NDA: È giusto, partendo da un fatto vero, scrivere un racconto di fantasia? Mi sono chiesto. Chi vuoi che lo noti! Mi sono risposto
“Eppure dev’esserci un modo”, pensava Leon, rintanato nel suo studio, mentre ripassava le misure del terreno acquistato dalla curia per realizzare la nuova cattedrale. Quindi sfogliò, ancora una volta, un album con le chiese realizzate in America negli ultimi anni. “Robaccia”, ripeté tra i denti. “La nostra cittadina non ha certo bisogno di questa spazzatura!”. Tuttavia a Leon, un «poeta dell’architettura» (così amava definirsi) e cattolico osservante, tardava ad accendersi la scintilla creativa che, ad esempio, non molti chilometri più ad ovest, a Chicago, era scoccata in quel Frank Wright di cui si dicevano meraviglie.
Più volte aveva pensato di rinunciare all’incarico. Era stata sua moglie Margaret a trattenerlo: “Se rifiuti una commessa del genere”, gli ripeteva, “nessuno si rivolgerà più a te. Potrai ritenere la tua carriera di architetto conclusa e noi andremo in miseria!”. Ah, il buonsenso delle mogli!
Ma per quanto si sforzasse, Leon Coquard non riusciva a trovare un’idea convincente. Seguire la solida tradizione costruttiva o avventurarsi nell’uso dei nuovi materiali? Questo era il suo più grande dilemma. “E cerca di fare in fretta. Prima che il vescovo trovi un architetto più capace di te!”, lo redarguiva la donna. Ah, l’impazienza delle mogli!
Trascorsero alcune settimane, Leon era sul punto di recarsi dal vescovo per rinunciare all’incarico e scusarsi per il tempo che gli aveva rubato. Fu in quei giorni che ricevette una cartolina da Parigi. “È per te”, gli disse sua moglie, porgendogliela. Leon riconobbe la calligrafia elegante e decisa della sorella: Adorato germano Leon, ho pregato la Vergine Madre, nella sua chiesa eletta. Ti giunga la Sua benedizione. Con affetto. Melanie. Dall’altro lato del cartoncino, l’illustrazione. In basso si leggeva: Paris. La façade de Notre Dame. Edifiée dans le premier quart du XII siècle. Achevée vers 1240. Leon rimase a fissare quell’immagine a lungo. Margaret dovette ridestarlo, scuotendolo dalle spalle. “Tutto bene?”, gli chiese. “Bene, sì … Dì un po’: ti piace?”, chiese a Margaret mostrandole la stampa. “Cosa? Questa chiesa di Parigi?”. “No”, disse Leon, “la nuova chiesa di Covington!”. Margaret colse nello sguardo del marito un guizzo che pensava smarrito. “Non si può”, gli disse, “non vale copiare!”. Ah, l’intransigenza delle mogli!
“Non sarà una copia. Guarda”, la rassicurò mentre col bordo del tovagliolo copriva la parte superiore dell’immagine lasciando scoperti solo i primi tre livelli della facciata. Si ricordò allora di una frase che aveva letto in un manuale sul plagio, scritto da un giornalista inglese, tale William Henry Davenport: I grandi poeti imitano e migliorano, mentre quelli piccoli rubano e si rovinano. E lui era proprio un poeta!
“Chi vuoi che lo noti!”, disse poi, alzando le spalle. “Prima o poi, vedrai, qualcuno se ne accorgerà”, concluse lei. Ah, la saggezza delle mogli!
P.S. A Covington, cittadina del Kentucky, esiste davvero una copia (a destra nell’immagine di copertina) della cattedrale di Notre Dame (a meno delle torri campanarie in facciata), realizzata dall’architetto Leon Coquard che ricevette incarico dal vescovo della curia. La citazione sul plagio appartiene al giornalista e scrittore inglese William Henry Davenport Adams, ed è contenuta nel volume Imitators and Plagiarists, The Gentleman’s Magazine (Chatto & Windus, Londra 1892). Il resto del racconto è opera di fantasia.
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L'archintruso , monumenti , parigi
Last modified: 13 Aprile 2021