A quaranta anni dalla scomparsa, il Musée des Arts Décoratifs dedica al maestro una grande mostra a cura di Olivier Gabet, allestimento di Wilmotte & Associés e grafica di Italo Lupi. Intervista a Salvatore Licitra e a Chiara Spangaro
PARIGI. Al Musée des Arts Décoratifs (MAD) va in scena in questi mesi una grande mostra dedicata a Gio Ponti (1891-1979). Figura prominente della cultura del progetto del XX secolo, uno dei primi protagonisti italiani a godere di una dimensione internazionale, quella di Ponti è una vicenda nota ed esplorata ma che ha registrato in vita e subito dopo la scomparsa una fortuna critica a dir poco articolata e controversa. In questo simile al suo amico e partner di molti progetti Pier Luigi Nervi, Ponti esercita nella sua vita professionale un enorme potere realizzando progetti per i migliori e più importanti committenti dell’epoca. In questo diverso dal grande ingegnere di Sondrio, controlla anche la comunicazione – «Domus», «Stile», «Edilizia moderna»- ed ha un rapporto privilegiato con il mondo delle aziende che ruotano attorno alla casa, all’abitare dell’uomo. Molti gli amici, ma anche i nemici in questa inimitabile vita. All’inaugurazione del grattacielo Pirelli a Milano, opera che irrompe nel panorama internazionale con un forza d’innovazione assoluta, «Casabella» fa seguire un assordante silenzio che sancisce la distanza fra il progettista milanese e l’altra metà del mondo architettonico della città. La frattura durerà a lungo e questa male formulata accusa d’internazionalismo peserà sulla tiepida memoria riservata per decenni al nostro, almeno da parte di alcuni. Ma fuori dall’Italia il mito di Ponti ha sempre goduto di uno splendore intramontabile: la grande mostra parigina, curata da Olivier Gabet ne è la prova. Giustamente celebrativa, allestita con una grandeur che qui non guasta da Wilmotte & Associés, e con grafica di Italo Lupi, la prima retrospettiva dedicata in Francia appella il ritrovato archi-designer quale maestro di una nuova arte di vivere. L’obiettivo è quello di far conoscere al grande pubblico l’universo creativo di “un personaggio mitico dello scenario italiano” attraverso più di 500 pezzi, alcuni mai esposti, che tracciano un percorso che va dal 1921 al 1978 e spazia fra le discipline mettendo in mostra architettura, arredi, interni privati e pubblici, università, cattedrali, grattacieli, macchine per il caffè, ceramiche, porcellane e così via.
Abbiamo avuto modo di parlarne con Salvatore Licitra, nipote di Ponti e direttore dei Gio Ponti Archives e con Chiara Spangaro, curatrice associata della mostra.
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Salvatore Licitra
A 40 anni dalla scomparsa di Ponti e dopo molte mostre, libri, saggi, articoli, come è cambiata la percezione della sua opera nella storia del Novecento?
Bisogna dire che una distanza temporale dal suo lavoro si è rivelata necessaria, soprattutto in Italia, per arrivare a coglierne il senso. Ponti ha lavorato molto intensamente per sessant’anni, ha avuto una carriera professionale fenomenale, ma l’attenzione al suo lavoro e la stima sono venute soprattutto dall’estero, da professionisti o studiosi che hanno saputo coglierne le peculiarità senza farsi “distrarre” dai dibattiti accademici italiani. Oggi appare evidente una coincidenza tra le proposte di Ponti e la percezione contemporanea dell’architettura e del design. Questo spiega l’attenzione al suo lavoro che incontriamo oggi da parte di architetti, ricercatori, designer, artisti. In sintesi direi che l’espressione di Ponti, che intrecciava in assoluta libertà design, architettura e comunicazione, è un criterio oggi condiviso ed evidente. Una delle ragioni di queste nuove prospettive risiede nelle nuove tecnologie, che da un lato ci liberano dallo spazio-tempo, dall’altro fanno di ciascuno di noi il perno attorno cui il mondo intero si rappresenta. L’eccentricità da outsider di Ponti diventa oggi la chiave per trovare nel suo lavoro spunti e proposte attualissimi.
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Dal punto di vista dell’archivio che Lei conduce da molti anni, quali sono ancora gli aspetti da indagare dell’opera di Ponti?
Intanto, proprio per l’attitudine “artistica” di Ponti, in archivio abbiamo una grande quantità di studi e proposte non realizzate che vanno “raccontate”. Si potrebbe fare un libro di “progetti ineseguiti”! Poi è importante studiare, far emergere e rendere evidente quella “grammatica pontiana” che è la radice generativa del suo lavoro come designer, architetto ed artista e che tiene insieme le sue multiformi opere.
