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Written by: Progetti

Un grande, raffinato, magazzino per rivoluzionare l’agricoltura

Un grande, raffinato, magazzino per rivoluzionare l’agricoltura
Visita allo stabilimento di Planet Farms, in Lombardia, lungo l’autostrada A9. Dietro un involucro rivestito da listelli in legno, un ambiente produttivo unico: innovativo, automatizzato, straniante

 

CIRIMIDO (Como). Non c’è terra nell’agricoltura del futuro. E nemmeno improvvisazione ma tanta, tanta automazione. Gli operatori non toccano mai i prodotti, indossano camici e guanti, tutto è pulito come nella sala operatoria di un ospedale.

 

Verticale, ma soprattutto orizzontale

Per cambiare sguardo e prospettiva sul mondo (e sull’agricoltura) che verrà, è utile una visita a Cirimido, piccolo paese in provincia di Como, lungo l’autostrada che porta da Milano alla Svizzera. Non inganni il nome e lo slogan che campeggia su uno dei lati di questo grande edificio di 11.000 metri quadrati, con pianta rettangolare, circa 150 metri per 75: “Go Vertical”.

Di verticale c’è ovviamente l’idea e la visione di un’agricoltura (insalata, erbe aromatiche e basilico per ora) che cresce grazie ad elementi sovrapposti, tipo vassoi, impilati uno sull’altro. Ma per il resto questo è un luogo che racconta una dimensione soprattutto orizzontale: nasce all’interno di un importante vivaio (Peverelli, quelli che hanno contribuito a realizzare il Bosco Verticale di Milano, tra le altre cose), ha mantenuto la destinazione urbanistica agricola nonostante ospiti un imponente volume, percorsi e flussi pedonali si intersecano con quelli dei camion che ritirano e distribuiscono i prodotti (migliaia di coloratissimi sacchetti di carta destinati a negozi e supermercati), a pochi metri corrono sull’autostrada auto e mezzi pesanti. Tutto è pianeggiante, le montagne compaiono all’orizzonte, verso nord.

I luoghi della produzione (ugualmente divisi tra crescita, raccolto e logistica) sono localizzati al piano terra, circa 10 metri di altezza interna. Sopra c’è un altro livello, ospita gli eleganti, e ordinatissimi, ambienti per gli uffici: geometrie di legno, partizioni vetrate, tessuti verdi. Sono stati disegnati da UniFor, il cui amministratore delegato Carlo Molteni racconta: “Il nostro obiettivo era creare spazi che non fossero solo operativi, ma che rispecchiassero anche l’identità di Planet Farms, unendo l’efficienza alla bellezza”.

Proprio lì ci accoglie Luca Travaglini, che di Planet Farms è chief technology officer e co-fondatore (insieme a Daniele Benatoff). Le sue sono parole radicali: “Siamo il fattore decisivo di una necessaria rivoluzione agricola. L’unica reale: l’agricoltura di precisione altro non è che un trattore col gps, quella idroponica si fa da secoli. Sotto i nostri piedi invece succede qualcosa di fortemente diverso. Non siamo agricoltori sotto un tetto, rappresentiamo l’industria alimentare al massimo livello di tecnologia. Strutture come queste ridisegnano gli equilibri globali: permettono di produrre dove più forte è la richiesta, in ogni momento. Suoli fertili, disponibilità di acqua, meteo non sono più un discrimine. Le condizioni socio-demografiche stanno mettendo in difficoltà Madre Natura. Qui noi la aiutiamo, supportando sicurezza alimentare e sovranità nazionale”.

 

Due ettari di superfici producono come seicento

L’agricoltura del futuro è una sequenza di corridoi e stanze. Procedure di vestizione, divieto di fotografie, ambienti video-sorvegliati. Pulizia, ordine, rigore. Tutto è automatizzato, anche la regolazione del clima e i percorsi, oltre alle procedure. Non c’è spazio per la sorpresa o per l’errore. Rassicurante, e insieme straniante. “Il risultato di 7 anni di ricerca. E di una quantità di dati impressionante, oltre 1 tera al giorno quelli raccolti su crescita e sviluppo, dal seme alla pianta pronta per essere raccolta”, dice ancora Travaglini.

Il seme viene collocato da un braccio meccanico nel sottilissimo strato di fibra di cocco alloggiato nei vassoi. Quindi viene movimentato dai rulli nelle camere di coltivazione. Per un periodo compreso tra 21 e 28 giorni (a seconda delle varietà) starà lì, con condizioni igrometriche studiate secondo le esigenze delle diverse fasi di vita (“Perché noi non illuminiamo artificialmente, ricreiamo il ciclo del giorno e della notte”). Germoglierà, crescerà sotto forma di foglie che quindi – mai toccate da mano umana, ma controllate ogni secondo da sensori e camere – verranno tagliate e imbustate. Perfino l’inserimento nei cartoni è gestito dalle macchine. Gli agricoltori del futuro (in Planet Farms lavorano circa 100 persone di 12 nazionalità; una ventina quelle che servono per far funzionare uno stabilimento come quello di Cirimido) hanno competenze ingegneristiche e gestionali, sanno programmare, parlano di dati e lavorano ai terminali.

