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Francesca PetrettoWritten by: Reviews

Bauhaus vs nazionalsocialismo: il crollo del mito che fa vacillare le nostre certezze

Con 450 opere, una mostra in tre parti della Klassik Stiftung Weimar affronta l’ambiguo rapporto tra la scuola fondata da Gropius e il regime hitleriano

 

WEIMAR (GERMANIA). Cosa vuol dire e cosa comporta essere artisti o architetti sotto un regime totalitario? A quali pressioni e sfide o pericoli si è sottoposti quando la libertà di espressione viene a mancare e regna il terrore? Come si può reagire al rinfocolarsi della più pura reazione: scappando, nascondendosi o collaborando? Come sopravvivergli?

La nuova grande mostra annuale della Klassik Stiftung WeimarKlassik Stiftung Weimar si trova stavolta alle prese col più odioso dei temi mai affrontati nella sua lunga carriera espositiva: la demitizzazione della figlia prediletta, la Bauhaus da tutti amata e percepita da sempre come uno degli ultimi baluardi della cultura progressista contro gli orrori del nazionalsocialismo.

È il doloroso esame di coscienza compiuto dagli eredi di una scuola troppo a lungo ritenuta vera antagonista all’avvento dell’estetica nazista e invece piuttosto sorprendentemente riscopertasi a più riprese e in diversi casi emblematici sua importante alleata. Possibile che nessuno in questi lunghi anni si sia domandato davvero come sia stato possibile sia sopravvissuta, in Germania, al feroce repulisti ariano attuato dai nazisti mentre qualsiasi antagonista veniva immancabilmente annientato?

In molti abbiamo a lungo percepito la scuola di Weimar, Dessau e Berlino come una contro-progettazione al nazionalsocialismo, ma la mostra ci racconta ben altra verità: che il modernismo del primo Novecento non è stato immune all’ideologia nazista e che, degli alfieri del Movimento moderno, quest’ultima ha approfittato assimilandoli nelle sue file.

 

La ricerca

Tutto è iniziato lo scorso anno quando una conferenza accademica, proprio a Weimar, metteva il dito sulla piaga dell’ambiguità: esperti di casa e studiosi di calibro internazionale vi discussero il rapporto ambivalente tra molti membri della scuola fondata da Walter Gropius e il regime hitleriano. Da lì prese spunto il doloroso lavoro di ricerca compiuto dal team dei tre curatori, Anke Blümm (Klassik Stiftung Weimar), Elizabeth Otto (Università di Buffalo) e Patrick Rössler (Università di Erfurt), per giungere al disegno di questa nuova mostra intitolata programmaticamente “Bauhaus e nazionalsocialismovisitabile a Weimar fino al 15 settembre nelle tre sedi dei Neues, Bauhaus e Schiller Museum. Circa 450 opere, molte delle quali giunte in prestito da importanti collezioni europee e americane, illustrano la complessa, altalenante storia di questo binomio, le lotte per la direzione della scuola di arte e architettura già negli anni ’20, l’equilibrio di fronte alla situazione politica dal 1933 in poi e il coinvolgimento d’insegnanti e studenti con il Terzo Reich.

 

1_ Neues Museum

Nel primo capitolo al Neues Museum Weimar, intitolato “Lotte politiche intorno alla Bauhaus, 1919-1933”, si fa luce sui conflitti artistici e politici iniziati con la fondazione della scuola d’arte a Weimar e proseguiti senza sosta a Dessau e Berlino: è una panoramica sulle vicende a tutti più o meno note della storia della scuola, le sue vicissitudini politiche e i trasferimenti, la fuga dei suoi due storici direttori Gropius e Mies van der Rohe in America.

 

2_ Bauhaus Museum

Il Bauhaus Museum si concentra invece sulla confisca della così detta “arte degenerata”, nel 1937, e sull’azione precorritrice a Weimar, già nel 1930, della nota grande mostra organizzata da Joseph Goebbels alla Haus der Kunst di Monaco. Il racconto si concentra sulla vicenda di oltre 70 opere di artisti del calibro di Lyonel Feininger e Paul Klee, rimosse dal Palace Museum, scomparse (in tutto furono 450), confiscate e/o vendute: una perdita culturale nelle collezioni il cui peso si avverte ancora oggi. Il titolo di questa mostra è: “Sequestrati – Confiscati – Assimilati, 1930/1937” e ha fra le altre cose il merito di raccogliere per la prima volta esposte insieme in un’unica sede molte opere fondamentali di quei grandi maestri giunte in prestito dall’estero: le loro storie sono esemplari anche di un’indegna azione di riciclo da parte dei nazisti, camuffata sotto le mentite spoglie dell’eradicazione della degenerazione, quando invece finsero di eliminarne molti capolavori per poi tenerseli nelle proprie collezioni private o andarli a vendere all’estero per rimpinguare le casse del regime.

 

3_ Schiller Museum

Infine l’ultima sezione, la più importante, viene ospitata allo Schiller Museum ed è dedicata ai membri della Bauhaus e alle loro “Vite sotto la dittatura, 1933-1945”. Delle tre è quella che lascia più l’amaro in bocca perché fa vacillare le nostre certezze, con l’esposizione di biografie e carriere niente affatto esemplari. Se è vero infatti che alcuni Bauhäusler fuggirono in esilio a causa delle loro origini, del proprio orientamento sessuale o delle proprie convinzioni politiche, mentre molti altri morivano nelle prigioni e nei campi di concentramento, la maggior parte di loro rimase indisturbata in Germania, facendo fortuna dentro e fuori il partito, spesso militandovi alacremente addirittura come SS, partecipando con entusiasmo a mostre di propaganda nazista, presentando le proprie opere a fiere di design, disegnando manifesti, mobili, oggetti per la casa e persino busti del dittatore che, di suo, non ne disdegnò il genio e l’adulazione… alla faccia della degenerazione.

Tra i tanti affrontati spiccano i casi emblematici dell’ambiguo Ernst Neufert, autore del celebre manuale, o del camaleontico Franz Ehrlich, quello tragico di Otti Berger e quello mostruoso di Fritz Ertl capace di progettare, fresco di diploma Bauhaus, nientemeno che le baracche del campo di concentramento di Auschwitz, lì dove otto suoi ex colleghi avrebbero trovato la morte. Nessuno, ad eccezione forse del solo Hannes Meyer (si sa che l’atteggiamento di Gropius e Mies nei confronti del regime fu a dir poco supino), rimase incolume alla seduzione del fascismo.

Il modernismo made in Bauhaus non fu in fin dei conti così “buono” e perseguitato come ce l’hanno raccontato. Al contrario, la maggior parte dei suoi studenti e maestri mantenne in funzione l’apparato nazista dal punto di vista estetico attraverso l’esercizio della professione. Le foto delle dimore dei gerarchi nazisti non lasciano dubbi sul loro successo negli anni clou della dittatura; e ci tocca persino vedere due immagini del führer Adolf Hitler comodamente assiso (e sorridente) su una poltrona Thonet (ThonetStuhl Nr. K46) disegnata da un collaboratore di Marcel Breuer [nell’immagine di copertina].

 

«Bauhaus e Nazionalsocialismo»

(9 maggio – 15 settembre 2024)

Una mostra in tre parti della Klassik Stiftung Weimar:

parte I – Lotte politiche intorno alla Bauhaus, 1919-1933

al Neues Museum di Weimar

parte II –  Sequestrati – Confiscati – Assimilati, 1930/1937

al Bauhaus Museum di Weimar 

parte III – Vite sotto la dittatura, 1933-1945

allo Schiller-Museum

 

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 19 Giugno 2024