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Chiara Spangaro
La prospettiva storica su Ponti è probabilmente sufficiente a 40 anni dalla scomparsa per collocare la sua opera nel Novecento e valutarne gli effetti sul nuovo millennio. Ha influito questo sul vostro lavoro curatoriale? E se sì, come?
Le multiformi prospettive del lavoro di Ponti hanno sempre sollevato l’attenzione di storici, curatori e critici nel campo dell’architettura, delle arti applicate e del design, come sotto il profilo della direzione artistica e culturale con cui ha felicemente informato le riviste che ha diretto, le mostre che ha curato e i progetti corali che ha portato a termine – come ad esempio il Palazzo del Bo a Padova negli anni trenta. Chi si approcci da curatore a questo universo ricco e sfaccettato è chiamato a fare scelte precise, così da poterne presentare l’allegra complessità come il legame con le diverse epoche in cui Ponti ha operato: dal ventennio di dittatura mussoliniana alla rivoluzione culturale del Sessantotto e oltre. La ricerca operativa del team curatoriale di “Gio Ponti. Archi-Designer” ha portato alla luce diverse opere inedite o meno conosciute al grande pubblico, che hanno sollevato intrecci e aspetti insoliti o poco frequentati – come Il Labirinto, o i legami “parigini” di Ponti. Senza prescindere dai “fondamentali” della geografia pontiana, la mostra affronta anche il tema complesso del legame di Ponti con il regime fascista, attraverso la sezione delle commesse architettoniche pubbliche degli anni trenta, o la lettura critica che Ponti offre dalle pagine di «Domus» sempre nel senso della promozione delle arti italiane nelle diverse epoche. Guardando idealmente a collettive più o meno recenti quali “Anni Trenta. Arte e cultura in Italia” e “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943”, il tentativo è stato quello di descrivere l’evoluzione della poetica di Ponti fuori dalle ideologie ma dentro la Storia.
Ponti è figura deliziosamente poliedrica e attiva in tutta l’esperienza del progetto. Qual è l’aspetto del suo lavoro che più l’ha coinvolta?
Mi appassionano la sua coerenza unita alla continua capacità d’innovazione. Ponti ha sempre guardato alle novità – di forme, materiali, idee – passandole al filtro della sua immaginazione. In architetture complesse quali il primo palazzo Montecatini o il grattacielo Pirelli, l’Istituto italiano di cultura “C.M. Lerici” di Stoccolma o la villa Planchart, per citarne solo alcune, risaltano l’integrazione tra la sua prospettiva globale, la naturale attitudine ad anticipare i tempi e una visione personale che si esprime nel dettaglio. Dalla maniglia E42 della Montecatini al pavimento Pirelli, dal soffitto dell’auditorium a Stoccolma fino all’illuminazione notturna della villa di Caracas, «l’architettura come professione deve servire la società futura sul piano funzionale, tecnico, produttivo, economico; deve servire la felicità e le esigenze degli uomini sul piano della loro vita – aria, sole, salute, assistenza, lavoro; deve nutrire l’intelletto degli uomini sul piano dell’intelligenza e dello stile – unità, ordine, essenzialità; come arte deve nutrire l’anima degli uomini e i loro sogni sul piano dell’incanto – immaginazione, magicità, fantasia, poesia». (Gio Ponti, Amate l’architettura, Società Editrice Vitali e Ghianda, Genova 1957; Rizzoli, Milano 2004, p. 11).
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Tutti dunque a Parigi, per visitare una mostra di grande successo al punto che, ultim’ora, verrà prorogata sino al 5 maggio.
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Décoratifs de Paris, 1973
(© Gio Ponti Archives,
Milan)"
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TUTTO PONTI, GIO PONTI ARCHI-DESIGNER
dal 19 ottobre 2018 al 5 maggio 2019
Musée des Arts Décoratifs
107, rue de Rivoli
75001 Parigi
Curatore
Olivier Gabet, direttore del Musée des Arts Décoratifs
Curatori
Dominique Forest, curatrice capo del dipartimento Moderne et Contemporain
Sophie Bouilhet-Dumas, Studio Bouilhet-Dumas
Salvatore Licitra, direttore del Gio Ponti Archives
Curatore associato
Chiara Spangaro, curatrice e storica dell’arte
Allestimento
Wilmotte & Associés
Grafica / segnaletica
Italo Lupi
Grafica / comunicazione
BETC
Catalogo
Gio Ponti Archi Designer, a cura di Sophie Bouilhet-Dumas, Dominique Forest, Salvatore Licitra (Edition MAD, Edizione inglese Silvana Editoriale)
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francia , mostre , parigi
Last modified: 16 Gennaio 2019