Storicamente la coltivazione agricola è frutto dell’interazione tra uomo e luogo, implica il contatto, la contaminazione. L’hanno descritta in tanti, a partire da Catone a Cicerone. O in epoche più recenti, Emilio Sereni. Costruendoci narrazioni, anche eroiche.

Entrare nel sito di Cirimido significa cambiare registro sfidando anche certi refrain consolidati. Come quelli secondo cui, nel nostro paesaggio infrastrutturato, l’agricoltura diventa fattore di difesa, di unicità e di riscatto. “Noi non possiamo intervenire nei brownfield, abbiamo bisogno di costruzioni nuove, in contesti comodi e accessibili. Costruzioni che hanno una logica industriale e sono costose: l’investimento qui è stato di oltre 60 milioni di euro”, spiega ancora Travaglini. E allora la sostenibilità si misura con parametri diversi: questa forma di agricoltura permette di risparmiare il 95% di acqua, di suolo e di fertilizzanti rispetto a quella tradizionale. Inoltre, elimina completamente l’uso di pesticidi e utilizza esclusivamente energia da fonti rinnovabili.

A Cirimido i circa due ettari di superfici nel capannone consentono di produrre quanto 600 ettari di terreno agricolo gestito normalmente. Un fattore moltiplicativo che rende comprensibile l’impatto che questa struttura inevitabilmente provoca: sorprendente, spiazzante, quasi disturbante.

 

Legno, ritmi, cicli

I graticci in legno e le onde generate dai listelli in facciata – così riconoscibili dall’autostrada – sono un elemento distintivo e identitario per l’edificio. La loro ragione, estetica prima che tecnologica (strutturalmente si tratta di un telaio in cemento armato con pannelli prefabbricati in granito come muratura perimetrale), sta proprio nel rapporto con la percezione in movimento dei flussi autostradali e con l’allusione al ritmo e alle sequenze delle alberature. Rimandi agricoli oltre che al vivaio in cui l’edificio sorge.

Il progetto architettonico è firmato da uno studio ticinese, Floriani & Strozzi Architetti. Filippo Floriani lo racconta così: “Abbiamo concepito un edificio che si inserisse in perfetta armonia con il paesaggio circostante, utilizzando materiali naturali e tecnologie avanzate. In questo modo, l’architettura diventa il riflesso della filosofia di Planet Farms: un equilibrio tra innovazione e natura”. Il volume imponente viene in qualche maniera mitigato dalle trasparenze dell’involucro ma non rinuncia a voler essere, a suo modo e con linguaggi rinnovati, una sorta di presenza monumentale, e non solo per le dimensioni.

Diventa emblema di un nuovo modo di fare e di produrre, attraverso l’immagine di uno dei più grandi hub mondiali di agricoltura verticale. Ma è anche un modo per raccontare la storia e lo sviluppo della società, Planet Farms. Perché il primo insediamento di questo tipo (oggi in programma ce ne sono ben 6) sorgeva non lontano da qui, su un’altra autostrada, la A4, a Cavenago, tra Milano e Bergamo. Più piccolo di quello di Cirimido, aveva un’immagine identitaria e riconoscibile con una struttura esterna in legno progettata da Dordoni Architetti: “un monumento sull’autostrada” dice Travaglini.

“Aveva” perché a fine gennaio del 2024 la struttura è andata in fumo. Colpa, sembra, di un compressore che ha scatenato un incendio devastante. In quei mesi Cirimido era solo un cantiere, l’inaugurazione era prevista per il 2026. L’accelerazione dei lavori, che si sono chiusi con un anno di anticipo, ha permesso di dare continuità ad un’attività che, nella sua ambizione (che non è quella di sostituire la coltivazione in pieno campo, ma di supportarla e affiancarla con una visione complementare e rispettosa del lavoro agricolo) così come nei suoi paradossi, è profondamente contemporanea.

Immagine di copertina: Planet Farms, Cirimido (Como), 2025 

Autore

  • Michele Roda

    Architetto e giornalista pubblicista. Nato nel 1978, vive e lavora tra Como e Milano (dove svolge attività didattica e di ricerca al Politecnico). Dal 2025 è direttore de ilgiornaledellarchitettura.com

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Last modified: 5 Novembre 2025