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Written by: Città e Territorio

Ritratti di città. Podgorica dai molti nomi

Ritratti di città. Podgorica dai molti nomi
La capitale del Montenegro si trasforma mettendo a rischio il proprio passato. Un grande progetto culturale ha la firma italiana

 

POGDORICA (Montenegro). Podgorica è una città dalle identità stratificate. Nata come Birziminijum nell’antichità e conosciuta come Alata nel periodo pre-feudale, divenne Ribnica in epoca medievale, quando la struttura feudale ne ridisegnò l’assetto. Con l’arrivo dell’Impero Ottomano assunse il nome con cui è oggi conosciuta: Podgorica, “sotto la piccola montagna”, in riferimento alla collina di Gorica che ne segna il confine settentrionale. 

 

Dal dopoguerra una forte espansione urbana

Nel 1946 fu ribattezzata Titograd, in onore di Josip Broz Tito, leader della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Ma fu un’identità temporanea: con la dissoluzione della federazione nel 1992, la città riacquisì il suo nome originario, che ancora oggi custodisce le tracce di un passato mutevole. Capitale del Montenegro, con circa 190.000 abitanti, Podgorica si sviluppa sull’intersezione di cinque fiumi, il più importante dei quali è il Morača. Affacciato sulla sua sponda orientale si trova il quartiere storico di Stara Varoš, testimonianza dell’epoca ottomana con moschee, una torre dell’orologio turca e un tessuto urbano fatto di strade strette affiancate da case basse. Il piccolo fiume Ribnica separa quest’area dal centro ottocentesco di Nova Varoš, pianificato secondo modelli europei, con strade ampie e disposizione ortogonale, in netto contrasto con il tessuto organico della città ottomana. Oggi Nova Varoš rappresenta il cuore civico e amministrativo della città.

Nel 1944, Podgorica contava meno di 6.300 abitanti, ridotta allo stremo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Quando divenne capitale della neonata Repubblica Popolare del Montenegro, la città avviò una rapida fase di crescita, trainata da un ambizioso programma di modernizzazione socialista. Al censimento del 1991, la popolazione aveva superato i 117.000 abitanti. L’espansione urbana interessò soprattutto la sponda occidentale del fiume Morača, dove a partire dagli anni Sessanta sorse il quartiere di Novi Grad. Anche Nova Varoš, gravemente danneggiata durante il conflitto, fu ricostruita secondo i principi del modernismo.

 

L’eredità del modernismo socialista

L’eredità moderna della città si manifesta nell’architettura brutalista del dopoguerra: residenze, scuole, infrastrutture e ospedali incarnano i principi funzionali ed egualitari del modernismo. Dopo la rottura con lo stalinismo nel 1948, la Jugoslavia intraprese una via autonoma al socialismo, fondata sull’autogestione e la partecipazione operaia anche nei processi urbani e architettonici. Tra il 1945 e il 1983 furono costruite oltre 3,6 milioni di unità abitative in tutto il Paese: l’architettura divenne così progetto collettivo e strumento di identità politica.

Un esempio emblematico è Blok 5 (1977-1984), un quartiere residenziale progettato da Mileta Bojović, composto da 13 edifici a torre e a stecca. La varietà tipologica, le facciate spezzate e la flessibilità degli interni riflettono l’ideale di unità nella diversità, a conferma di un’architettura che ambiva a bilanciare individuo e collettività. L’Hotel Podgorica (1967) di Svetlana Kana Radević rappresenta un altro vertice di quell’eredità. Situato sul fiume Morača, si fonde con la topografia e il paesaggio fluviale usando materiali locali come la pietra grezza, reinterpretando in chiave moderna l’identità vernacolare montenegrina.

L’ex sede del Comitato Centrale Amministrativo del Montenegro, progettata da Radosav Žeković nel 1966, è anch’essa un esempio dello strutturalismo architettonico. I volumi lineari, orientati secondo gli assi viari, dialogano con il contesto urbano e residenziale, evitando l’astrattezza funzionalista di altri interventi coevi. Altri edifici pubblici significativi sono il Centro Sportivo e Ricreativo Morača (1980), il Centro Clinico, la sede della Radiotelevisione del Montenegro e i dormitori studenteschi. La Chiesa del Sacro Cuore di Gesù (1969), unico edificio brutalista religioso della capitale, è un caso raro: un ascendente percorso di ingresso culmina in un pozzo di luce che illumina l’altare, creando una suggestiva scenografia spirituale.

 

Transizione tra mercato, memoria e nuove strategie urbane

Con la fine della Jugoslavia e il crollo del comunismo, Podgorica ha affrontato una lunga fase di instabilità economica, isolamento internazionale e frammentazione urbana. Gli anni Novanta, segnati da iperinflazione, disoccupazione e conflitti regionali, hanno lasciato profonde ferite. L’indipendenza del Montenegro nel 2006 ha rappresentato una svolta politica, ma la città ha faticato a trovare una direzione coerente per il proprio sviluppo architettonico e urbano.

