Reportage nei Centri PILARES, Punti di Innovazione, Libertà, Arte, Educazione e Conoscenza: sono circa 300
CITTÀ DEL MESSICO. Rosalina sorride: si sta preparando per il diploma primario. Racconta di non aver avuto l’occasione di studiare nei primi 82 anni di vita e di aver incontrato questa possibilità nell’edificio situato nel centro di Iztapalapa, uno delle Alcadias più densamente popolate di Città del Messico, caratterizzato da un basso livello socioeconomico e alti tassi di violenza.
Al suo fianco siede Maria, di soli 4 anni più giovane. Ha il viso simpatico (o forse solo felice) di chi insegue un obiettivo vitale, ma sa di poterlo raggiungere. Lei ambisce al secondo livello di diploma.
Ma ciò che sorprende ancora di più è il bimbo di 6 anni che sta in fronte alle due donne anziane. Guarda fisso nello schermo del suo computer, maneggiando codici incomprensibili, che permettono al suo piccolo robot di perlustrare l’angolo di scrivania che gli è concesso. Ancora sbatte su ogni ostacolo che gli si pone di fronte, ma presto imparerà ad evitarli. Lui è molto concentrato e sembra non gradire più di tanto gli ospiti stranieri che, a differenza delle dirimpettaie, percepisce come elementi di disturbo.
Sono una ventina le persone che siedono ai tavoli della sala più grande del primo piano, tutti impegnati in attività diverse, ma compresenti nel medesimo spazio. Complessivamente gli utenti abituali si possono dividere in 3 fasce di età: 30% da 0 a 15 anni, 30% da 15 a 30 anni, un altro 30% da 30 a 60, 10% maggiori di 60 anni. Il 64% sono femmine ed il 36% maschi. Tornando verso la scala, sulla sinistra le ampie vetrate mostrano le movenze di una dozzina di danzatrici che controllano i gesti dei loro corpi agli specchi i quali, coprendo la parete, amplificano lo spazio e raddoppiano la percezione della popolazione, già cospicua, che utilizza l’edificio.
La cucina misura grossomodo 50 mq ed al centro è allestito per l’occasione un lungo tavolo apparecchiato: Ana e le sue compagne stanno preparando un pasto per gli ospiti, ma solitamente qui non si consuma, bensì ci si forma all’arte culinaria. I sapori son naturalmente quelli popolari, anch’essi specchio della realtà del quartiere, anche se – in fondo – ognuno porta e condivide le proprie esperienze personali, come deve essere in una cucina comune. Ogni tanto però, queste pietanze deliziose oltrepassano le mura dell’edificio, e diffondono i sapori nell’occasione delle ricorrenze di quartiere. Oltre la stanza dove alcuni confezionano gioielli artigianali, dall’altra parte Roxana a 41 anni programma videogames, mentre Martin traffica con un quadro di stampa azzurro e, nonostante si muova con grande sicurezza, dice che a 62 anni sta apprendendo la tecnica della serigrafia. Se sopra le nostre teste volteggiano senza paura ragazzine che praticano danza aerial silks, sul lato destro un gruppo di sei persone si prepara per il canto di Natale con la lingua dei segni.
Centro Eduardo Galeano
Progetto: Rozana Montiel
Il progetto di Rozana Montiel per Il Centro Eduardo Galeano è uno spazio coinvolgente di circa 650 metri quadrati e la descrizione dell’edificio non ha senso senza il racconto degli abitanti che lo popola. Questa moltitudine variegata di personaggi non è altro che un’estrema sintesi, un estratto del tessuto sociale che si incontra dentro Colonia Presidentes de México, il quartiere che lo ospita e che viene accolto dalla piccola piazza che anticipa l’ingresso dell’edificio.
Il cuore dell’edificio è la corte allungata intorno a cui si ruotano gli spazi dedicati alle attività. Il dinamismo che caratterizza l’architettura è ottenuto da un sapiente utilizzo delle pareti vetrate che delimitano – solo climaticamente – gli spazi chiusi. In realtà sembra che le distinte attività stiano sempre insieme a tutte le altre e la doppia altezza della corte non fa altro che proiettare questa sensazione nella terza dimensione. La leggera depressione del pavimento della corte rende lo spazio centripeto, permettendo anche la seduta. È il luogo ideale per le rappresentazioni che ogni tanto si svolgono, alimentando ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno, la versatilità di questo progetto.
