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Michele RodaWritten by: Interviste Professione e Formazione

Paolo Bürgi: vedo paesaggi troppo pasticciati

Paolo Bürgi: vedo paesaggi troppo pasticciati

Incontro con il paesaggista elvetico a margine dell’11° edizione di Orticolario, fiera dedicata al giardinaggio e al paesaggio

 

CERNOBBIO (COMO). «Resto affascinato dalle vecchie cartoline in bianco e nero di fine Ottocento e inizio Novecento. Quello che mi colpisce non sono i posti rappresentati, il lungomare di Napoli o una piazza di Zurigo, ma l’essenzialità dei segni: pochi alberi, alcune panchine, una pavimentazione uniforme. È proprio questa essenzialità che dà qualità ai luoghi». Paolo Bürgi, paesaggista tra i più noti, frequenta i confini, sia nella vita che nei progetti. Il suo studio (una serra) è a Camorino, presso Bellinzona, in Canton Ticino. In Italia lavora sul Carso, uno dei fronti della Grande guerra. E a pochi chilometri dalla frontiera italo-svizzera, nella cornice del Centro congressi di Villa Erba a Cernobbio (disegnato da Mario Bellini nella seconda metà degli anni ’80), è stato ospite d’onore dell’11° edizione di Orticolario, consolidato appuntamento fieristico d’inizio autunno dedicato al giardinaggio e al paesaggio.

Il dialogo di Bürgi con Franco Zagari (non senza una nota di auto-ironia, si chiamano rispettivamente il poeta e il maestro) è un’occasione informale per raccontare cos’è il progetto di paesaggio contemporaneo. A partire da un percorso tematico fra alcuni lavori recenti scelti in coerenza con il tema della manifestazione, intitolata “Fantasmagoria” e dedicata al viaggio.

Le campiture fiorite della campagna tedesca di Mechtenberg, presso Essen, dimostrano che «è possibile parlare di bellezza anche lavorando su paesaggi agricoli e produttivi». La piazza minerale di Ginevra suggerisce invece un sottosuolo inaspettato e sorprendente: «Il Cern, uno dei luoghi più straordinari che esista», è una forma di giardino contemporaneo, senza vegetazione, raccontato paradossalmente nel luogo che celebra le piante in tutte le sue forme possibili. («È emozionante vedere lo scambio tra chi lavora tutto l’anno per coltivare un fiore e chi poi viene qua per acquistarlo»). Ma sono soprattutto i lavori in corso in Friuli (all’interno del programma “Carso2014+”, esito di un concorso vinto) che comunicano il senso più profondo di quello che Zagari definisce «La rivelazione di un costante stato d’instabilità, emblema di una progressiva mescolanza di componenti». I progetti per il museo a cielo aperto tra San Michele, Redipuglia e Castellazzo-Doberdò indagano i margini labili tra la fortissima identità storica e gli straordinari caratteri geologici: un belvedere, un percorso di cemento (“come un foglio appoggiato”), un bosco tagliato o un rinnovato bordo vegetale sono le azioni con le quali il paesaggio diventa forma e strumento di scoperta. Perché, attingendo con modi di osservazione creativa a molteplici fonti d’ispirazione (dall’Acropoli di Atene ad un fiore di sambuco, passando per la poesia), Bürgi sembra cercare di vedere tra le cose, oltre le cose, attraverso le cose. «Una dimensione», sottolinea ancora Zagari, «fortemente politica del paesaggio che conferisce a chi lo fa un ruolo centrale nella comunità. Purtroppo si tratta di qualcosa che non troviamo nel lessico politico italiano, dove invece si affaccia con sempre maggiore intensità la questione ambientale. Che però è cosa ben diversa dal paesaggio».

Parlando con “Il Giornale dell’Architettura”, Bürgi ci spiega che «La nostra epoca ha perso la capacità di ricercare il bello. Lo abbiamo annegato nell’accumulazione di segni. C’è troppo, dappertutto. Credo che dobbiamo ricercare l’essenziale, che è tema creativo molto forte». Una visione rinforzata dalle esperienze lungo ampie traiettorie. «Tendenzialmente l’essenzialità è della cultura nordica. Quella cinese e orientale tende invece a riempire. Ma i viaggi, che sono il tema di questa edizione di Orticolario, producono molta ibridazione. Sono stato in una giuria di un importante concorso per un grande parco in Corea del sud. Abbiamo premiato un progetto molto delicato, capace di esprimersi attraverso pochi segni forti. Credevo che l’autore fosse un paesaggista del Nord Europa. E invece, aperte le buste, ho scoperto che era proprio coreano». L’insegnamento al Politecnico è occasione per una conoscenza approfondita dei più recenti progetti per spazi aperti milanesi, dimensionalmente tra i più importanti realizzati in Italia e molto conosciuti. La risposta alla richiesta di un giudizio critico è accompagnata da un sorriso (con quell’atteggiamento di cortesia che ricorda Emilio Trabella, “l’uomo che sussurra alle piante”, secondo la definizione di Renzo Piano, con il quale ha collaborato in molti lavori, tra i fondatori di Orticolario, mancato nei mesi scorsi e ricordato più volte, anche nel dialogo Bürgi-Zagari), ma decisa e chiara: «Vedo paesaggi molto, troppo, pasticciati».

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 9 Ottobre 2019