Addio allo scrittore, filosofo e architetto che aveva teorizzato il rapporto tra tecnologia, velocità, società e potere nell’era contemporanea
Paul Virilio, morto il 10 settembre a Parigi all’età di 86 anni, era noto in Francia e nel mondo per la sua analisi della relazione tra territori, sistemi di potere e nuove tecnologie e per le sue elaborazioni teoriche sulla nozione di velocità. Nato a Parigi nel 1932 da padre italiano e da madre bretone, aveva una formazione di artigiano e artista nel settore del vetro, ricevuta presso l’Ecole des métiers d’art allora situata nel quartiere del Marais a Parigi. Anche se non era vero (aveva seguito i corsi di Vladimir Jankélévitch e Raymond Aron alla Sorbona), gli piaceva dire che non aveva mai frequentato l’università, come in un’intervista del 1985 con Georges Benko per la rivista “Espaces et Sociétés”: «La mia università è stata la guerra». Essere sopravvissuto al bombardamento della città di Nantes nel settembre 1943 ha infatti segnato per sempre il suo rapporto con la tecnologia: non ha mai smesso di metterne in rilievo il potenziale distruttivo e di analizzarne l’impatto sociale e territoriale. «Ho capito durante la guerra che le tecnologie hanno dei regimi di temporalità specifici». È in quanto artista vetraio che frequenta Henri Matisse e Georges Braque alla fine degli anni quaranta e nei primi anni cinquanta. Poi si avvicina al mondo dell’architettura.
La sua prima ricerca è dedicata a una lettura fenomenologica delle fortificazioni tedesche lungo la costa atlantica francese. Dopo un’altra esperienza bellica, in Algeria, fonda nel 1963 con Claude Parent il gruppo Architecture Principe, nell’ambito del quale riflette sulla materialità dell’architettura e sul suo rapporto con il suolo, l’orizzonte, la gravità e la società. Ne deriva nel 1964 il Manifesto per un’architettura obliqua: «La fine della verticale come unica linea di elevazione e dell’orizontale come piano permanente». In questi anni, Virilio integra anche la redazione della rivista parigina “Esprit”, luogo di nascita di una nuova sinistra, critica nei confronti del marxismo e attenta alla sorte dell’individuo nel mondo moderno. Diventa anche insegnante all’Ecole Spéciale d’Architecture, che poi dirige dal 1972 al 1975. Nei suoi saggi degli anni 1970 svilippa la sua analisi della velocità in quanto cambiamento maggiore nella nostra relazione con il mondo e in quanto elemento chiave di un cambiamento di paradigma per quanto riguarda l’impatto dei sistemi di potere sul territorio. Propone una gerarchia degli oggetti urbani a seconda del grado di velocità che rappresentano: «Dobbiamo considerare le velocità del contemporaneo come un ambiente nuovo che a sua volta trasforma l’ambiente e la società». Nel 1976 con L’insécurité du territoire e nel 1977, con Vitesse et politique: essai de dromologie, insiste sulla violenza dell’irruzione nelle nostre vite non solo di tecnologie invasive, ma anche di nuove dimensioni del controllo. Il suo saggio Un paysage d’événements (1996) affronta il tema dell’accelerato scivolare del tempo nelle società contemporanee e della vulnerabilità dell’individuo in questo contesto. Con Esthétique de la disparition (1999) [Estetica della sparizione, Liguori, 1992], insiste sull’ontologia del cambiamento all’opera con le tecnologie emergenti: ha sottolineato più volte che il titolo del suo libro non doveva essere preso per una formulazione poetica, ma come una visione pratica. Le cose oggi esistono solo perchè stanno scomparendo nell’infinito ed effimero passare di attimi sempre più brevi. Precursore di tutta una corrente di lettura delle profonde mutazioni delle società contemporanee, aveva nel 2010, con L’administration de la peur, aggiornato ed esteso le sue intuizioni degli anni ’70 e ’80, con le quali già aveva capito l’importanza decisiva della relazione tra uomo, società e spazio in relazione all’emergere di tecnologie fondate sull’instantaneità e l’ubiquità.
Di fede cattolica, si era anche in diversi momenti della sua vita impegnato politicamente per il diritto alla casa, contro l’uso dell’urbanizzazione come arma di occupazione in Palestina e, in generale, contro le multiple ingiustizie derivanti dalla sempre più marcata differenza tra i regimi di velocità ai quali le società attuali sottopongono gli individui.
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Immagine di copertina: © Despatin&GobeliOpaleLeemage