Nella capitale serba, che si prepara all’Expo 2027 tra polemiche e contestazioni, la grammatica dell’urbano post-socialista vira su modelli neoliberal
BELGRADO (Serbia). Al crocevia dei Balcani, tra il Danubio e la Sava, Belgrado attraversa una fase di profonda trasformazione politica, urbana, sociale. Dalle barricate delle facoltà universitarie, Facoltà di Architettura inclusa, occupate da novembre 2024, alle proteste diffuse in tutta la Serbia che sostengono e corroborano l’azione di protesta e disobbedienza degli studenti in risposta alla strage di Novi Sad, fino ai preparativi per il prossimo Beograd Expo 2027, emerge una sensazione diffusa di volatilità e di assenza di una visione chiara per il futuro della capitale serba.
“Come Berlino, 15 anni fa”
L’abbandono e il tradimento da parte del corpus istituzionale affarista che vende i pochi e preziosi spazi vuoti di Belgrado a sviluppatori immobiliari e costruttori è la manifestazione delle dinamiche, delle forze e delle contingenze in azione nell’area balcanica. Questo momento di rottura, di crisi politica, di disobbedienza sociale regala un’occasione unica per comprendere e riconoscere le traiettorie decisionali riguardanti la Serbia e Belgrado.
Nei primi 6 mesi del 2025 ho osservato queste trasformazioni da vicino. Ho subìto il fascino della città e l’ho accoratamente pubblicizzata e raccontata ad amici e colleghi. Come risposta all’entusiasmo generato tra i miei contatti ho ricevuto anche un video dove Belgrado veniva descritta entusiasticamente in un post Instagram come la “Berlino di quindici anni fa”. Mi sono interrogata più volte sul significato di questo slogan. È Belgrado una città ancora non esposta ai processi di modellazione e di omologazione storica, culturale e territoriale occidentali? È una città a rischio? La grammatica dell’urbano è vasta e mutevole e ricorre a modelli omologanti.
Creare immagini e tracciare dinamiche convenzionanti è pericoloso per le città: il rischio è quello di creare un modello, un immaginario di riferimento che renderebbe manifesta una sola idea di luogo e ne escluderebbe ennesime altre. Mi sono chiesta che tipo di città sia Belgrado e come sia possibile e rispettoso raccontarla oggi. Belgrado è un locus stratificato, ma non può essere letta come un oggetto storico e deve essere raccontata in tante direzioni: per via dell’identità storico politica che si sta formando nelle nuove generazioni, per l’orma socialista lasciata nell’acqua della cultura serba, per via delle più recenti relazioni e rapporti internazionali del governo serbo con l’audience politica internazionale.
Belgrado non è il brutalismo patinato da copertina e non è uno slogan stampato sulle shopping bag del Barbican Center. Il modernismo socialista è parte integrante dell’identità della città nel 2025 e ci insegna molto di più di quanto possa fare la religione iconoclasta del béton brut. Infatti, il valore dell’architettura modernista di Belgrado è rilevante ancora oggi perché mette a sistema molteplici fattori e circostanze. In tal senso, l’architettura modernista serba racchiude innovazioni tecnologiche, vocazioni sociali e utopie egualitarie.
Emblema delle trasformazioni post-socialiste
Belgrado è una città costruita su un’idea precisa di spazio urbano: città‑monumento, centro politico e polo strategico della Repubblica Socialista di Jugoslavia. Oggi questa legacy si legge nella Central Zone monumentale con il Palazzo della Serbia e nei blokovi residenziali a Novi Beograd: ampie aree verdi, spazi per il tempo libero e luoghi condivisi dalle comunità di quartiere, dove vivibilità e aggregazione sociale erano priorità progettuali.
Novi Beograd, la città nella città, è il paradigma di questa eredità. I blocchi monumentali 61-64, realizzati tra il 1973 e il 1980 esprimono un modernismo monumentale su scala oltre‑umana. Il Block 23, terminato nel 1974, con le sue torri di 17 piani, ambiva a concretizzare un ideale di vita collettiva in un ambiente moderno e monumentale, definito all’epoca barocco brutale. Ma Novi Beograd non è un blocco monolitico di modernismo e di movimenti progettuali: il Blocco 45, per esempio, con le sue costruzioni a C su 5 piani, suggerisce un modernismo più organico e un avvicinamento ai precetti del postmoderno, una scala architettonica più umana, attenzione alla prossimità e tentativi di mixité sociale.
Novi Beograd è stata realizzata per incarnare l’ideale jugoslavo di una capitale moderna che nel tempo è diventata un paesaggio stratificato: ieri laboratorio di sperimentazione modernista, oggi territorio emblematico di trasformazioni post-socialiste. La sua storia non si legge come una sequenza di cesure ma come un processo continuo scandito da episodi di riconfigurazione urbana e sociale. In questo processo la memoria dei luoghi non è custodita solo da leggi o istituzioni ma soprattutto dalle comunità che li abitano.
Questa tensione non riguarda solo Novi Beograd: in tutta Belgrado si moltiplicano i casi di progetti speculativi che minacciano parti storiche e moderne, dal complesso del General Staff alle ville di Neimar. Essere un bene vincolato non basta a salvarsi, soprattutto in un contesto in cui, come denuncia l’architetto Vladimir Pajić, la corruzione “è al cuore stesso della professione”.
