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Giacomo "Piraz" PirazzoliWritten by: Professione e Formazione

Lina Bo Bardi, leonessa d’oro risarcita

Lina Bo Bardi, leonessa d’oro risarcita

La proclamazione della Biennale di Venezia conferma, sebbene con ritardo, il contributo alla cultura del Novecento dato dall’architetta italo-brasiliana

 

Giunge per accorto tempismo di comunicazione l’8 marzo la notizia che la Biennale di Venezia attribuirà a Lina Bo Bardi un Leone d’oro speciale alla memoria, risarcimento urgente al genio femminile almeno quanto quello che vorrebbe il Pritzker di Robert Venturi condiviso con Denise Scott Brown, per esempio.

Roma – Milano – Brasile

Lontani ormai i due omaggi pregressi in Biennale (nel 2004, con mostra a cura di Luciano Semerani e Antonella Gallo, e nel 2010, a cura di Kazuyo Sejima), al di là dell’odierna motivazione (a detta di alcuni MASP-centrica o San Paolo-centrica), vale ricordare che Lina Bo (Roma 1914 – San Paolo 1992) studia a Roma dove si laurea, spostandosi poi a Milano per lavorare anche in «Domus», con Gio Ponti e altri, per trasferirsi quindi in Brasile nel 1946, sposa del gallerista e marchant Pietro Maria Bardi.

Dopo un brevissimo passaggio a Rio de Janeiro (dove da poco era stato inaugurato il controverso e modernista Ministero dell’Educazione e della salute), Lina e Pietro Maria si stabiliscono a San Paolo, dove già nel 1947 con il patronage del magnate Assis de Chateaubriand inaugurano il MASP-Museo di Arte (Occidentale) di San Paolo in una sede temporanea (per combinazione, nello stesso edificio in cui parallelamente comincia la storia del MAM-Museo di Arte Moderna di San Paolo, grazie al duo Ciccillo Matarazzo-Yolanda Penteado).

Immersa in pieno (anche con iniziative editoriali specifiche) nella vita artistico-culturale di San Paolo, Lina Bo intanto realizza la Casa de vidro (1951) oggi sede dell’Instituto Bo Bardi che, sempre più eroicamente data la situazione, vi custodisce i suoi archivi.

 

Il periodo di Salvador da Bahia

Bocciata al concorso per una cattedra alla Facoltà di Architettura dell’Università di San Paolo nel 1957, due anni più tardi, mentre l’Orfeu negro di Marcel Camus scritto da Vinicius de Moraes vince il Festival di Cannes contribuendo alla diffusione dell’immagine del Brasile bossa nova e carnaval, Lina si sposta a Salvador da Bahia, la “Roma negra” antica capitale afro del Brasile, per cominciare un programma di mostre e iniziative che metterà in piedi sia con altri illustri migranti di radice europea tra i quali il fotografo (poi antropologo) Pierre Verger e il musicista Hans-Joachim Kollreutter, che con talentuosi brasiliani quali il giovane Glauber Rocha e il regista teatrale Martin Gonçalves. Una precoce testimonianza di Caetano Veloso ritrae l’aura e l’inaspettatamente “esotica” presenza a Salvador di questa donna colta e bianca ed europea.

 

La dittatura e il periodo di San Paolo

Dopo cinque anni, la dittatura che nel frattempo prende il potere (1964) la destituisce dalla direzione del MAM-Ba, il non-museo che aveva nel frattempo messo in piedi con il magistrale recupero del Solar de Unhao; perciò Lina scrive il saggio breve Cinque anni tra i bianchi e torna a San Paolo ove nel 1968 inaugura – in presenza della massima esponente mondiale del colonialismo, la regina Elisabetta II – il MASP. Per chi vuol intendere: al piano inferiore dell’esposizione istituzionale di arte (europea), Lina Bo allestisce “La mano del popolo brasiliano” con una visione critica e inclusiva del design spontaneo e delle forme di artigianato popolare.

A seguire, ancora a San Paolo, realizza il SESC-Pompeia trasformando una fabbrica di bidoni di ferro nel formidabile centro di socialità urbana che conosciamo e che alcuni hanno copiato e altri stanno per copiare.

