Intervista a Emmanuele Jonathan Pillia, uno dei fondatori della casa editrice che ha intrapreso un originale percorso scommettendo sull’architettura
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Nel campo della piccola editoriaD Editoreha individuato e intrapreso una personalissima strada produttiva scommettendo (anche) sull’architettura. Per comprendere meglio il punto di vista di chi si muove nel quadro articolato della produzione del libro, raccontando con passione il mondo del progetto, abbiamo posto alcune domande a Emmanuele Jonathan Pilia (a sinistra nella foto, con Emidio Battipaglia e Massimo Ercolani), uno dei tre fondatori della casa editrice.
D Editore nasce su impulso di tre professionalità sviluppate attorno all’architettura, alla fotografia e alla critica. In che modo hanno contribuito le specifiche esperienze nei primi passi della casa editrice?
Diciamo che è stato in un primo momento fondamentale, per riuscire a inquadrare i nostri obiettivi, avere tre sguardi diversi. Operativamente (i compiti in una casa editrice sono davvero molti), ma è dal punto di vista teorico che usare tre sguardi diversi ci ha aiutato a focalizzare le nostre energie. Esiste un pregiudizio che vorrebbe il primato dell’architettura sulla sua rappresentazione, o della teoria sulla sua realizzazione. Ma la realtà è che il momento rappresentativo, teorizzante ed esecutivo coesistono. In questo ci sentiamo molto vicini alle parole di Luigi Pareyson, che nella sua Teoria della formatività applica la nozione di euristica a ogni azione creativa. Sembra molto complesso, ma in realtà si tratta di un’idea molto semplice: la formatività è quella teoria che si fa facendo, e quindi rappresentando. Non ci sono tre momenti, ma un’unica azione creatrice che è portatrice di rappresentazione, esecuzione e teorizzazione.
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La vostra formula editoriale prevede un contatto diretto con i lettori, basato sulla partecipazione ai costi di realizzazione – attraverso il crowdfunding – e alla composizione stessa dei volumi di futura pubblicazione. Come nasce l’idea di questa produzione del basso e a quali risultati ha portato?
L’idea è nata sostanzialmente dalla necessità: avevamo bisogno di una certa somma per acquistare i diritti, tradurre e stampare il nostro primo testo, e così abbiamo deciso di provare con il crowdfunding. Nel mentre, tramite i nostri profili social e al blog che avevamo al tempo, iniziammo anche a chiedere a chiunque volesse di partecipare alla realizzazione del progetto. Insomma, abbiamo praticato quello che viene chiamato crowdsourcing. La cultura del crowd ci ha sempre affascinato, sia per le ripercussioni politiche, sia per quelle pragmatiche, ed è nell’ottica di una certa cultura cyber quella di far infiltrare l’intera comunità dei fruitori nel ciclo di produzione delle informazioni.
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Il primo volume di D Editore è l’edizione italiana di War and Architecture (1993) che s’interroga sul ruolo dell’architettura tra le distruzioni della Sarajevo lacerata dal conflitto che chiude il ‘900. Quali i motivi di questa scelta?
Il lavoro di Lebbeus Woods è difficilmente catalogabile nel settore della saggistica di architettura: si parla di un testo che è a cavallo tra il manifesto, la poesia, l’autofiction e la monografia. Una leggenda vuole che Woods si fece falsificare un permesso da giornalista di guerra dalla rivista di architettura giapponese «A+U». Ha vissuto diversi mesi in quei luoghi: doveva vedere cosa accadeva a una città che fosse stata presa di mira da un tentativo di distruzione totale di simboli e di tutto ciò che rende tale una città. Non a caso, è stato coniato il termine “urbicidio” per descrivere la tattica di guerriglia usata in quel frangente. Il risultato è un pamphlet breve ma incredibilmente potente, dove incredibili illustrazioni si alternano a testi di potenza rara. Non potevamo non tradurlo.
I titoli seguiti a quel primo successo di pubblico e confluiti nella collana “Libreria di TransArchitettura”, hanno un taglio spiccatamente teorico. Nell’epoca patinata del risultato ad ogni costo, quale peso ha ancora la dimensione della ricerca?
Direi che è fondamentale proprio perché è necessario ad ogni costo ottenere dei risultati. Viviamo in un mondo in continuo cambiamento, e quindi è necessario studiare ogni giorno su quale terreno poggiamo i piedi. Anche come casa editrice siamo molto mutati: da un inizio di sola architettura, ora spaziamo in diverse direzioni. Non c’è altra scelta: occorre mutare, se non si vuole perire. È illusorio credere che si possa mantenere la stessa prassi in un contesto che cambia radicalmente anche nell’arco di pochi giorni.
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Tra gli obiettivi fondativi della casa editrice, c’era quello di portare in Italia temi e libri che difficilmente riuscivano a superare i confini culturali del nostro paese. A quasi 10 anni dall’inizio della vostra attività, quali tematiche siete riusciti ad importare e con quale riscontro tra i lettori?
