Animatore di discussioni e confronti, ha sollecitato impegni e azioni su questioni di particolare attualità sui rapporti tra architettura e comunità
Ho conosciuto Emilio Battisti nel lontanissimo 1968. Ero a Milano per lavorare con Vittorio Gregotti. Lui era uno dei migliori allievi dell’architetto novarese. Diventammo amici e, quando tornai a Roma, furono molte per lui le occasioni di venire nella capitale, di conoscere e frequentare molti degli architetti più interessanti che animavano il panorama romano.
Battisti era divenuto ben presto un docente universitario, un teorico innovativo e un progettista sperimentale di notevoli capacità. Partecipò con Gregotti, con me e con molti altri suoi amici a importanti concorsi, che ebbero un risultato positivo. Il giovane architetto, nato a Napoli ma vissuto a Novara, era ospitale e amichevole. Come professore era considerato uno dei migliori insegnanti della Facoltà di Architettura di Milano. Aveva inoltre un interesse costante per l’architettura della capitale lombarda, che egli ha animato per anni in discussioni da lui organizzate nel suo accogliente studio, che sembrava una sede personale e parallela fortemente attiva dell’IN/Arch.
Era anche un pittore, che a lungo produsse ritratti espressionisti, nei quali riusciva a rendere evidente il carattere delle persone che rappresentava. Per lui l’architettura aveva senso solo in quanto un luogo esplorativo del futuro, il quale doveva suscitare nella città un’energia trasformativa che la rinnovava costantemente in un ambito ampio e molteplice, per lui fondamentale. Il grande numero di queste opere sembrava l’insieme delle personalità che egli stimava e con le quali aveva dialoghi importanti e ricorrenti. Questa comunità era il suo mondo.
Tracciando un sintetico profilo della visione architettonica di Battisti si può considerarlo un post razionalista, che aveva superato la fenomenologia gregottiana, nonché la teoria delle preesistenze ambientali di Ernesto Rogers; era un situazionista che amava conoscere le radici misteriose delle città nel loro evolvere. Nel suo studio la costruzione di una socialità urbanistica faceva sì che una vitale partecipazione animasse i suoi continui incontri. La sua eredità culturale resterà a lungo, continuando a essere un dono notevole alla città da lui vissuta, dopo Novara, con una logica chiara e profonda e con una passione altrettanto forte.
Versione rivista del testo pubblicato sul blog del Centro Studi Giorgio Muratore archiwatch.it
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Last modified: 2 Dicembre 2024