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Gerardo MazziottiWritten by: Città e Territorio Forum

Vele di Scampia: Di Salvo non ha colpe, il Comune di Napoli sì

Vele di Scampia: Di Salvo non ha colpe, il Comune di Napoli sì

Pubblichiamo una lettera che prosegue la riflessione sull’abbattimento della Vela verde nel quartiere napoletano

 

Facendo seguito all’apprezzabile articolo sull’abbattimento della Vela verde pubblicato su questa testata, nei giorni in cui la memoria di Franz Di Salvo viene di nuovo oltraggiata, considero doveroso omaggiare l’architetto che con le sue opere e progetti ha illustrato Napoli in Europa. Nell’ideare le Vele, Di Salvo s’ispirò a un edificio costruito a Berlino nel 1938 dall’architetto Walter Segal: due prismi paralleli di tre piani su pilotis, separati da un’intercapedine scoperta in cui sono posti i ballatoi di accesso alle abitazioni e dalla quale traggono luce e aria i bagni e le cucine, mentre soggiorni e camere da letto sono aperte al cielo e al sole (e anche al vento alla pioggia). L’ho visitato nel 1985 e ne ho ammirato la perfetta conservazione. Un edificio popolare abitato da diverse categorie sociali, tutti proprietari dell’abitazione e rispettosi del bene comune. Uno splendore che raramente è dato vedere.

Le Vele furono ultimate nel 1975, senza però la grande piazza alberata con il centro comunitario alla Gropius, lo spazio giochi dei bambini, la lavanderia, i negozi di alimentari e altri generi, un grande bar con sala biliardo, una biblioteca e il posto di polizia, progettati da Di Salvo per garantire la qualità della vita dei “velisti”. E di Scampia. Non realizzati per mancanza di fondi. Ed è stato un gravissimo errore.

La trasformazione delle Vele in un “inferno abitativo” è dovuta a cause che non hanno nulla a che vedere con la concezione architettonica. L’abbiamo sempre sostenuto. E lo ha scritto il grande storico Giuseppe Galasso in Le pietre sono innocenti. Il loro scandaloso degrado è da imputare ai sindaci venuti dopo l’amministrazione Valenzi, compreso de Magistris, che si sono rivelati incapaci di gestire questo grande patrimonio edilizio. A loro vanno contestati il sovraffollamento (i 1.192 alloggi con 6.050 vani andavano assegnati a 6.050 persone nel rispetto dello standard di un abitante per vano, invece sono stati assegnati a famiglie numerose per complessive circa 12.000 persone), il monoclassismo (bisognava assegnare le Vele a un’utenza di varie categorie sociali, come avviene in Europa, ma si è preferito assegnarle ai nullatenenti, ai diseredati, ai disoccupati; qualcuno ha parlato di plebe), il vandalismo (sono stati tollerati il furto degli ascensori e delle lance di rame antincendio – avvenuto tre volte -, le abitazioni abusive che hanno chiuso i piani porticati, le verande, i vani sulle terrazze); le carenze manutentive (non si è mai visto un addetto comunale a controllare le impermeabilizzazioni dei terrazzi, a rifare un intonaco o una pittura, a cambiare una lampadina…). Un abbandono assoluto e scandaloso. Sono gli amministratori e i “velisti” che hanno trasformato le Vele in ecomostri. Di Salvo, architetto geniale, di rara intelligenza e di grande cultura, non c’entra nulla. E le Vele restano il migliore esempio di edilizia popolare realizzato a Scampia.

L’assessore all’urbanistica Carmine Piscopo, in occasione della demolizione della Vela verde, ha detto che sull’area resa libera sorgerà un parco verde. Un’idea non condivisibile, visto che il “verde” a Scampia non ha vita facile. Lo dimostrano le vergognose condizioni del grande parco, circa 10 ettari, realizzato dopo il terremoto del 1980 e che, nelle intenzioni del sindaco Valenzi, avrebbe contribuito alla rinascita sociale e culturale di Scampia. Ma così non è stato. Del resto, anche la Villa comunale, rifatta (malissimo e tra mille polemiche) da Alessandro Mendini su incarico del sindaco Bassolino, versa da anni in vergognoso degrado. Penso che sarebbe opportuno realizzare su quest’area la piazza progettata da Di Salvo con la fontana e alcuni alberi ombrosi, i negozi alimentari e di generi vari, un grande bar e un centro comunitario, una piazza dove gli abitanti di Scampia possano incontrarsi.

