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Michela MadiottoWritten by: Patrimonio

Nuovi spazi per l’arte: Rimini ri-Part dalla cultura

Nuovi spazi per l’arte: Rimini ri-Part dalla cultura

Inaugurato Part – Palazzi dell’Arte, il sito museale che, nei palazzi dell’Arengo e del Podestà restaurati da studio AR.CH.IT., ospita la collezione d’arte contemporanea donata alla Fondazione San Patrignano

 

RIMINI. Il 24 settembre, per l’inaugurazione di Part – Palazzi dell’Arte, scendiamo dal treno all’ombra del grattacielo di Raoul Puhali. A pochi passi da lì si stagliano infatti oltre 100 metri di architettura moderna fine anni ’50, simbolo di una provincia che viveva sull’onda dello sviluppo economico e del turismo di massa. Voltiamo le spalle al mare e al Grand Hotel dirigendoci verso l’anima storica della città, quella preservata da ombrelloni e bikini, da gelati e bandiere, verso piazza Cavour. La rettangolare arena del potere cittadino è chiusa nel lato maggiore dal palazzo del Comune, dell’Arengo e del Podestà, opposti alla loggia dell’antica pescheria settecentesca; di fronte, sul lato minore, il teatro Amintore Galli, che cela alla vista il Castel Sismondo, subito dietro.

Entriamo nel teatro Galli per la conferenza stampa in presenza di Andrea Gnassi (sindaco di Rimini), Letizia Moratti (co-fondatrice Fondazione San Patrignano), Stefano Bonaccini (presidente della Regione Emilia-Romagna), Luca Cipelletti (architetto) e Clarice Pecori Giraldi (coordinatrice curatoriale Collezione San Patrignano). Un palcoscenico maestoso, dopo il restauro ultimato nel 2015, per cinque attori accumunati da finalità di valorizzazione. Da un lato, verso le donazioni di collezionisti, galleristi e artisti – si ricordano Zehra Doğan, Ibrahim Mahama Luca Pignatelli, Giovanni Iudice, Shilpa Gupta, David Tremlett – raccolte a partire dal 2017 da Moratti e oggetto del primo modello di endownment in Italia, messe sul mercato per le esigenze economiche della Comunità di San Patrignano. Dall’altro, verso il duecentesco palazzo dell’Arengo e il trecentesco palazzo del Podestà, restaurati e riqualificati (l’uno al piano terra e primo, l’altro solo al piano terra) dallo studio AR.CH.IT guidato da Cipelletti, che si è occupato anche dell’allestimento.

Un allestimento di opere senza filo conduttore, se non quello del dono, che comporta difficoltà nel saldarle all’ambiente senza troppe imposizioni. Nel rispetto dell’edificio storico, Cipelletti persegue idee di reversibilità e innesto, utilizzando grandi quinte intonacate a calce secondo i toni delle pareti preesistenti, per svolgere le funzioni di biglietteria attraverso bucature per detrazione. Per aumentare la superficie espositiva ed evitare l’effetto della “scatola nella scatola”, nelle stanze già decorate a parete del Podestà, usa dei setti con spigoli svasati e bordature metalliche, a riempire gli spazi in relazione alle grandi finestre. Quello più audace è per il grande affresco del “Giudizio universale” dipinto da Giovanni da Rimini: posto in diagonale e al centro della sala dell’Arengo, con un basamento dello stesso materiale del pavimento di parquet in rovere. Poco percepito nell’entrare, conduce il visitatore verso la luce naturale delle polifore, ridisegnate secondo serramenti effetto bronzo.

Le necessità impiantistiche diventano un sistema di sedute ed espositori perimetrali ben integrati e per l’illuminazione; se Louis Kahn affermava che «la sola luce accettabile per un’opera d’arte è quella naturale», al Part è quella di Alberto Pasetti Bombardella. L’architetto crea artigianalmente un modulo con differenziate possibilità di accensioni, per interpretare lo spazio architettonico attraverso linee direttrici aeree: luce indiretta verso l’alto, luce diffondente verso le pareti e luce diretta sulle opere d’arte.

Resta silente la domanda di chi s’interroga sulla futura affluenza al Museo. La Regione infatti si è impegnata con più ingenti somme a finanziare anche un’opera di valorizzazione di tutto il “sistema lungomare”, prevedendo la riorganizzazione delle attività turistiche. Si può solo sperare che quell’antico immaginario felliniano di chi sogna grandi progetti guardando il mare, si volga anche all’entroterra, per evitare di restare eterni Vitelloni.

Autore

  • Michela Madiotto

    Nata a Bologna (1995), vi frequenta il liceo classico e la Scuola di Ingegneria edile – architettura. Si laurea a luglio 2020 con una tesi in Storia dell’architettura e Architettura tecnica sulla Pensilina “Nervi” a Bologna. È stata redattrice della rivista online Edarchibo

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Last modified: 29 Settembre 2020