipro). L’11 dicembre 2025 Larnaka è stata designata Capitale Europea della Cultura 2030 (insieme a Leuven, Belgio, e a Nikšić, Montenegro) vincendo la competizione con Limassol. La nomina, promossa dall’organizzazione Larnaka2030, promette una rigenerazione culturale sostenuta da 10 milioni di euro di finanziamenti statali. Dietro questo riconoscimento internazionale si cela tuttavia una realtà urbana e sociale contraddittoria, segnata dalla divisione geopolitica del 1974 e dalle tensioni irrisolte tra sviluppo turistico, equità abitativa e inclusione sociale. 

Larnaka rappresenta quindi un caso emblematico delle opportunità e dei rischi che accompagnano i programmi “Capitale della Cultura” nelle città post-conflitto europee, soprattutto quando la cultura diventa veicolo di trasformazioni economiche e territoriali più profonde.

 

Intorno alla Green Line

La storia di Larnaka è inscindibilmente legata alla divisione dell’isola. Nel luglio 1974, in seguito al golpe militare greco, la Turchia lanciò l’Operazione Attila, un’invasione che sfociò nella separazione dell’isola con conseguenze umane catastrofiche: circa 162.000 greco-ciprioti divennero rifugiati interni, mentre 4.500 – 6.000 furono uccisi, feriti o dispersi. Simultaneamente, la maggior parte dei turco-ciprioti fu costretta a trasferirsi nel nord occupato, creando un esodo parallelo che moltiplicò la tragedia. La divisione è formalizzata dalla Green Line, un’area demilitarizzata istituita dall’ONU lunga 180 chilometri che occupa circa 350 chilometri quadrati. L’isola è oggi divisa in tre zone: la Repubblica di Cipro che controlla il 59% meridionale; il territorio settentrionale autoproclamatosi Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuto solo dalla Turchia, che copre il 36%; e la zona cuscinetto gestita dall’ONU, pari al restante 5%, dove circa 10.000 persone vivono in condizioni precarie. Nel 2024, le violazioni della buffer zone – costituite da costruzioni abusive e avanzamenti illegali – sono aumentate del 70% rispetto all’anno precedente, segnalando una crescente tensione territoriale.

Dopo il 1974, la Turchia avviò una politica sistematica di insediamento nel nord, trasferendo circa 150.000 – 160.000 turchi e curdi dall’Anatolia. La popolazione greco-cipriota rimasta nel nord è crollata da 20.000 a circa 600 persone, con forti restrizioni nei diritti fondamentali. Nonostante le risoluzioni dell’ONU e dell’UE richiedano il ritiro delle truppe turche, molti attori internazionali continuano a derubricare la questione come “disputa intercomunitaria” anziché come occupazione militare, contribuendo così alla sua permanenza per mezzo secolo.

Prima dell’invasione, Larnaka era una città portuale minore. Il blocco del porto di Famagosta, finito nella parte occupata, e la chiusura dell’aeroporto internazionale di Nicosia resero necessario individuare un nuovo snodo infrastrutturale nazionale. Il porto di Larnaka fu quindi radicalmente ampliato diventando lo scalo principale della Repubblica di Cipro mentre l’aeroporto di Larnaka assunse il ruolo di primo hub del Paese. Da città marginale, Larnaka divenne così il fulcro logistico e turistico dell’isola, configurandosi come “città della divisione”, dove le fratture geopolitiche si tradussero in opportunità infrastrutturali. In questa dinamica si inserisce il progetto del nuovo waterfront firmato da Forster + Partners che sostituirà 2 chilometri delle raffinerie della compagnia petrolifera Petrolina Group.

 

Turismo e disuguaglianze

Alla crescita esponenziale di Larnaca non è corrisposta una altrettanto equilibrata integrazione sociale. Il quartiere di Scala, cuore identitario della comunità turco-cipriota, nel 1974 si svuotò rapidamente: la maggior parte degli abitanti fuggì verso Trikomo, oggi Yeni İskele. Scala, con la sua storia millenaria, è oggi un vuoto urbano, sospeso in un tempo immobile dal 1974. Negli ultimi due decenni, Larnaka ha vissuto una trasformazione radicale incentrata sulla valorizzazione mercantile del lungomare di Finikoudes. Questo spazio, con i filari di palme piantati durante l’epoca coloniale britannica, è stato trasformato in una promenade di lusso con hotel internazionali, ristoranti di fascia alta e attrazioni turistiche. 

Il turismo è oggi la forza trainante dell’economia urbana. Tuttavia, questa prosperità è segnata da profonde disuguaglianze. L’espansione turistica ha provocato un aumento drastico dei prezzi immobiliari e degli affitti, spingendo i residenti storici verso periferie prive di servizi.

