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Maria Paola RepellinoWritten by: Città e Territorio

Cina, stop a supertall e fake

Cina, stop a supertall e fake

Le nuove linee guida rilasciate congiuntamente dal Ministero per l’edilizia e lo sviluppo urbano e rurale e dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme inaugurano una nuova era

 

PECHINO. Dal 27 aprile il governo cinese ha stabilito che i grattacieli di oltre 500 metri “non sono ammessi”, mettendo così un freno all’ossessiva corsa in altezza. Anche i nuovi edifici superiori ai 250 metri saranno “rigorosamente limitati”, e quelli ritenuti legittimamente necessari dovranno superare severe verifiche in materia di risparmio energetico e di sistemi di protezione antincendio e per la resistenza ai terremoti. I nuovi edifici dovranno, poi, soddisfare requisiti in termini di “forma, colore, volume e altezza”.

Tra le principali misure promulgate, il governo “vieta rigorosamente” progetti di “plagio, imitazione e copiatura” di architetture esterofile e straniere per l’edificazione delle nuove strutture pubbliche in tutto il territorio cinese. Il documento ribadisce come la nuova architettura debba “incarnare lo spirito della città ed evidenziare le caratteristiche cinesi”.

La linea governativa sembra ufficializzare un’inversione di tendenza già in atto. Limitazioni all’altezza degli edifici sono state applicate da alcuni anni in specifici contesti – come nel quartiere centrale degli affari di Pechino, dove nel 2018 è stato imposto un limite di 180 metri secondo un rapporto della società immobiliare Jones Lang LaSalle. Mentre una precedente direttiva del 2016 (che raccoglieva in modo esplicito le indicazioni espresse dal presidente Xi Jinping in occasione di una conferenza nel 2014) vietava l’architettura “sovradimensionata, xenocentrica, bizzarra” a favore piuttosto di interventi “fruibili, economici, ecologici e piacevoli alla vista”.

Ma alcune delle nuove direttive – come una maggiore attenzione rivolta alla valorizzazione del patrimonio esistente, l’introduzione di un sistema di credito per i progettisti e l’istituzione della figura di capo architetto della città – suggeriscono un cambiamento di passo. La “nuova era” dell’architettura cinese non si misurerà tanto nell’iconicità degli oggetti o nella spettacolarità delle forme, quanto piuttosto nell’attenzione verso la tutela dei tessuti storici, il miglioramento della qualità degli spazi della vita urbana, la critica al gigantismo, la consapevolezza del bisogno di ritrovare un’identità nazionale capace di promuovere un rinnovato processo di modernizzazione dell’urbano.

 

Niente più supertall

La Cina detiene il primato per numero di supertall, edifici di oltre 300 metri. Record che rischia di perdere in seguito alla nuova politica edilizia, che di fatto rallenta l’incessante costruzione di grattacieli in tutto il Paese. Come mostra l’elenco ufficiale del Council on Tall Buildings and Urban Habitat (CTBUH), 11 dei primi 20 edifici più alti al mondo sono cinesi. Subito dietro al Burj Khalifa di Dubai (828 metri), al secondo posto svetta la Shanghai Tower (632 metri), seguita dal Ping An Finance Center di Shenzhen (599 metri), dalla Citic Tower di Pechino (527,7 metri; progetto di Kohn Pedersen Fox; foto di copertina) e dal recentissimo CTF Finance Centre progettato da SOM a Tianjin (530 metri – l’edificio più alto costruito del 2019). In confronto, gli Stati Uniti e l’Europa inscrivono solo un grattacielo nella classifica dei primi venti, il One World Trade Center a New York e il Lakhta Center di San Pietroburgo.