I materiali utilizzati per la costruzione sono dei blocchi striati di cemento con una velatura cromatica rosata, alternati a telai di acciaio e solai di cemento. La disposizione dei blocchi è sufficientemente varia: compatta oppure ritmata da lasciare spazi tra un blocco e l’altro, tanto da generare partizioni ermetiche, ma anche diaframmi permeabili; contribuiscono, insieme all’alternarsi dei patii con gli spazi delimitati, ad un paesaggio micro-urbano composito, ricco di luci e relazioni diverse tra loro.
Il perimetro esterno di blocchi è incorniciato dentro un frame abbastanza rigoroso di travi e pilastri in cemento, i quali compongono una griglia tridimensionale che caratterizza tutto il complesso. La combinazione compositiva degli elementi materici è segno di una cultura architettonica che incrocia la tradizione del moderno, ancora molto presente nella capitale messicana, con la cultura architettonica contemporanea nazionale, di cui Montiel è una delle rappresentanti più significative.
Ma in fondo è l’esatta e più intelligente reinterpretazione di un linguaggio “autonomo” di cui le vastissime porzioni periferiche della capitale sono caratterizzate. È questa capacità fenomenale di dialogo con il contesto che l’edificio dimostra ed è forse il motivo di questa accettazione, diremmo incondizionata, da parte della comunità dei cittadini.
Un programma intenso di inclusione sociale
PILARES, di cui Il Centro Galeano fa parte, è uno dei programmi governativi usciti dalla spinta riformatrice della ex-sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, dal 2024 Presidente del Messico.
Nel 2016, mentre era sindaco di Tlalpan, Sheinbaum ha implementato il programma Asesorías Educativas Presenciales y en Línea en Cibercentros de Aprendizaje con Jóvenes (Consiglio educativo presenziale e online nei centri di apprendimento informatico con giovani) progettato per combattere il ritardo educativo. Questo programma offriva a persone di tutte le età l’opportunità di completare l’istruzione primaria, secondaria o superiore gratuitamente e online.
Nel 2017 il programma è stato ribattezzato Cyber Schools 2017 e migliorato con aule attrezzate, mobili e computer con accesso gratuito a Internet. Grazie a questi miglioramenti, il programma è riuscito a servire quasi 5.800 studenti, con una distribuzione del 59% donne e del 41% uomini, tutti tra i 15 e i 29 anni.
Nella tappa intermedia di una carriera travolgente che in solo 8 anni la porterà a diventare Presidente del Messico, Sheinbaum è eletta come prima donna Sindaca della capitale. Uno degli impegni fondamentali che Claudia Sheinbaum ha assunto durante il suo mandato è stato quello di trasformare Città del Messico in un luogo di diritti, dove i giovani abbiano accesso alle opportunità e tutte le comunità possano godere di una vita dignitosa e di qualità. Da questa visione è nato il progetto PILARES.
Uno dei primi atti del nuovo governo della città è una sorta di evoluzione dell’esperienza delle Cyber-scuole di di Tlalpan. L’obbiettivo è molto ambizioso: costruire 300 centri nei 16 comuni (quartieri) della città, promuovendo l’istruzione, la cultura e lo sport, soprattutto nelle aree marginali. PILARES è l’acronimo di Puntos de Innovación, Libertad, Arte, Educación y Saberes che già lascia preludere quello che dovrà essere lo spirito versatile degli spazi che lo ospiteranno.
Meno vincoli e più idee per ottenere spazi in cui i cittadini possono svagarsi, apprendere, condividere e contribuire alla società in maniera attiva.
Non tutte le tipologie di tessuto urbano in cui si insediano questi centri sono comparabili, Città del Messico è troppo vasta per avere una omogeneità leggibile; perciò le superfici degli edifici risultano abbastanza eterogenee, comunque compresse in un intervallo di metrature che vanno dai 100 ai 2000 mq (come rappresentato nello schema sotto, come fossero stanze di un alloggio), mentre il programma funzionale risulta abbastanza simile. Anzi si può dire che sia proprio l’assenza di un programma preciso il codice genetico comune di questi edifici.
Non sempre l’architettura svolge un ruolo fondamentale, anche perché in alcuni casi non si tratta di nuove costruzioni e talvolta nemmeno di adattamenti, ma di semplici assegnazioni di uno spazio. Vale la pena di sottolineare però che la scelta di investire sull’architettura ha rappresentato in molti casi la scelta determinante. Per questo Javier Hidalgo, il direttore del programma PILARES, va molto fiero dei risultati e non nasconde la soddisfazione nell’accompagnarci in alcuni degli esempi più riusciti di queste operazioni. Ci tiene inoltre a ricordare il nome dei progettisti, che considera fondamentali per la riuscita del programma.
Traspare dalle sue parole l’identificazione di buona parte della sua vita nel programma PILARES e sembra che il governo della città, attraverso di lui, non perda occasione di manifestare i risultati, non solo per un ritorno di consensi, quanto piuttosto di un sincero processo di identificazione nelle politiche sociali operate attraverso la costruzione di questi edifici.
