Docente di urbanistica a Venezia, partecipò al CIAM del 1949 a Bergamo
Ricordo bene il giorno in cui Franco Berlanda arrivò allo IUAV: eravamo nella seconda metà degli anni ’70, ai Tolentini, dove la Facoltà si era oramai interamente trasferita. Fu Giuseppe Samonà a presentarlo, parlando del suo impegno a Torino sul tema dell’edilizia popolare e scolastica, e dicendo che su questo avrebbe dato un contributo importante alla nostra scuola.
Ricordo che Franco accennò al lavoro decennale svolto all’IACP di Torino; ma anche ai suoi interessi per le vicende anglosassoni (la prefazione all’edizione italiana di quel Futuro di Londra di Edward Carter, che molti di noi conoscevano): poche ma attraenti parole, perché casa e scuola erano allora i temi principali del nostro quotidiano impegno culturale e didattico; e Londra, le New Towns, Patrick Abercrombie, i nostri più amati modelli di riferimento. Ci sembrava importante che, nello IUAV di allora, reduce dallo scisma del 1970 che aveva portato al distacco di Urbanistica, Franco mettesse radici nel gruppo che aveva deciso di restare ad architettura: con Giancarlo De Carlo, Marcello Vittorini, Carlo Doglio, e con i giovani assistenti che li avevano seguiti; tutti accanitamente impegnati perché l’urbanistica – il contesto, la città, il territorio – continuassero ad alimentare l’architettura.
Furono radici solide, che lo portarono ad impegnarsi nella scuola (per due mandati fu direttore del Dipartimento di Urbanistica), abbandonando gradatamente le incombenze del mestiere. Lì diventammo amici, complice anche (e soprattutto) la comune passione per la vela. Oltre che l’impegno nelle cose di Venezia, delle quali scrisse in più occasioni sulla rivista di De Carlo.
Del suo passato di architetto Franco parlava poco: al punto che anche ai suoi amici la sua figura professionale appare solo adesso in tutto il suo spessore (grazie anche all’impegno del figlio Tomà, anch’egli architetto, che vive e insegna in Sudafrica e ne ha raccolto le memorie). Parlava anche poco degli straordinari avvenimenti dei quali era stato partecipe, come il CIAM di Bergamo del 1949, appena laureato; delle sue amicizie con Franco Albini, oltre che con Ernesto Rogers; del suo apprendistato con Giovanni Muzio quando era studente a Milano; delle sue collaborazioni professionali con architetti importanti della sua generazione, Gino Becker, Angelo Mangiarotti, Carlo Bassi, Goffredo Boschetti; e del suo insegnamento universitario prima di Venezia, a Palermo dal 1968 al 1971 e a Torino dal 1972 al 1974.
Ne parlava poco anche con me, che pure cercavo d’interrogarlo sugli eventi della sua formazione accademica prima di Venezia; con scarsi successi, salvo quando, alle prese con un libro per la Fondazione Zevi sullo IUAV di Samonà che raccoglieva gli atti di un convegno svoltosi a Roma nel 2004, lo costrinsi a scrivere della sua partecipazione alla scuola estiva del CIAM che si era tenuta a Venezia nel 1952; così sapemmo che, prima ancora che a Venezia, era stato nel 1959 alla Summer School di Londra, diretta da Edwin Maxwell Fry, scaturita dal dibattito svoltosi nel CIAM di Bergamo; e che in quella di Venezia era stato assistente, insieme a Gino Valle, Egle Trincanato e De Carlo, di Albini, Ignazio Gardella, Rogers e Samonà; sapemmo della grande partecipazione internazionale di docenti e studenti, delle straordinarie lezioni e conferenze che vi si tenevano; oltre che dell’originale lavoro svolto su Venezia. E, con intensa partecipazione, della memorabile lezione che vi fece Le Corbusier.
Poco altro poi, della sua vita; se non, negli ultimi anni, sprazzi sulla sua giovanile intensa partecipazione ai momenti della Resistenza.
Ci siamo visti ancora con Franco dopo che aveva lasciato Venezia, fino a qualche anno addietro (e una volta a Torino, a visitare Falchera); perché non mancava mai, quando ritornava, di suonare il campanello di casa, o dello studio, per salutarci, me e Stella. Con affetto e umanità.
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Last modified: 2 Ottobre 2019