Sarei ancor più lieto se quest’edificio non fosse così austero: dicono somigli ad un aeroplano, ma a me par di vedere solo scatole
Colonia “Varese / Costanzo Ciano” – Cervia, giugno 1939
Amatissimo Padre.Trascorsa la prima settimana di soggiorno qui alla colonia estiva, Vi scrivo.Appena arrivai ricevetti un’uniforme e una branda nel dormitorio. Le mie giornate scorrono pregne d’impegni.In cortile, assistiamo all’alzabandiera. Quando il tricolore è alla cima, a braccio teso gridiamo “a noi”, così forte che non è detto che Lui non ci ascolti.Rientrando in parata nelle stanze del refettorio, godiamo del primo pasto. Padre, al mattino marciamo sulla riva. Le nostre impronte decise s’imprimono sul bagnasciuga. Dopo quelli d’aria, prendiamo bagni di mare immergendoci per venti minuti.Al pomeriggio apprendo la tecnica del telegrafista. A sera noi Balilla ci dedichiamo ai canti. Il mio preferito è
Giovinezza.
Amo il verso: “Sono giovane e son forte, non mi trema in petto il core”.
Ho anche veduto la cugina Vittoria, figlia della lupa che segue i corsi di taglio e cucito.
Dalla rampa delle scale la scorsi dabbasso esercitarsi col cerchio. Feci un cenno con la mano, ma non so se ella mi vide.
Padre, sono lieto di annunciarVi che la cura del mio corpo procede pari passo con quella della mente. Il medico che mi visitò disse che lo spirito è lucente, il carattere forte e la mia razza pura.
Non come il mio amico Yona che non è potuto venire e di cui da mesi non ho più notizie.
Padre, infine Vi dico: sarei ancor più lieto se quest’edificio in cui stiamo non fosse così austero.
Dicono somigli ad un aeroplano ma a me par di vedere solo scatole. Le finestre son squadrate e prive di cornici. Non vi è un solo arco, un fregio, nondimeno una decorazione.
I soffitti non son affrescati e alla sommità non vi è manco il tetto.
Non come le nostre belle ville in città: la Mirabello, la Recalcati e la Ponti, le mie preferite, con le loro numerose guglie, nei cui giardini mi portaste in gita.
Ci credete se Vi dico che non vi son bassorilievi? Finora non vidi neppure una colonna romana né un capitello. Non una lastra di marmo venato adorna il basamento.
Le scale son ingabbiate in un ridicolo scheletro esangue, fatto di piloni e vetro.
Un bianco pallido ricopre ogn’altra sfumatura di colore.
Che stile è mai codesto? Tale architettura, ne son convinto, non può originare nessuna letizia nel cuore della Leva.
O Padre, per il bene della Patria, Vi prometto che dopo aver servito la Rivoluzione, studierò da architetto.
Prometto e manterrò di riportare il decoro in ogni palazzo dell’Impero.
Vi bacio e Vi abbraccio con tutto il cuore.
Vostro figlio
In copertina: fotogramma tratto dal filmato dell’istituto Luce dal titolo Come l’Italia fascista educa le nuove generazioni (1931)
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architettura fascista , colonie , L'archintruso
Last modified: 21 Gennaio 2021