Botteghe artigianali, caffè familiari e ristoranti tradizionali sono state sostituite da franchising globali, generando una monocultura turistica che ha eroso la diversità del tessuto sociale proponendo edifici commerciali come quello del Mercato pubblico di Larnaca realizzato da Tsolakis+Partners a seguito della vittoria ad un concorso di progettazione. L’economia urbana si è polarizzata: lavori stagionali e sottopagati da un lato, e dall’altro una ristretta élite immobiliare che accumula capitali grazie alla speculazione. Parallelamente, l’espansione edilizia recente – dagli appartamenti di lusso sul waterfront alle torri residenziali rivolte a investitori stranieri localizzate in aree pregiate come la Mackenzie beach – ha accentuato la pressione abitativa. 

Opportunità e rischi del ruolo europeo

I programmi di golden visa, rivolti principalmente a investitori extra-UE, hanno contribuito alla trasformazione di interi isolati in asset finanziari più che in spazi di vita reale. Le periferie popolari, invece, restano escluse da interventi concreti di rigenerazione, evidenziando un doppio binario di sviluppo che riproduce vulnerabilità sociali.

La candidatura Larnaka2030 è stata costruita su due assi: la valorizzazione del patrimonio storico della città e la promessa di una riapertura attraverso progetti culturali inclusivi come “Pathkia”, che coinvolge i quartieri periferici, e la Biennale di Larnaka, che nel 2025 ha registrato 526 applicazioni da 76 paesi. 

Tuttavia, l’esperienza di altre Capitali della Cultura solleva interrogativi. Palermo 2018 costituisce un caso studio emblematico: la nomina ha accelerato dinamiche di gentrificazione, espulsione dei residenti, trasformazione dei mercati storici in attrazioni turistiche, proliferazione di Airbnb e concentrazione immobiliare nelle mani di speculatori. Il nodo centrale risiede nel modello di rigenerazione fondato sul city branding e sul turismo: i finanziamenti pubblici privilegiano progetti visibili e mediaticamente accattivanti – festival internazionali, installazioni monumentali, eventi spettacolari – a scapito di investimenti strutturali in housing sociale, infrastrutture pubbliche e riqualificazione equitativa dei quartieri. La cultura diventa così uno strumento per legittimare trasformazioni orientate al turismo ed accelerare l’esclusione dei residenti a basso reddito dal centro urbano producendo valore immobiliare invece che benessere collettivo.

A rendere il quadro più complesso vi è il fatto che Larnaka è una città di confine in un paese ancora diviso. A pochi chilometri dal lungomare turistico si incontra la Green Line con i suoi checkpoint militari. Sorprende che questo elemento centrale sia quasi assente dal dossier di candidatura. Per molti greco-ciprioti, la divisione non è un dato storico ma una ferita quotidiana: case perdute visibili ma irraggiungibili, famiglie separate da 50 anni, una memoria collettiva senza prospettiva di ricomposizione.

Il contrasto con Nicosia è evidente, la capitale ha infatti scelto di affrontare direttamente la divisione attraverso la mostra “Sector 2: Nicosia”, ospitata al Leventis Museum e prorogata fino al giugno 2026. Ripercorre, in 4 sezioni, gli anni cruciali 1956-1974, affrontando convivenza, fratture e tentativi di riconciliazione, ricreando uno spazio espositivo labirintico che riflette la geografia stessa della città divisa. Nicosia appare come un modello alternativo, che integra la dimensione conflittuale nel discorso culturale urbano, mentre Larnaka – almeno nel dossier ufficiale – sembra eluderla. Una strategia che solleva interrogativi sulla capacità del programma 2030 di generare inclusione autentica.

La nomina di Larnaka come Capitale Europea della Cultura è certamente un’occasione significativa, ma non può essere interpretata come uno strumento neutrale. I programmi di rigenerazione culturale, quando operano senza una visione urbanistica e sociale, rischiano di accelerare processi già in atto di gentrificazione, privatizzazione dello spazio e marginalizzazione delle comunità residenti.

Il vero test per Larnaka2030 consisterà nel trasformare il riconoscimento europeo in benefici concreti per i residenti a basso e medio reddito, investendo in housing sociale, servizi pubblici e nella rigenerazione delle periferie. Una rigenerazione autentica richiede inoltre il riconoscimento della divisione territoriale come elemento strutturale della contemporaneità urbana. Qualsiasi progetto culturale orientato all’inclusione deve confrontarsi apertamente con questa lacerazione geopolitica ancora irrisolta, contribuendo a immaginare forme possibili di riconciliazione.

Solo così la cultura, intesa come progetto collettivo di convivenza, potrà realmente superare la condizione di un’isola ancora divisa da muri fisici e da un persistente silenzio politico.

Immagine di copertina: Larnaka, scorcio del quartiere Scala

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Tag: , , , , , Last modified: 14 Dicembre 2025