A Fratta Polesine, visita alla casa natale del deputato assassinato dal fascismo, trasformata in museo immersivo a cura di Luca Molinari, con allestimento di studio 120grammi
FRATTA POLESINE (ROVIGO). 1.800 persone in una settimana: a pochi giorni dall’inaugurazione, il riallestimento della Casa-museo Matteotti è un successo pubblico. A sancirlo è l’attualizzazione della dimora storica in una vera e propria casa-museo secondo criteri museografici contemporanei che la trasformano in luogo vivo, dove l’architettura, gli interni, finanche gli arredi e i documenti sono ricompresi come unico corpo vibrante di cui il pubblico è l’interlocutore.
L’intervento, costato complessivamente 1 milione, è stato promosso e sostenuto dalla Fondazione Cariparo, in collaborazione con il Comune di Fratta Polesine (che gestisce la struttura) e l’Accademia dei Concordi di Rovigo (proprietaria per donazione degli eredi).
Il nuovo allestimento
Curato
da Luca Molinari e progettato dal veneziano laboratorio di architettura 120grammi, s’inscrive nella precedente ristrutturazione diretta da Alessandro Massarente che nel 2010 aveva reso agibile la residenza sobria e austera, lasciando la possibilità all’odierno intervento di attuare in modo meticoloso il recupero dei canoni estetici diffusi tra la borghesia benestante polesana a cavallo tra ‘800 e ‘900, oggi restituiti nella ricomposizione di alcune stanze con arredi e oggetti consensuali a una percezione delicata e chiara degli interni domestici dell’epoca.
Svincolare l’architettura dalla fissità in quanto cornice inerte entro cui s’inquadrano i frammenti che documentano in parole e immagini l’esistenza di Giacomo Matteotti (1885-1924) e attivare la trasformazione museale a partire dalla materia architettonica come veicolo vivo di conoscenza e sensazioni, sono i fondamenti del progetto museografico che interpreta la casa-museo come un diaframma complesso da cui traspira, tra accelerazioni e lunghe pause, la vita dell’abitante.
Dall’infanzia al sacrificio
Una vita, quella di Matteotti, che egli qui trascorre a tratti – i natali, la formazione giovanile – e a cui si ricongiunge il suo feretro esposto nel salone al piano terra il 21 agosto 1924 prima dei funerali verso il cimitero di Fratta, dove 14 anni dopo sarà sepolta anche l’amata moglie Velia Titta (1890-1938), “l’amore per la vita, uniti in qualsiasi lotta”, a cui fu osteggiato persino l’estremo riconoscimento delle persone care, indagate, trattenuti i messaggi di lutto; e dal suo feretro, ridotto a un anonimo numero 82, furono sequestrati due mazzi di fiori in quanto di colore rosso. L’oltraggio, le ferite e il dolore inferto ai corpi di Giacomo e Velia si ripercuotono nella massa muraria della casa, presa di mira dalla ferocia fascista e, dalla stessa, deformata in gabbia di dolore senza vie d’uscita.
L’eredità di una lezione politica
Intimità, sedimentazione, studio: il museo apre la casa a un profondo respiro oltre l’oppressione della censura e il goffo tentativo di cancellare ogni traccia del “Tempesta”, come era chiamato Matteotti, e dell’eredità della sua lezione politica. Senza però cancellare il dolore e la violenza subita, e il modo con cui la violenza pervade il cosiddetto “intorno” e quindi lo spazio, rendendolo partecipe e complice, se silente. Lo ricorda lo stesso Matteotti nel suo ultimo discorso alla Camera dei deputati: «Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale».
Il percorso di visita
Le parole di denuncia di Matteotti in quel 30 maggio 1924, e la difficoltà a prendere parola in un Parlamento pesantemente abbruttito e corrotto dalla violenza della forzata “maggioranza” di destra, si ritrovano al secondo piano della casa-museo, dove il pubblico viene esposto all’interno di un’ellisse metallica, un parlamento museale dove tutto è compresente: un panorama ellittico che evoca la lanterna magica come dispositivo alle origini del museo e nel contempo l’agorà come archetipo dell’assemblea.
Come in panorama screen si azzerano le istanze spazio-temporali, le immagini sono ordinate in una fessura luminosa, una finestra a nastro continua, e al centro vi è l’ascolto delle voci che recitano il discorso di Matteotti, reso documento vivo e inclusivo, dopo che la sua voce fu messa a tacere dalla distruzione fascista di tutte le sue registrazioni. Il panorama ellittico è il culmine dell’esperienza museografica che invita a riconsiderare la sensibilità e l’attitudine all’ascolto delle cose, delle voci recitanti certo, ma anche della materia come soglia sensoriale-cognitiva nel passaggio dalla casa al museo.
Ecco allora che attraverso il ferro e il vuoto, il progetto museografico rielabora il non-senso della violenza, inaccessibile al lutto, accentuando l’esperienza diuna memoria laica collettiva. Ferro attivo sono il pensiero e la lezione politica di Matteotti che si propagano in scariche di “tempeste” vitali, emanate da quattro ‘scrigni’ museografici che ad ogni piano della casa tengono in tensione l’intimità dell’ambiente domestico e la complessità dell’ordinamento museale. Il ferro grezzo con la sua calamina è la materia viva con cui una sottile architettura museografica attraversa in modo netto gli ambienti domestici, irrompendo nei 3 piani della casa con la durezza di una lama-lastra che è anche superficie avvolgente. Il vuoto struttura architettonicamente l’insieme dei corpi, umani e non, dando spazio alla ricerca di un proprio movimento diaframmatico nelle accelerazioni delle emozioni e nelle pause di sedimentazione del pensiero.
Ogni scrigno apre e immette la casa in un paesaggio intenso, vasto, dinamico, in cui ogni cosa è “illuminata” come parte indispensabile del discorso. L’architettura museografica, che comprende anche l’ambiente domestico, passa dall’essere palinsesto e medium all’essere scrittura che rompe le gerarchie tra contenitore e contenuto, e che porta l’architettura musealizzata a essere co-protagonista e autrice del racconto, senza esserne l’oggetto. Al piano terra la superficie del ferro si protende con un abbraccio che include l’esterno nella casa e lo riordina in una vetrata a quadriportico che pone in relazione il Polesine con l’incipit della carriera politica di Matteotti. L’apparato museografico apre stanze entro stanze, palesandosi al primo piano con una boîte à miracles a scala architettonica che custodisce ed espande l’esperienza di un viaggio nel tempo del ricordo e delle relazioni familiari, prima di giungere al parlamento ellittico del secondo piano.
Se il ferro è il mezzo con cui si attua il paradosso del museo che viola l’intimità della casa, il vuoto tra i corpi, vivi e inanimati, avvera l’amore tra cose e persone. L’integrità del carattere del “Tempesta” è ferro, materia ordinata come ferro è la disposizione degli arredi e degli oggetti che evoca la poetica di Velia, scrittrice «votata alla sensibilità spogliata di ogni sensiblerie» (Alberto Aghemo).
La Casa-museo Matteotti è un caso esemplare di come il museo possa essere baluardo alla dissipazione di memoria o alla ricercata damnatio memoriae.
Immagine copertina © Alberto Sinigaglia
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allestimenti , anniversari , case-museo , veneto
Last modified: 25 Giugno 2024