 

Dopo la ri-democratizzazione, il ritorno a Salvador de Bahia

All’inizio della ridemocratizzazione (1985), Lina Bo torna a lavorare a Salvador de Bahia, dove cura il recupero del centro storico e dove – con Verger e su incarico di Gilberto Gil in qualità di presidente della Fondazione Gregorio de Mattos – realizza tra l’altro la Casa do Benin, un centro culturale sulla rotta degli schiavi, quindi sulle tragiche radici afro del Brasile; con un omologo in Africa, a Ouidah (Benin), “per provocare le radici eurocentriche dell’élite culturale brasiliana“, come affermato da Gil.

 

Una protagonista

Sempre con verve provocatoria e forte tensione di progetto, tuttavia senza alcun vezzo di stile, Lina Bo è quindi architetta, curatrice, grafica, designer, artista, scenografa che precorre in modo pionieristico – dall’interno di un ambiente privilegiato, quindi con tutte le contraddizioni del caso – i più evidenti temi del presente, dal femminismo (non senza autoproclamarsi “antifemminista”) al post-coloniale, all’intercultura.

Con questo risarcimento del Leone d’oro, torna la questione per cui un imprescindibile contributo all’architettura del Novecento di radice italiana oltre che da Scarpa, Gardella, Albini o Michelucci viene da una donna migrante che ha lasciato l’Italia per andare a incontrare altri mondi, nel momento in cui tutti si stavano tuffando nella ricostruzione del Paese. Questa stessa donna ha costruito, tra l’altro, il MASP, del quale il vão livre – cioè lo spazio pubblico al piano strada – è divenuto simbolo e luogo che più di ogni altro rappresenta e accoglie ciò che di pubblico e politico accade in Brasile.

Immagine di copertina: Lina Bo sulle sedie da lei disegnate per il MASP nel 1948 (fonte: Diário de São Paulo / IB Archives)

 

La bibliografia di base comincia con l’ormai classico Lina Bo Bardi a cura di Marcelo Ferraz (Instituto Bardi e Charta, Sao Paulo e Milano 1993); fortemente cresciuta attorno al centenario (2014, con mostre, cataloghi ed eventi), comprende almeno Lina Bo Bardi di Zeuler R. M. De A. Lima (Yale University Press, 2013); Lina Bo Bardi: Obra construida – Built work di Olivia de Oliveira, (Editorial Gustavo Gili, 2014); Lina Bo Bardi – un’architettura tra Italia e Brasile a cura di Alessandra Criconia (Franco Angeli, 2017); Mara Sánchez Llorens, Manuel Fontán del Junco y María Toledo Gutiérrez (a cura di), Lina Bo Bardi, Tupì or not tupì: Brasil 1946-1992, (free download, Fundación Juan March, Madrid 2018). nfine, altre due biografie brasiliane sono in arrivo, una ancora a opera di Lima (che esce subito anche in edizione italiana) e una di Francesco Perrotta-Bosch.

Vale inoltre ricordare che ben due edifici di Lina Bo sono stati oggetto di studi per la conservazione sostenuti dalla Getty Foundation attraverso il programma Keep it Modern, da cui il MASP’s Stucture Conservation Plan (2018) e Casa de Vidro’s Conservation Management Plan (2020) entrambi in free download.

 

Autore

  • Giacomo "Piraz" Pirazzoli

    Nato nel 1965, laureato in architettura a Firenze, PhD Roma-Sapienza e post-doc FAU-Universidade Mackenzie São Paulo. Dopo aver realizzato in Italia alcune architetture in collaborazione con Paolo Zermani, Fabrizio Rossi Prodi e Francesco Collotti, lavora in ambito interculturale tra musei, mostre e sostenibilità applicando le ricerche Site-Specific Museums e GreenUP - A Smart City che ha diretto, essendo dal 2000 professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Già presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, è stato consulente presso ACE-CAE (Architects Council of Europe, Bruxelles), UN-UNOPS etc. Oltre che per mezzo di progetti, opere e relative conferenze, svolge attività internazionale anche come visiting professor e vanta oltre duecento pubblicazioni. Vive tra Firenze, l’Umbria e Rio de Janeiro.

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Last modified: 24 Marzo 2021