Secondo i dati del CTBUH, nel 2019 sono stati completati sul territorio cinese 57 nuovi grattacieli di oltre 200 metri, di cui ben 15 nella sola città di Shenzhen. Nonostante la straordinarietà dei numeri, i dati registrano una contrazione del quasi 40% rispetto all’anno precedente e il numero minimo negli ultimi sei anni. Grattacieli come il Wuhan Greenland Center, progettato per un’altezza di 636 metri, e il Suzhou Hungnam Center, con un’altezza prevista di 729 metri, hanno ridimensionato in corso d’opera la propria altezza a meno di 500 metri. Un destino che sarà presto condiviso dai nuovi grattacieli in fase di progettazione nelle principali città, a meno di affrontare “rigorose procedure di approvazione”.

Le nuove direttive del governo mettono ufficialmente al bando gli edifici non “compatibili con la scala urbana”, con l’obiettivo di contenere il ricorso “eccessivo” di edifici super alti, generalmente utilizzati da società immobiliari per marchiare nuovi progetti di tipo speculativo e da ambiziose amministrazioni locali per promuovere vaste operazioni di rinnovamento urbano.

 

Niente più architetture fake

Il nuovo corso dell’architettura cinese non si limita al “ridimensionamento” dei grattacieli, ma passa anche dall’affermazione dello “stile nazionale” nel mondo, a partire dalla messa al bando di opere frutto di plagi e copie.

Le nuove linee guida del governo cinese indicano come l’architettura “rifletta la cultura della città” e pertanto “è severamente vietato il plagio, l’imitazione e la copia” di architetture esistenti (soprattutto se straniere) per la progettazione delle nuove strutture pubbliche, tra cui “stadi comunali, exhibition hall, musei e grandi teatri”.

Repliche di monumenti ed edifici simbolo, per lo più occidentali, sono sparse un po’ ovunque nel territorio nazionale, o in qualsiasi luogo sviluppatori immobiliari vogliano attrarre flussi turistici e investimenti. In Cina si registrano numerose riproduzioni della Casa bianca, Archi di trionfo, Partenoni, sfingi, un Tower Bridge e una Tour Eiffel, oltre alle molte imitazioni di città europee, cresciute negli anni 2000 attorno a Shanghai. Una pratica sperimentata a partire dagli anni ’90, con la copia fedele della cappella di Ronchamp di Le Corbusier a Zhengzhou, oramai smantellata. Questa tendenza si è diffusa in breve tempo, consentendo a migliaia di cinesi di fare il giro del mondo senza mai uscire dai confini nazionali.

Come descrive Bianca Bosker nel libro Original Copies, in Cina il mimetismo architettonico si fonda su una tradizione lunga duemila anni, quando già gli imperatori replicavano i palazzi dei popoli vinti per affermare la loro supremazia. L’imitazione architettonica, pertanto, non deve essere confusa con una contraffazione kitsch o un tributo all’architettura straniera, quanto piuttosto come una forma di “appropriazione”, una dichiarazione di forza.

Ora però che la Cina si è affermata come superpotenza, il Paese ambisce a imporsi nell’arena globale anche attraverso lo sviluppo in chiave contemporanea di una propria identità architettonica. In questo senso le nuove direttive del governo cercano d’invertire la rotta, incentivando l’evoluzione e la promozione di una cultura progettuale non più basata su esotiche importazioni, ma capace di esprimere (e diffondere nel mondo) “caratteristiche cinesi”.

Autore

  • Maria Paola Repellino

    Architetta e Dottore di ricerca in ‘Architettura e Progettazione Edilizia’ (2016); Ricercatrice presso il Politecnico di Torino dove è stata Direttore Esecutivo del gruppo di ricerca China Room e membro del Future Urban Legacy Lab. Visiting Scholar presso la School of Architecture della Tsinghua University di Pechino (2014). Il suo lavoro di ricerca si concentra sulle culture del progetto architettonico e urbano con particolare attenzione ai processi di trasformazione urbana. Ad oggi le sue principali pubblicazioni sono il volume Fun Mill: The Architecture of Creative Industry in Contemporary China (ORO Editions 2022); The City after Chinese New Towns (Birkhäuser 2019, curato con M. Bonino, F. Governa, A. Sampieri)

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Last modified: 2 Settembre 2020