Ricordo dello storico napoletano dell’architettura e del design cui si deve la “riduzione culturale”
Il 14 luglio Renato De Fusco, professore emerito dell’Università Federico II di Napoli e autore di libri e saggi noti a livello internazionale, avrebbe compiuto novantacinque anni: quasi un secolo di vita intellettuale che lo ha visto acuto interprete degli orientamenti culturali in corso, spesso protagonista, in qualche caso precorritore.
Le origini familiari radicate nella realtà e nel costume partenopei (le rievoca con tenerezza La modisteria. Autobiografia breve del 2021), la collaborazione con le avanguardie artistiche (la partecipazione come pittore al MAC, Movimento Arte Concreta), alcune garbate prove da progettista costituiscono premesse, non prive d’influenze, per approdare infine alla storia dell’architettura e al relativo insegnamento.
Da Roberto Pane a un personale profilo di ricerca
Se gli esordi s’inscrivono in quella Scuola napoletana dominata dalla figura di Roberto Pane, come attesta Il floreale a Napoli (1959), volume in linea con la migliore tradizione locale degli studi, sebbene già originale nella scelta del tema, all’epoca poco frequentato, De Fusco se ne distacca presto per esplorare altre strade. La capacità di uno sguardo lungo, benché lanciato da un punto fisso di stazione – quello della sua città e del suo quartiere, la collina di Posillipo, mai abbandonati – gli ha consentito di definire un proprio personalissimo profilo di ricerca interessato soprattutto a questioni di teoria, metodologia e critica.
Lo testimonia, nel 1964, L’idea di architettura, primo riuscito tentativo di una storia della moderna critica architettonica, da metà Ottocento ai successivi anni ‘30, inglobando anche apporti esterni alla disciplina.
Un atteggiamento inclusivo che si conferma nel programma della rivista «Op. cit. Selezione della critica d’arte contemporanea», fondata nello stesso anno e diretta, con puntualità, per sessant’anni, espressione di due caratteri peculiari del lavoro di De Fusco: apertura e costanza. Apertura nel dare voce, attraverso il sistema delle citazioni, alle diverse posizioni del dibattito sull’architettura, le arti e il design; costanza nel conservare la formula iniziale del periodico, rigorosamente aniconico e fedele anche nella veste grafica, senza concessioni alle mode.
Le sperimentazioni metodologiche e il design, con il Compasso d’oro alla carriera
La nascita della rivista accompagna quegli anni ‘60 animati da sperimentazioni metodologiche nel nuovo scenario della comunicazione di massa, condizione colta precocemente da De Fusco in Architettura come mass medium del 1967, che inaugura una serie di contributi improntati allo studio dei linguaggi. Non senza scelte di campo: semiologia di estrazione linguistica, e non semiotica di matrice comportamentista, avvertendo le potenzialità dello strutturalismo. Da qui Storia e struttura (1970), Segni, storia e progetto dell’architettura (1973), ma anche la sintesi con intenti operativi de Il progetto d’architettura (1983), perché teoria e storiografia non sono, per l’autore, fini a se stesse, ma offrono principi e strumenti all’agire contemporaneo. E infatti, dopo Il codice dell’architettura del 1968, antologia dei trattatisti da Vitruvio al Rinascimento, propone nel 2001 un nuovo Trattato di architettura con criteri e norme per la pratica attuale.
Il tentativo d’individuare le strutture soggiacenti ai processi e il dichiarato ricorso ad “artifici storiografici” come dispositivi euristici qualifica, nella sua efficacia didattica rispetto ad altri manuali, la Storia dell’architettura contemporanea (1974), impostata sulla costruzione dei diversi codici-stile e sulla lettura di opere emblematiche e paradigmatiche; così come è l’“artificio” del “quadrifoglio”, riferito alla fenomenologia scandita nelle fasi di progettazione, produzione, vendita, consumo, che regge l’altrettanto fortunata Storia del design (1985), a cui si deve una fondativa impalcatura storica e teorica sull’argomento, filone di studi di maggior successo per De Fusco, premiato nel 2008 con il Compasso d’oro ADI alla carriera.
Reducere, ricondurre a semplice
A suscitare queste e altre opere di respiro generale è sempre il principio della “riduzione culturale”, ricondurre (reducere) a semplice ciò che è complesso perché diventi accessibile a tutti, la volontà di sistematizzare le conoscenze e guidare nel flusso delle informazioni (Imparare a studiare. Il metodo della “riduzione culturale”, 1995): un’etica del mestiere di storico che si contrappone alle “oscurità” e agli ermetismi, come anche agli esercizi di filologia dietro ai quali si nasconde, talvolta, l’assenza di un pensiero critico, o almeno la resistenza ad assumere una posizione netta, che invece De Fusco non ha mai rinunciato a esplicitare, magari anche controcorrente.
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napoli , obituary , Storiografia , teoria dell'architettura , università
Last modified: 8 Maggio 2024