Dal punto di vista della tipologia è difficile tracciare una linea comune, proprio perché gli obbiettivi richiedono, al contrario, un indebolimento tipologico in ragione della capacità di diversificazione degli spazi.
Di sicuro, esiste in molti progetti una condizione di centralità di uno spazio, che sia chiuso o all’aria aperta, che assurge al ruolo di “cuore pulsante” dell’edificio.
Centro Evangelina Corona
Progetto: Alberto Kalach
Nel Centro Evangelina Corona, progettato da Alberto Kalach, la navata centrale è incontrastabilmente lo spazio dominante. La sua potenza viene risaltata dalla sequenza di archi a doppia altezza e dal linguaggio crudo e sincero del cemento brutalista, che costituisce uno sfondo neutrale alle attività che si svolgono dentro gli spazi.
Le navate laterali invece sono molto ridotte in larghezza e pure in altezza e generate dai solai che intersecano gli archi. Le grandi strutture trasversali hanno il ruolo anche di scandire lo spazio delle attività che si svolgono in nicchie relativamente ridotte, rispetto alla misura generale dell’intervento.
È proprio questa la caratteristica di questo edificio e ribalta completamente la normale gerarchia tra lo spazio servito e quello servente e pure la più contemporanea concezione di spazi complementari.
Apparentemente, questo rapporto così sbilanciato sembrerebbe un azzardo, nell’assegnare le funzioni dedicate in piccoli spazi aperti su quello centrale e, di conseguenza, nel renderle soggette ad un disturbo reciproco. Invece appare proprio questa la scelta vincente; l’interazione vince sulla separazione e rende retorica la seguente questione: cos’altro è un centro sociale se non un luogo di aggregazione e di scambio, piuttosto che di isolamento?
Inoltre, qui vengono realizzati i grandi festoni di Papel Picado che addobbano molti momenti delle ricorrenze messicane, appese nella preparazione nella parte a doppia altezza. Così il laboratorio si trasforma immediatamente in una sorta di museo, con i pupazzi realizzati con la stessa tecnica che popolano il piano inferiore, in attesa di essere trasportati altrove.
Gli spazi effettivamente più tecnici, come bagni e spogliatoi, sono chiusi in aree circoscritte da muri di mattoni neri lucidi fugati di bianco, lo stesso materiale che chiude le pareti corte di fondo, arcuate in pianta. Gli arredi sono veramente semplici, realizzati di pannelli di legno non trattato con venature marcate, ad accentuare e ribadire il linguaggio radicale che domina gli ambienti.
Gli spazi aperti sono ridotti a due ulteriori navate laterali e ad un grande terrazzo abitabile dove fanno mostra le estrusioni dei lucernari che portano luce all’interno.
Centro Antonio Helguera
Progetto: studio a|911 (Saidee Springall y Jose Castillo)
Il Centro Antonio Helguera è invece situato nella Colonia Santa Maria Nonoalco, nella Alcaldía Benito Juarez, a sud-ovest del centro, sebbene non distante da questo (relativamente alle misure “territoriali” che caratterizzano quella che fino a qualche decennio fa era considerata la più grande e popolosa città del globo, oggi conta circa 10 milioni di abitanti, 25 l’area metropolitana).
L’impianto è totalmente diverso: sebbene la planimetria sia costretta dentro una griglia ordinata, proprio questa precisione delle forme primarie principali, fa sì che il quadrato centrale degli ambienti chiusi sembri flottare all’interno del rettangolo perimetrale. La relazione tra gli spazi coperti e quelli aperti è fortissima e questo rende l’idea di un complesso, più che di un semplice edificio.
Infatti, le attività didattiche si svolgono sia all’interno che all’esterno, quasi indistintamente. Nel lato meridionale, opposto all’ingresso, vengono anche coltivati degli alberi da frutto, come ci spiega il responsabile del Centro, che racconta una storia esemplificativa del potere di recupero che i centri PILARES svolgono all’interno del tessuto sociale complesso del quartiere. Se subito dopo l’apertura del centro il giardino veniva depredato da disadattati e ladri, proprio qui, successivamente, quegli stessi individui sono stati accettati dalla comunità e si occupano con passione – ed in prima persona – della cura e manutenzione delle essenze.