Sull’urgenza di recuperare a condizioni di civile convivenza Scampia (una città di circa 100.000 abitanti, il doppio di quelli previsti dal piano urbanistico) abbiamo avuto negli ultimi decenni i dibattiti, i mega-convegni, i reportage sulla stampa quotidiana e periodica e in televisione, le denunce e le proteste dei parroci e dei comitati inquilini, le visite di presidenti della Repubblica e pontefici, le Feste del 1° Maggio e tutta una serie di proposte centrate sull’eliminazione della camorra, causa prima delle devianze sociali che ne determinano il degrado. Il sindaco de Magistris e il suo assessore Piscopo si sono convinti che le Vele sono il simbolo di tutte le negatività cittadine e hanno deciso di demolire le restanti, sfuggite ai picconi di Bassolino e Iervolino, contro il parere del mondo culturale cittadino, espresso in un convegno promosso proprio dalla loro amministrazione.

È il caso di ricordare che il piano urbanistico di Secondigliano (ha preso poi il nome di Scampia da una grande masseria che, assieme ad altre più piccole, occupava l’area) prevedeva ampie fasce verdi tra gli edifici residenziali e le strade, allo scopo di combattere l’inquinamento dell’aria e di costituire un filtro ai rumori del traffico. In realtà, le poche piantumazioni iniziali sono scomparse nello spazio di un mattino. Col risultato che le fasce sono state abbandonate agli usi più impropri, divenendo ricettacoli di rifiuti d’ogni genere e accentuando l’immagine di degrado del quartiere. Queste fasce si sviluppano su una superficie di circa 50 ettari (circa 5 volte la Villa comunale), più che sufficienti per creare una grande coltivazione di ortaggi e frutta, da affidare a una cooperativa di ragazzi e anziani di Scampia, secondo modalità da precisare. Le fasce andrebbero recintate con alte siepi. Nella fascia più grande si dovrebbe realizzare un manufatto edilizio seminterrato, coperto a prato, contenente i servizi igienici, gli spogliatoi e la direzione-amministrazione della cooperativa. Le fasce diventerebbero permanentemente “verdi” e cesserebbero di essere un problema (anche igienico) per diventare una risorsa (sociale ed economica). Si darebbe ai giovani (e anche agli anziani) di Scampia un’occasione di lavoro altamente redditizio e al quartiere un’immagine di gradevolezza. Nonostante la presenza della camorra e delle devianze sociali. È un’occasione da non perdere.

Autore

  • Gerardo Mazziotti

    Laureato in architettura a Napoli nel 1950 con un progetto di velodromo che vince il Premio Coni per impianti sportivi e grazie al quale il relatore Carlo Cocchia lo coinvolge nella progettazione dello stadio San Paolo di Napoli. È stato docente della Facoltà di Ingegneria di Salerno e autore, per la Collana scientifica dell’Università delle pubblicazioni “La ricerca della Forma”, “Il Partenone” e “Costruire”. Direttore dei servizi tecnici dell'Iacp di Napoli dal 1956 al 1989. Tra i progetti, le Terme del Solaro a Castellammare di Stabia, l’Ostello della gioventù a Napoli Mergellina, la Banca d’Italia di Benevento e un complesso scolastico polifunzionale a Napoli Marianella. Come autore di tre libri pubblicati sulla ventennale vicenda di Bagnoli-Coroglio ha ricevuto nel 2008 il Premio internazionale di Giornalismo civile. Nel 2016 ha pubblicato “Una vita da irridibile irrequieto” (Clean edizioni, prefazione di Aldo Masullo)

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Last modified: 11 Marzo 2020