Al MAK di Vienna tessuti, mobili, gioielli, abiti, progetti e libri ricostruiscono il Gesamtkunstwerk dell’architetto moravo
VIENNA. A quasi 25 anni di distanza dalla prima grande mostra su Josef Hoffman (1870-1956), “Ornamento fra speranza e delitto” (1987), il MAK-Museum für angewandte Kunst propone un’ampia retrospettiva sulla figura e l’opera dell’architetto moravo: “Josef Hoffman. Progresso attraverso Bellezza”.
Si tratta di un’esposizione imponente, organizzata in 20 sezioni e ospitata nella grande sala neobarocca sullo Stubenring. In questo grande spazio (40 x 40 m), lo stesso Hoffman allestì due mostre: la “Kunstschau” (1920) e la “Werkbundaustellung” (1930). Il confronto col suo lavoro diviene, quindi, ancor più diretto, tanto più che il MAK custodisce il prezioso archivio delle celebri WW-Wiener Werkstätte, fondate e poi dirette da Hoffman per oltre vent’anni. Il lascito archivistico delle Officine viennesi, incamerato nel 1955, è di enorme importanza: nella collezione si contano migliaia di oggetti, opere e disegni di suo pugno. La mostra ne presenta circa mille, accuratamente scelti fra tessuti, mobili, gioielli, abiti, progetti ed edizioni librarie, che ricostruiscono efficacemente il principio estetico del Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale) alla base del suo lavoro.
Una mostra comunicativa ma anche di ricerca
Sbaglieremmo, però, a considerare questa esposizione come un dovuto omaggio alla duratura influenza della figura di Hoffman nella cultura mitteleuropea. La mostra ha un taglio comunicativo ma, accanto al noto, sonda in profondità anche temi inediti illuminando, ad esempio, i periodi meno studiati del suo lavoro: quello sotto il regime nazista e l’opera tarda negli anni cinquanta. Di quest’ultima fase sono esposti i disegni dei complessi residenziali pubblici nella Blechturmgasse (1949-50), nella Silbergasse (1951) e nella Heilgenstädterstrasse (1953-54). La mostra rende conto, inoltre, dei recenti risultati della ricerca storica che ha evidenziato numerosi manoscritti e testi inediti, gettando nuova luce sul suo lavoro teorico e ampliando i confini dell’analisi critica svolta da Eduard F. Sekler nel 1982, nella monumentale monografia a lui dedicata.
Affascinante, al centro della mostra, troneggia la ricostruzione dell’elegantissimo Boudoir d’une grande vedette, fra ampi specchi e morbidi tendaggi, realizzato per l’Esposizione di Parigi del 1937. Ma il fuoco dell’attenzione resta fissato sull’immenso lavoro progettuale svolto per e con le WW, che la mostra documenta dai pionieristici inizi fino alla crisi e alla definitiva chiusura dei laboratori nel 1932. Impossibile separare il destino delle WW da quello di Hoffman stesso, i cui prodotti sono oggetti di tecnica raffinata che guardano alla perfezione estetica ma anche alla trasformazione sociale dell’ambiente domestico e urbano (il ruolo primario delle donne nelle WW è, ad esempio, un aspetto solo recentemente emerso).
Il lavoro per la ricca aristocrazia del tempo non impedisce a Hoffman di costruire contemporaneamente, per la Vienna Rossa, il Klose-Hof (1924-25) e una parte dell’immenso Winarsky-Hof (1924-25). Il suo lavoro di architetto si concentra sulla definizione delle superfici e dei volumi, che egli segna esaltando l’intersezione dei piani negli spigoli. Le splendide cornici dei suoi edifici non sono solo decorazioni eleganti, ma il segno di una profonda riflessione sulla costruzione geometrica dello spazio. Dalle case sulla Hohe Warte viennese al palazzo Stoclet (1906-11) a Bruxelles, egli diviene ben presto l’architetto preferito di banchieri e industriali; quegli stessi Wittgestein, Ast, Knips e Primavesi che, non di rado, si trasformano anche in generosi finanziatori delle WW.
L’indifferenza di Hoffman per la politica e il denaro è un tratto ricorrente di questa lunga vicenda, destinata a concludersi inevitabilmente in un fallimento: le WW non sono in grado di intercettare i nuovi bisogni della società di massa e la Belle Époque viennese si spegne drammaticamente fra i lugubri bagliori della dittatura hitleriana. Nonostante gli inviti rivoltigli a emigrare, Hoffman decide di restare a Vienna; lo fa non per convinzione ideologica ma principalmente per la speranza di rianimare il progetto delle WW. Di questo periodo ci restano pochi suoi schizzi, pochissime realizzazioni. Dopo il trauma della guerra egli sembra tentare, infine, la via solitaria al progetto di architettura, per inseguire fino agli ultimi giorni di vita quell’irraggiungibile ideale di bellezza assoluta che, instancabilmente, gli faceva ripetere agli artigiani delle WW: “Meglio lavorare 10 giorni su un oggetto, che produrre 10 oggetti in un giorno”.
“Josef Hoffman. Progress through beauty”
MAK – Museum of Applied Arts, Vienna
dal 15 dicembre 2021 al 19 giugno 2022
a cura di Rainald Franz (MAK Glass and Ceramics Collection) con Matthias Boeckl, Christian Witt-Dörring
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mostre , vienna
Last modified: 11 Gennaio 2022