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Emanuele PiccardoWritten by: Biennale di Venezia

La Francia a Venezia: il Freespace in 10 luoghi recuperati

La Francia a Venezia: il Freespace in 10 luoghi recuperati

Intervista a Julien Choppin, Nicola Delon e Sébastien Eymard, curatori del Padiglione nazionale intitolato “Lieux Infinis” alla 16. Mostra internazionale di Architettura di Venezia

 

Nicola Delon, Julien Choppin, Sébastien Eymard (©Elodie Daguin)

La curatela del Padiglione francese è affidata quest’anno al collettivo di architetti Encore Heureux, fondato a Parigi nel 2001 da Julien Choppin e Nicola Delon, cui nel 2016 si è aggiunto Sébastien Eymard. Il tema prescelto, “Lieux Infinis. Construire des bâtiments ou des lieux?” (Luoghi infiniti. Costruire degli edifici o dei luoghi?), propone dieci casi sperimentali di recupero sociale e culturale per altrettanti siti dismessi in territorio francese. Abbiamo intervistato i tre curatori.

 

 

“Luoghi infiniti” è il titolo del Padiglione francese alla Biennale di Venezia di quest’anno. Qual è la vostra idea?

Abbiamo scelto questo titolo perché vogliamo evidenziare i processi architettonici che generano luoghi inaspettati, luoghi in cui svolgere una grande varietà di funzioni come attività culturali, alloggi condivisi e di emergenza, residenze artistiche, attività associative… Integrare utilizzi inattesi, zone di libero accesso e consapevolezza dei cittadini è la prova che alcuni spazi sono ricchi di sperimentazione sociale. Con il sottotitolo “Costruire degli edifici o dei luoghi?” vogliamo esplorare le possibilità nell’architettura nelle città di oggi e di domani. “Luoghi infiniti” rimanda da un lato all’infinità di alternative che sorgono in Francia e nel mondo e, dall’altro, al concetto di “non finito” che rende l’architettura viva perché le persone possono trasformarla nel tempo.

 

Quali sono i casi studio selezionati?

Ne presentiamo dieci: Les Grands Voisins e il Centquatre a Parigi, l’Hôtel Pasteur a Rennes, la Grande Halle a Colombelles, gli Ateliers Médicis a Clichy-sous-Bois-Montfermeil, la friche la Belle de Mai a Marsiglia, il Tri Postal ad Avignone, il 6B a Saint-Denis, la Convention a Auch e la Ferme du Bonheur a Nanterre. La ragione per la quale ne abbiamo scelti dieci è il mix di nozioni in essi riscontrabile: pubblico, privato, associazione, grande, piccolo, vecchio, futuro, fragile, urbano, periferico e rurale. Ognuna di queste nozioni verrà presentata attraverso vari elementi: oggetti, modelli, fotografie, video e disegni che racconteranno storie e cercheranno di trasmettere il loro spirito.

 

Yvonne Farrell e Shelley McNamara hanno scritto: “Freespace rappresenta la generosità di spirito e il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio”. Queste parole sono molto generiche e con esse siamo tutti d’accordo ma… poi?

Al di là di queste parole noi ci chiediamo quali siano realmente gli spazi di libertà oggi. Quali alternative abbiamo? Le due istanze del nostro tempo sono la crisi del clima e il bisogno di solidarietà. I dieci luoghi che noi abbiamo selezionato inventano nuovi processi e specifiche strategie. In essi vengono utilizzati modelli economici differenti, il cittadino è integrato nel processo creativo della propria città, si offrono spazi di espressione libera per una produzione e un consumo più responsabili. Siamo convinti che questi luoghi costituiscano reali e costruttive alternative da condividere e discutere.

 

Encore heureux tradotto letteralmente significa “Ancora Felici”. Oggi l’architettura è felice?

In un mondo sempre più complesso le risposte non possono essere semplici. Gli architetti si trovano in mezzo a questa complessità. Spesso è molto difficile affrontarla e vogliamo ricordare che la nostra ricerca collettiva è la ricerca della felicità… Cerchiamo sempre, nell’ambito della nostra piccola scala, di dare un senso a tutti i nostri interventi; un senso sociale, ambientale, programmatico ed estetico. Queste qualità non sono sempre facili da coniugare e reinterpretiamo sempre il nostro modo di lavorare.

 

In che modo l’architettura può raggiungere la felicità? Ci sono molti attori che contribuiscono al successo di un progetto…

Crediamo fortemente nella necessità di pensare in modo globale, in un modo che includa allo stesso tempo persone e situazioni, in opposizione al nostro mondo di esperti e specialisti. Ogni domanda posta, ogni situazione, ogni storia è per definizione unica e quindi richiede una risposta singolare. Reinterrogare i bisogni e i desideri del cliente in ogni fase del nostro lavoro ha dimostrato di essere la conditio sine qua non per un progetto di successo. Consideriamo non solo possibile ma anche necessaria l’invenzione di nuovi modi di costruire: economicamente ed ecologicamente sobri, ricchi di significato e immaginazione.

 

Immagine di copertina: Les Grands Voisins, Parigi, 14° arrondissement (© Alexa Brunet)

 

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Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 1 Maggio 2018