Un waterfront rinnovato e simbolico
A partire dal 2010, e con crescente intensità sotto la presidenza dell’attuale Presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vučić, Belgrado ha virato verso il rinnovo del suo volto al fine di attrarre capitali esteri e investitori globali. Il progetto simbolo di questa stagione è il Belgrade Waterfront, intervento speculativo sorto sulla riva est del fiume Sava, un tempo luogo di magazzini, spazi pubblici e del prezioso palazzo della Vecchia Fiera di Belgrado (polo fieristico nel 1938, campo di concentramento nazifascista durante la Seconda Guerra Mondiale, di nuovo polo fieristico e direzionale negli anni Sessanta e Settanta, attualmente svuotato e in attesa di ricollocamento in vista dell’Expo 2027).
Oggi, al loro posto, sorgono grattacieli residenziali, hotel di lusso, centri commerciali. Un waterfront che somiglia a tanti altri, tanto a Dubai quanto ad Oslo, e che sembra rispondere più agli standard estetici e finanziari del mercato globale che ai bisogni della popolazione. Scelte e direzioni che sono ben descritte come una “nuova politica pubblica centrata sul capitale che ha privilegiato i valori basati sul mercato e la mercificazione”, come scritto in un recente articolo da Dragana Ćorović, Srđan Korać e Marija Milinkovi.
La città ha scelto una strategia di sviluppo che privilegia la privatizzazione di aree strategiche e la costruzione di nuove verticalità ad alta densità abitativa a scapito del patrimonio modernista post-socialista, dei vuoti urbani, del verde pubblico. Ciò avviene nonostante l’esistenza di un robusto corpus normativo di riferimento: il Masterplan di Belgrado 2021 (adottato nel 2016), che costituisce il principale strumento normativo per la pianificazione urbana, dovrebbe regolare non solo l’edificabilità ma anche la salvaguardia delle aree urbane non edificate e destinate al verde.
Tuttavia le analisi critiche condotte da organizzazioni di ricerca indipendenti e attivisti come il Ministarstvo Prostora (Ministero dello Spazio) dimostrano l’inefficacia dello strumento. Tali studi hanno sistematicamente evidenziato come, nonostante le previsioni e gli indici di tutela, l’implementazione dello strumento di gestione della città e dei suoi spazi sia stata lacunosa e permissiva, soggetta a continue modifiche e deroghe.
Di conseguenza, il territorio cittadino è visibilmente eroso e in pericolo: più del 10% del verde è scomparso a Belgrado in 20 anni, e circa 58 ettari di aree verdi non sono stati riconosciuti come tali nei piani, venendo classificati come terreni edificabili. La ri-destinazione del suolo ha spesso coinvolto anche lotti sotto pressione abitativa e demografica, compromettendo gli standard di servizi residenziali come parcheggi e infrastrutture vitali per la qualità della vita dei residenti. Belgrado rischia di diventare un autoritratto urbano costruito da interessi esterni, di diventare un’immagine confezionata per mercati e turisti come predetto da Jacques Le Goff. La pressione immobiliare genera fenomeni di omologazione urbana, dislocamento di comunità storiche e perdita di un’identità fisica, dei corpi e delle architetture della città.
Attivismo e diritto alla città
Belgrado però non è solo una vittima passiva di questi processi. La città resiste. Lo fanno gli attivisti del Ministry of Space, che documentano e denunciano la svendita del patrimonio pubblico. Lo fanno i collettivi di quartiere a Nuova Belgrado “Blok je nas, Za nas Kej” o “Kreni Promeni” che difendono gli spazi verdi e i lotti liberi dall’acquisizione o costruzione nottetempo di edifici. Lo fanno gli studenti della Facoltà di Architettura, trasformata in un laboratorio di pensiero critico sul futuro della città e aspra forma di opposizione al partito al potere Srpska Napredna Stranka guidato da Vučić.
Belgrado, nel 2025, sembra oscillare tra il desiderio di progresso e la perdita di ciò che la rendeva unica. Se continuerà a inseguire modelli importati senza una grammatica urbana condivisa dalla cittadinanza rischia di diventare una città allucinata, omologata e al contempo frammentata, divisiva, moderna solo in apparenza.
Ma Belgrado è anche il campo di battaglia dove si sperimentano nuove forme di cittadinanza attiva. Raccontarla ora significa non solo descrivere una trasformazione urbana ma interrogarsi sulla sostenibilità sociale, politica e culturale dei modelli di sviluppo neoliberisti. Quali città vogliamo abitare domani?
Immagine di copertina: sito di cantiere sul lotto della demolizione dell’Hotel Jugoslavia, Belgrado (© Giulio Marzullo, 2025)
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Le riflessioni proposte scaturiscono dal progetto SEE:4C (South Eastern Europe: 4 Cities): una ricerca interuniversitaria finanziata nell’ambito del bando PNRR TNE (Trans National Education) che vede la collaborazione tra il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, la Facoltà di Architettura dell’Università Belgrado, l’Università del Montenegro, l’Università Ss. Cyryl and Methodius di Skopje e il Politecnico di Tirana.
Per comprendere come i recenti cambiamenti edilizi e normativi stiano trasformando Belgrado e incidendo sulla professione dell’architetto, una testata giornalistica serba offre analisi d’inchiesta che mettono in luce le tensioni tra interesse pubblico e investimenti privati, la gestione del patrimonio e le implicazioni sociali delle nuove politiche urbanistiche: Vladimir Pajić, “Jedan projekat je namenjen javnosti, a drugi investitoru” (“One project is intended for the public, another for the investor”), Vreme, marzo 2024. Disponibile online.
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Belgrado , modernismo socialista , rigenerazione , ritratti di città , Serbia , urbanistica e mercato
Last modified: 30 Luglio 2025


