Siamo stati tra i primi a portare in Italia un tema oggi sulla bocca di tutti, ossia quello del rapporto tra violenza e architettura, con libri come il già citato Guerra e Architettura, ma anche Topie Impitoyable o Lezioni dalla fine del Mondo. Alcuni temi significativi sono usciti da libri che esautorano il tema dell’architettura, ma hanno avuto un certo impatto: La fine dell’invecchiamento è stato uno dei nostri titoli più venduti, ed è ora sulla bocca di molti studiosi un tema che gli architetti non amano tener conto, ossia il cambiamento di demografia e di dislocazione della risorsa “tempo”, così come La società degli automi. Se le nostre vite si allungheranno in modo indefinitamente lungo, e il nostro tempo libero crescerà esponenzialmente grazie all’automazione, come le città dovrebbero essere rimodellate? Questi temi furono affrontati dal Situazionismo negli anni ’60 e ’70, ma sembrano ora orfani.
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Il libro di carta troverà ancora posto nelle strategie della media e piccola editoria o sarà inevitabilmente superato dalla smaterializzazione digitale?
Credo che i libri cartacei continueranno a vivere, in un modo o nell’altro, soprattutto i libri di architettura. Noi architetti abbiamo un certo feticismo per la materia. Inoltre, spesso, i libri di architettura si prestano come cataloghi, avendo una componente oggettuale forte. Certo, prima o poi anche il digitale riuscirà ad assumere questa componente, ma i media di rado vengono cancellati: spesso vengono solo affiancati ad altri media. Prendiamo ad esempio le radio: oggi si parla con sempre più vigore di una seconda età dell’oro delle radio indipendenti, grazie anche ai podcast. Lo stesso accadrà con i libri.
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D Editore è basato sull’amore rivolto al futuro, all’arte e alla bellezza. Quale sarà, per voi, il ruolo di arte e bellezza nel prossimo futuro e come vi state attrezzando per raccontarle?
Così come oggi viviamo in una società dominata dalle immagini, non riesco a vedere un futuro che non sia ancor più esplosivo in termini di cultura visuale. La sempre maggiore facilità degli spostamenti, la possibilità di accedere a database sconfinati, il flusso continuo di immagini che viviamo (e non solo vediamo) anche solo seguendo il feed dei nostri social network preferiti ci alimenta in modi che nessun’altra generazione avrebbe non solo potuto immaginare, ma anche solo concettualizzare. Ora, c’è chi critica questa opulenza, che senz’altro ha degli aspetti negativi, ma bisogna pure considerare che veniamo da un’epoca in cui solo chi poteva permettersi spese sconfinate aveva accesso alla bellezza che noi oggi possiamo avere. E questa quantità ha generato una nuova qualità: basta vedere quante nuove forme espressive nascono ogni anno.
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Quali spazi continuerà ad avere il libro di architettura?
Può sembrare strano, ma per quanto riguarda l’editoria (e anche l’editoria di architettura) ogni nazione ha la sua criticità: la scena italiana, in particolare, soffre un gap linguistico abbastanza importante, e inoltre si traducono pochi testi tra quelli considerabili importanti. Questo crea un gap anche culturale, perché difficilmente alcune idee vengono fatte circolare nelle università, che sono il luogo dove le idee (nonostante tutte le difficoltà delle università italiane) si creano. Credo che il libro di architettura sia ancora importante, tremendamente importante, perché affiancato al web può essere uno strumento di notevole potenza per la formazione delle future generazioni di professionisti.
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D Editore
La casa editrice D Editore, con base a Ladispoli, nasce nel 2010 dall’incontro dalle diverse esperienze culturali di Massimo Ercolani (architettura), Emidio Battipaglia (fotografia) e Emmanuele J. Pillia (critica), unite dalla consapevolezza che la circolazione (e condivisione) della conoscenza passa necessariamente dal confronto con realtà lontane dalle abitudini di lettura italiane. Seguendo questa consapevolezza D Editore inizia, con Guerra e Architettura, a tradurre testi originali ancora mancanti nel panorama bibliografico del nostro paese. Il metodo di acquisizione dei diritti editoriali e di pubblicazione, basato sulla raccolta fondi, ha riscosso un notevole successo fino ad interessare il Sole 24 Ore e alcune Facoltà di Economia che hanno ospitato negli anni D Editore per raccontare questa esperienza partecipativa. L’architettura occupa un filone importante della produzione editoriale, potendo contare su diversi importanti titoli confluiti nella collana “Libreria di TransArchitettura” nella quale trovano spazio, da Piranesi a Marcos Novak, le immagini visionarie di progetti utopici e città futuribili. All’architettura si affiancano anche i temi dei mutamenti del nostro mondo e dei linguaggi contemporanei, raccolti nelle collane “Libreria di Neoantropologia”, “Strade Maestre” e “Eschaton”.
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Il mondo del libro in Italia e i dati ISTAT
Con la fine del 2018 l’ISTAT ha pubblicato un report sull’editoria che fotografa il mondo della produzione e del “consumo” di libri nel nostro paese. Quasi l’85% delle case editrici nel 2017 ha pubblicato meno di 50 titoli e ciò equivale ad una galassia di editori, piccoli e medi, che si contendono una fetta importante di un mercato stretto nella morsa di una lunga contrazione economica. Lo studio indica anche che, a fronte della riduzione complessiva della tiratura, i piccoli editori tendono a innovare la propria offerta puntando sulla specializzazione della propria produzione per intercettare precisi target di lettori. In prevedibile crescita la smaterializzazione dei libri che affiancano al volume cartaceo anche la versione digitale (il 38,3% dei titoli del 2017) e la predilezione di librerie indipendenti e store on-line come canali di distribuzione.
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Last modified: 29 Gennaio 2019