Nel tentativo di allinearsi a modelli occidentali, Podgorica ha adottato una strategia imprenditoriale orientata al mercato, visibile nel proliferare di centri commerciali e quartieri residenziali standardizzati. Il Delta City Shopping Center, il City Mall, i nuovi insediamenti come Central Point, City Quart e il cantiere di New City hanno spostato il baricentro urbano sulla sponda occidentale del Morača. Questa modernizzazione, spesso guidata da logiche speculative più che progettuali, ha generato nuove centralità, ma ha sottratto significato, alterando l’eredità urbana socialista e generando frammenti discontinui e spazi monotoni, senza creare un autentico senso del luogo e lasciando irrisolto il nodo dell’identità visiva. 

Accanto alla costruzione del nuovo, si è aperta una questione più profonda: quella della stratificazione e della memoria. Il rapporto tra la Podgorica contemporanea, la Titograd socialista e la città ottomana rimane una frizione irrisolta, tra rimozione, oblio e riscoperta distorta del passato. Secondo il Ministero della Cultura, circa il 69% del patrimonio culturale del Montenegro risulta oggi compromesso.

Stara Varoš, nucleo storico della città, è il caso più emblematico: privo di tutela formale e sempre più isolato, è stato definito dagli architetti locali “la città anodizzata”, a indicare la progressiva erosione dell’identità culturale. Anche il patrimonio moderno è in pericolo: l’Hotel Crna Gora, costruito nel 1953, è stato demolito quasi interamente per far posto a un Hilton (2016); accanto all’Hotel Podgorica è stata costruita una torre direzionale di 12 piani che ne compromette la composizione architettonica; la sede del quotidiano “Pobjeda”, progettata da Ilija Šćepanović, sarà sostituita da nuovi volumi direzionali.

In questo quadro complesso, la promozione di concorsi pubblici di architettura rappresenta uno degli strumenti più significativi con cui Podgorica cerca oggi di ridefinire la propria immagine urbana. Il più ambizioso è quello per il nuovo Museo d’Arte Contemporanea, il Museo di Storia Naturale e il Parco delle Arti e della Cultura, vinto nel 2023 dal team guidato dallo studio a-fact con LAND, Maffeis Engineering e Charcoalblue. Il progetto trasformerà un’ex caserma sul Morača in un campus culturale di 17.000 metri quadrati e un parco botanico di 10.000 metri quadrati, con oltre 500 nuovi alberi, tetti verdi e facciate ispirate al paesaggio montuoso.

Accanto a questo, si segnalano concorsi per la progettazione di scuole primarie, centri sanitari, uno stadio di atletica e un secondo liceo. L’obiettivo è colmare le lacune infrastrutturali del passato recente e consolidare l’identità contemporanea della capitale, con interventi che uniscano qualità architettonica, sostenibilità e senso del luogo.

In una città dalla memoria così stratificata, il futuro non può essere costruito sulla rimozione, ma sulla conoscenza e valorizzazione consapevole del passato. Solo riconoscendo il valore culturale e urbano di ogni fase storica – dall’impronta ottomana all’eredità socialista – Podgorica potrà generare nuove identità che non cancellino, ma integrino e trasformino quelle precedenti, dando forma a uno spazio urbano capace di rispecchiare la continuità con il passato pur rispondendo alle necessità del presente. 

Immagine di copertina: Hotel Podgorica e nuova torre Bemax, Podgorica (© Ludovica Rolando)

Le riflessioni proposte scaturiscono dal progetto SEE:4C (South Eastern Europe: 4 Cities): una ricerca interuniversitaria finanziata nell’ambito del bando PNRR TNE (Trans National Education) che vede la collaborazione tra il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, la Facoltà di Architettura dell’Università Belgrado, l’Università del Montenegro, l’Università Ss. Cyryl and Methodius di Skopje e il Politecnico di Tirana.

Autore

  • Ludovica Rolando

    Ludovica Rolando è un'architetta e assegnista di ricerca post-dottorato presso il Politecnico di Torino. Ha recentemente conseguito il dottorato in “Architettura. Storia e Progetto” presso il Politecnico di Torino, in co-tutela con la Universitat Politècnica de Catalunya – ETSAB. Ha studiato architettura al Politecnico di Torino, alla UCL-Université Catholique de Louvain in Belgio e alla Universidad de Los Andes di Bogotá, in Colombia. Ha collaborato con gli studi di architettura F: L Architetti, Torino (2016), TeamMinus, Pechino (2016), e Miralles Tagliabue EMBT, Barcellona (2019-2020), oltre che con il laboratorio di ricerca FULL – Future Urban Legacy Lab. La sua ricerca si concentra sull’abitare e, più nello specifico, sull’interazione tra progetto architettonico e uso dello spazio da parte degli abitanti: quali modalità d’uso lo spazio rende possibili e come gli utenti interagiscono con esso e lo trasformano.

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Last modified: 30 Luglio 2025