Ogni PILARES ha un responsabile che si occupa della gestione del centro e questo sembra essere il primo atto di partecipazione, fondamentale per l’esistenza del programma. Spesso gli addetti sono molto giovani, come nel caso del Centro Evangelina Corona, mentre altre volte, come qui, si tratta di pensionati che trovano una occupazione che li rende attivi nella società anche dopo il termine della loro vita lavorativa. Si capisce che sono parte del quartiere e non calati dall’alto. Questo alimenta sicuramente il grado di accettazione da parte della comunità.
All’interno le aule, ventilate ed illuminate naturalmente, si prestano a diverse attività, anche in questo caso molto eterogenee. Se il laboratorio di falegnameria è, ovviamente, il più connotato, nelle altre stanze possiamo apprezzare i volteggi del maestro di danza di origine brasiliana oppure ancora corsi di informatica, mentre vicino all’ingresso si realizzano le extension per parrucchiera; fino a qui risuonano le note del gruppo che si esercita con le chitarre. La croce asimmetrica dei corridoi di distribuzione divide l’edificio di 650 mq in sei spazi con le misure della griglia e dei suoi sottomultipli.
La luce prevalente è quella zenitale offerta dai lucernari, grandi trapezi estrusi che ritmano in maniera molto espressiva anche i prospetti esterni, come “cappelli” di cemento sopra i muri di mattoni che perimetrano l’edificio e i suoi spazi aperti.
Centro Úrsulo Galván
Progetto: studio a|911 (Saidee Springall y Jose Castillo)
Gli architetti dello studio a|911, capeggiati da Saidee Springall y Jose Castillo, sono gli autori anche del centro Úrsulo Galván, più o meno nella stessa parte di città dove sorge il Centro Eduardo Galeano.
Il lotto ha una geometria difficile, un parallelogramma che gli architetti decidono di non annichilire, ma al contrario di accentuare tagliando il terreno con una diagonale decisa che va da un angolo a quello opposto. Ne risultano due volumi triangolari con un vertice molto acuto.
I progettisti non si tirano indietro, ma elevano il livello della sfida introducendo il tema di un tetto a falde che, va da sé, acquisisce una complessità geometrica molto elevata. In mani poco abili la scelta rischierebbe effetti disastrosi.
Invece la sfida è vinta! L’alternanza di poliedri triangolari sdraiati, con apici contrapposti, non solo risolve brillantemente il rompicapo geometrico, ma anche si proietta con un carattere deciso, quasi iconico, sui prospetti con una invenzione che sembra rimandare, per alcuni versi, alle soluzioni lewerentziane, sebbene con forme molto diverse.
L’impronta formale è in grado di sopperire ai vincoli di budget (tutti gli edifici del Programma sono estremamente economici). Anche in questo caso i materiali entrano in risonanza con il contesto del quartiere di sviluppo urbano di Quetzalcóatl, nella delegazione di Iztapalapa.
Il basamento di mattoni si appoggia sul piano della città, mentre la parte superiore è connotata da una lamiera grecata bianca, supportata da una struttura metallica nera, lasciata a vista negli interni, e libera dalle partizioni degli ambienti che si fermano ad una altezza inferiore.
Centro Centro Cuicuilco
Progetto: TO, +UdeB Arquitectos, AGENdA
Di metallo, verde in questo caso, è costituito anche il Centro Cuicuilco, progettato da TO (Carlos Facio + José Amozurrutia), +UdeB Arquitectos (Felipe Uribe), AGENdA (Camilo Restrepo).
Il lotto in questo caso è molto difficile, in quanto stretto e lungo quasi cinquanta metri. L’impianto si deve confrontare perciò principalmente con questo problema. La soluzione è un’abile sequenza di spazi alternati vuoti e pieni. Le stanze, pur essendo staccate tra loro, sono in forte relazione visiva. Sospese sulla sottile struttura di acciaio, sono intervallate da piccoli patii per le attività all’aperto, guardandosi l’un l’altra.
Questo sistema è letteralmente abbracciato dal percorso a rampa che lo collega ed aiuta a superare gradualmente le diverse altezze di accesso. Se l’architettura lavora anche attraverso i gesti del suo corpo fisico, ecco che questo atto rende perfettamente l’idea di quanto sia accogliente questo edificio.
Anche l’impluvio formato dalle due falde di copertura è una specie di “espressione comportamentale” nell’atto di raccogliere l’acqua piovana, bene prezioso nei lunghi periodi di siccità di Città del Messico; è questa la miglior risposta – e la più pertinente – della nostra disciplina ad un’esigenza ambientale sempre più critica della nostra epoca: attraverso la forma.
Immagine di copertina: Centro Pilares Ursulo Galvan, a|911, Città del Messico (© Sandra Pereznieto)
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Città del Messico , Claudia Sheinbaum Pardo , Comunità , cultura , Messico , Pilares
Last modified: 22 Febbraio 2025