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Renato BocchiWritten by: Professione e Formazione

Valeriano Pastor (1927-2023)

Ricordo di un architetto dal raffinato mestiere, tra i maestri della scuola veneziana

 

VENEZIA. Si è spento, all’età di 96 anni, Valeriano Pastor, una figura chiave dell’architettura italiana della seconda metà del XX secolo (Medaglia d’oro alla carriera nel 2018 della Triennale di Milano), benché abbia sempre mantenuto – per la sua indole timida e schiva – una posizione appartata e per questo non appariscente.

Nato e cresciuto nell’atmosfera mitteleuropea di Trieste, s’iscrisse nel 1948-49 alla Iuav di Venezia, diretto da Giuseppe Samonà, con cui si laureò e di cui divenne assistente. Il suo apprendistato nella professione passa per gli studi di Edoardo Gellner a Cortina, di Carlo Scarpa e di Ignazio Gardella. Da ognuna di queste importanti figure Pastor trae linfa per il suo raffinato mestiere di architetto, a sua volta nutrito dagli studi storici (di Bettini e Mazzariol, in primis) e da uno spiccato interesse per la filosofia e l’estetica (quella di Luigi Pareyson, in particolare). Si avvicina anche all’urbanistica – fondamentale negli anni ’60 la sua partecipazione al progetto di concorso Novissime per il Tronchetto a Venezia, ma soprattutto agli studi per la ricostruzione dopo il disastro del Vajont, nonché al concorso per il nuovo ospedale di Venezia, che precedette e influenzò il celebre progetto di Le Corbusier.

La carriera di docente all’Iuav gli attribuisce nel tempo ruoli istituzionali importanti: fra il 1977 e il 1979 affianca come vice-direttore Carlo Aymonino e gli succede come direttore fra il 1979 e il 1982. Ricopre successivamente le cariche di preside del corso di Laurea in Architettura (1993-95) e di direttore del Dipartimento di Architettura (1997-2000). Questo cursus honorum iscrive con evidenza la figura di Pastor nel pantheon dei maestri della scuola veneziana. Oserei dire, anzi, che egli incarna una vera e propria sintesi della migliore tradizione della scuola, riuscendo a coniugare – in continuità col padre fondatore Samonà – apporti assai diversi come quelli di Scarpa, Albini e Gardella, ma anche in certo modo di Aymonino e il suo gruppo, da un lato, o dell’urbanistica “progettuale” di Giancarlo De Carlo e i suoi allievi, dall’altro; nonché coltivando rapporti intensi con l’area del restauro. E tuttavia conservando sempre una personalità assai spiccata, molto “veneziana”, benché ricchissima d’influenze disparate.

 

Una produzione architettonica frutto di paziente e puntigliosa analisi

La sua produzione (con la moglie Michelina Michelotto) racconta bene questa puntigliosa paziente opera di analisi e di sintesi, che la rende assai complessa, quasi inclassificabile, e per questo assolutamente “personale”. Per il patrimonio storico si distinguono i preziosi interventi “integrativi” nel palazzo Querini Stampalia a Venezia, condotti “nel segno di Scarpa” e, potremmo dire, anche “nel segno di Sergio Bettini”, cioè sul filo di quel lavoro sottile d’interpretazione delle fabbriche veneziane che caratterizzò la felice stagione degli studi veneziani degli anni ’50-‘60.

Le sue opere di architettura più significative sono gli edifici realizzati a Longarone per la ricostruzione post Vajont (1964-68), le scuole a Mirano e Dolo (tardi anni ’70) e soprattutto l’ospedale di Larino in Molise. Un progetto-processo, quest’ultimo, durato decenni (dal 1967 agli anni ’80), di singolare paradigmaticità. Progetto performativo è la decisiva denominazione che ne suggerì Pastor stesso. Quella di Larino è un’esperienza sorprendente, perché partendo da uno schema tipologico – la piattaforma modulare di derivazione diretta dall’ospedale di Le Corbusier – si sovrappone al terreno in pendio, realizzando una macchina a grande scala e unitaria (come nuova parte di città) che è però anche in dialogo a sua volta con il territorio e con la città storica. Progetto-macchina funzionale, dunque, con una sapiente rete di circolazione orizzontale e verticale, ma anche progetto urbano e territoriale; progetto unitario, quasi cartesiano, ma anche progetto per parti (comporre distinguendo), che può addirittura comprendere l’intrusione del “terzo paesaggio”, secondo gli auspici dell’autore.

Immagine di copertina: © Daniele Resini

 

 

Autore

  • Renato Bocchi

    Nato a Trento nel 1949, architetto, fino al 2019 professore ordinario di composizione architettonica e urbana presso l’Università Iuav di Venezia, dove ha diretto il Dipartimento di Progettazione dal 2005 al 2008. Ha insegnato all’Università di Trento dal 2003 al 2010. È membro del dottorato in Architettura. Teorie e Progetto, della Sapienza Università di Roma e del dottorato in Architettura, città e design dell’Iuav. Il suo principale campo di ricerca riguarda le relazioni tra arte, architettura, città e paesaggio. Ha diretto la rivista “Archint” (1995-2000). È stato consulente per il Piano del centro storico (1980-84) e per il nuovo Piano di sviluppo (2000-2001) della Città di Trento. È stato coordinatore nazionale del programma di ricerca “Re-cycle Italy” fra il 2013 e il 2017. Tra le sue ultime pubblicazioni: “La materia del vuoto” (Universalia, 2015) e “Progettare lo spazio e il movimento” (Gangemi, 2009). È in uscita per le edizioni Carocci il nuovo libro “Spazio arte architettura”.

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Last modified: 3 Dicembre 2023