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Matteo GambaroWritten by: Professione e Formazione

Vittorio Gregotti: un intellettuale protagonista del ventesimo secolo

Vittorio Gregotti: un intellettuale protagonista del ventesimo secolo

Ha attraversato la seconda metà del Novecento per proiettarsi nel nuovo secolo, alimentando il dibattito con rinnovati stimoli per far fronte alle incalzanti sfide del futuro

 

Ci sono architetti protagonisti, come progettisti, altri solo testimoni, come storici o critici. Vittorio Gregotti era una figura, non comune, che ha incarnato e interpretato questi due ruoli. Per estensione culturale ed operativa, per vicende vissute, ha rappresentato un intellettuale che ha attraversato la seconda metà del Novecento per proiettarsi nel nuovo secolo, alimentando il dibattito con rinnovati stimoli per far fronte alle incalzanti sfide del futuro. Questo lungo percorso è segnato da opere ed incontri, in parte conosciuti, ma anche da tante vicende esistenziali del suo vissuto, a contatto diretto con i protagonisti della cultura europea del ventesimo secolo, come Auguste Perret, nel cui studio ha lavorato nell’estate del 1947. Jean-Paul Sartre e Fernand Léger a Parigi, e poi l’esperienza americana a New York, Boston e Chicago e l’incontro con Mies van der Rohe. Ma anche gli anni dell’esperienza nello studio BBPR con Ernesto Nathan Rogers, all’epoca frequentato dai protagonisti del Movimento moderno internazionale. Gli incontri con Henry Van de Velde, Konstantin Melnikov, Pablo Picasso, Alvar Aalto. E ancora, studente presso il Politecnico, in Inghilterra al convegno del CIAM ad Hoddesdon, fianco a fianco con Gropius e Le Corbusier, in compagnia di Franco Albini. Nonché, da poco laureato, nella redazione della «Casabella» di Rogers con Giancarlo De Carlo e Marco Zanuso. Luoghi, vicende, personaggi cercati, con la convinzione che fosse indispensabile essere presenti, a contatto con chi stava cambiando la storia dell’architettura moderna.

Gregotti ha interpretato il mestiere di architetto coerentemente e con grande pragmatismo per oltre sessant’anni parallelamente all’attività di studio, con la ricerca e l’insegnamento in qualità di professore ordinario allo IUAV di Venezia. Poi in altre università del mondo, sempre con la convinzione della necessità di sperimentare gli esiti della ricerca, in un processo di contaminazione e scambio, con l’obiettivo finale della costruzione dell’opera architettonica. Costruzione inscindibilmente legata all’ambiente, nella sua accezione più ampia e alle sue invarianti fisiche, culturali, materiali e immateriali che costituiscono, con quelli concretamente utilizzati per le costruzioni, i “materiali della progettazione”.

Assunti non scontati, in un’epoca caratterizzata da molte correnti di pensiero, alcune delle quali hanno profondamente influenzato generazioni di architetti. Dal postmodern, che tanta fortuna ha avuto anche dopo il suo esaurimento teorico, alla stagione high-tech in cui la tecnologia era spesso solo una scelta linguistica, all’enfasi decostruttivista, peraltro non ancora esaurita, fino alla deriva meramente formalista che caratterizza la contemporaneità. Scorciatoie mirate a creare stupore, a proporre anomalie rispetto all’esistente; forme iconiche e mode, che esauriscono la loro forza espressiva in tempi molto rapidi, lasciando dietro di sé manufatti vecchi e di scarso senso. In questo solco il mestiere dell’architetto viene progressivamente trasformato e istituzionalizzato in attività di servizio, frammentato in numerosi specialismi resi autonomi dalle regole procedurali e dalle necessità di controllo gestionale, con esiti positivi dal punto di vista prestazionale ed economico ma inadeguati alla ricerca di coerenza con il contesto ambientale, con la cultura del luogo e una più articolata dialettica socio-politica. Un ulteriore iato tra gli esiti progettuali, costruttivi e ambientali di cui dovrebbero essere espressione coerente, con soluzioni indifferenti anche ai contesti produttivi e alla conoscenza delle tecniche, dei materiali e delle filiere della produzione connaturate ai diversi luoghi.

Le sue numerose opere, dalle prime costruzioni novaresi dello studio Architetti Associati con Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino, alle importanti committenze pubbliche e internazionali, fino alle recenti realizzazioni in Cina ne testimoniano il rigore metodologico e la coerente linea di condotta intellettuale. Un fil rouge per le nuove generazioni di architetti che si devono misurare con una contemporaneità caratterizzata da luoghi sempre più complessi, con processi di omologazione dove è difficile percepire gerarchie, relazioni, differenziazioni funzionali tra spazi e luoghi. Espressione di casualità e non di razionalità. Città dove prevale l’idea dell’inutilità del disegno urbano, sostituito da un’estetizzazione diffusa senza regole, in cui i grandi edifici fuori scala, bigness, diventano i sintagmi di tutti i processi.

Il lungo racconto biografico di Gregotti è un’esortazione a non rinunciare alla passione per l’architettura, intesa come teoria e pratica capace di apportare contributi alla trasformazione della società. Un ininterrotto contributo “contro la fine dell’architettura”.

Immagine di copertina: Vittorio Gregotti, sistemazione delle piazze di Uskudar, Istanbul: studio del prospetto e della sezione del mercato coperto, 1987 (tratta da: Il mestiere di architetto, a cura di Matteo Gambaro, Edizioni Interlinea, 2019, pp.112, euro 10)

Autore

  • Matteo Gambaro

    Architetto, PhD e professore associato di Tecnologia dell’Architettura presso la Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. Svolge attività di ricerca, presso il Dipartimento ABC, e di progettazione con enti e istituzioni pubbliche, in particolare negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sulle residenze speciali e studentesche. Autore di libri, saggi e articoli scientifici, è curatore dell'ultimo libro di Vittorio Gregotti, "Il mestiere di architetto" (Interlinea, 2019)

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Last modified: 19 Marzo 2020