Alle “Storie” del design italiano è dedicata la XI edizione del Triennale Design Museum (fino al prossimo 20 gennaio), con 180 oggetti considerati tra i più rappresentativi
MILANO. In un confronto promosso dalla Triennale la scorsa estate con critici, storici, progettisti e imprenditori sul tema del museo del design, era emersa la necessità di raccontare le storie del design italiano attraverso le sue icone, non per monumentalizzare il passato quanto per permettere ai visitatori di riconoscere -e riconoscersi – negli oggetti di uso comune che appartengono ai nostri paesaggi domestici.
Vale la pena ricordare che la trasformazione di un “oggetto”, familiare e democratico, in “opera d’arte” museale fu introdotta da Marcel Duchamp il 10 aprile 1917, quando un orinatoio in ceramica avrebbe dovuto essere esposto al Grand Central Palace di New York alla mostra della Society of Indipendent Artists (fu scartato perché reputato poco consono), per poi connotare l’orientamento museografico del MoMA di Alfred H. Barr che sognava un living museum, un museo capace di raccontare il presente, dove esporre un elicottero Bell 47D1 o una Cisitalia 202 GT suscita ancora qualche stupore. Ma il MoMA ha iniziato a esporre oggetti comuni nel 1933, per una felice intuizione di Philip Johnson, primo direttore del Department of Architecture and Design e curatore della mostra “Objects: 1900 and Today”, o le prime automobili nel 1951, in un periodo storico lontanissimo dal design contemporaneo che è, invece, il riferimento e l’obiettivo del Triennale Design Museum. La dimensione temporale è siderale, al pari della mutevolezza di senso che il design ha assunto dal 1933 al 2007, anno di apertura del Triennale Design Museum.
Il design è una disciplina complessa e indomita che mal si presta alla museificazione e che pensare di ridurre oggi al sensazionalismo di un elicottero o di un videogioco risulterebbe a dir poco ingenuo o semplicistico. Lo dimostrano le gallerie del design presenti nei musei di arti decorative del mondo, rappresentate, nella maggior parte dei casi, da un’amorfa e casuale sequenza di arredi e di oggetti, che, incapaci di tradurre i significati e i valori del tempo che li ha prodotti, sono, per questo, abbandonati all’oblio e alla polvere.
La formula del “museo mutante” introdotto dal Triennale Design Museum, invece, non soltanto riesce a cogliere l’irrequietezza tematica e a trasferire la mutevolezza semantica del design contemporaneo ma risulta, nella sua dichiarata frammentarietà, un’efficace narrazione del design secondo le coordinate della contemporaneità. Il tempo del design è il presente e per comprenderlo occorre conoscere il passato, non quello lineare e sequenziale proposto dalla storia, ma l’intreccio vibrante di contesti, forme, materiali e idee delle diverse “storie”.
TDM atto undicesimo
Alle “Storie” del design è dedicata la XI edizione
del Triennale Design Museum, dove l’oggetto della mimesi sono le icone, 180 oggetti, considerati tra i più rappresentativi del design italiano.
Silvana Annicchiarico, direttrice del museo, ha guidato il team curatoriale composto da Vanni Pasca, Raimonda Riccini, Chiara Alessi, Manolo De Giorgi e Maddalena Dalla Mura. «Con questa edizione – afferma Annicchiarico – il Triennale Design Museum coniuga la necessità di offrire un palcoscenico ai classici che hanno fatto grande il design italiano senza rinunciare a indagare il legame che il design ha istituito con la società, con i consumi, con i territori, con le idee del mondo e di bellezza e, in ultima istanza, con la vita quotidiana di tutti noi».
Nell’algido allestimento di Calvi Brambilla sfilano in sequenza cronologica gli oggetti che hanno costruito il mito italiano nel mondo, nelle loro prolifiche intersezioni multidisciplinari: gli arredi (dalla Super Leggera di Gio Ponti per Cassina alla Proust di Mendini, dallo sgabello Mezzadro di Achille e Piergiacomo Castiglioni per Zanotta alla Carlton di Ettore Sottsass per Memphis, dalla Lady di Marco Zanuso per Arflex ai Feltri di Gaetano Pesce per Cassina); le lampade (dalla Luminator di Pietro Chiesa per Fontana Arte alla Tolomeo di Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina per Artemide, dal Pipistrello di Gae Aulenti per Martinelli alla Titania di Meda e Rizzatto per Luceplan e l’immancabile Arco dei Castiglioni per Flos), il food del Bacio Perugina o del Camparisoda; la moda con il Borsalino, le Superga, i Persol, i jeans Fiorucci o la giacca destrutturata di Armani; il transportation design con la Vespa, la Ferrari 125s, la Ducati Monster, la Graziella fino alla mitica 500 di Dante Giacosa; gli elettrodomestici come la Moka Bialetti, il Bidone aspiratutto, le pentole di Roberto Sambonet o la macchina da cucire Mirella; la grafica dei manifesti di Leopoldo Metlicovitz e di Zang Tumb Tuuum, il libro di Filippo Tommaso Marinetti; i complementi d’arredo come i vasi di Gio Ponti per Richard Ginori o quelli di Ettore Sottsass per Bitossi, fino al paravento Arlecchini di Piero Fornasetti, e capolavori come la Valentine di Ettore Sottsass per Olivetti, il rompitratta di Achille e Piergiacomo Castiglioni per Vlm o il telefono Grillo di Marco Zanuso e Richard Sapper per Siemens.
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L’arco temporale va dal 1902 – anno della Prima Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino – al non del tutto convincente termine del 1998, considerato, nelle parole di Pasca, come la fine della «lunga transizione tra il modello italiano del design che si è affermato tra gli anni sessanta e settanta e un nuovo modello, caratterizzato da continuità ma anche da cambiamenti, che si delineerà con il secolo XXI».
Il percorso è introdotto dai neon colorati del negozio virtuale, curato da Chiara Alessi, dedicato ai temi del digital manufacturing e della distribuzione, e si dipana poi in cinque periodi cronologici, chiaramente identificabili grazie alla grafica di Leonardo Sonnoli: 1902-1945, 1946-1963, 1964-1972, 1973-1983, 1984-1998.
Le “Storie” del Triennale Design Museum dimostrano la ricchezza e la varietà del design italiano, i suoi intrecci multidisciplinari ma anche l’incapacità delle sole icone ad esaurire la narrazione del design contemporaneo perché, come afferma Annicchiarico, in questo caso il Museo «verrebbe meno alla sua vocazione originaria: quella di inventare e sperimentare nuove ipotesi teoriche e nuovi modelli narrativi, avendo il coraggio di applicare al design altri punti di vista».
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Storie.
Il design italiano
14 aprile 2018 – 20 gennaio 2019
Triennale Design Museum
Ideazione e direzione: Silvana Annicchiarico
A cura di: Chiara Alessi, Maddalena Dalla Mura, Manolo de Giorgi, Vanni Pasca, Raimonda Riccini
Progetto di allestimento: Calvi Brambilla
Progetto grafico: Leonardo Sonnoli
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allestimenti , mostre , musei , triennale milano
Last modified: 24 Aprile 2018
[…] grande velocità e non senza qualche ripensamento, come la chiusura anticipata, e poi bloccata, del TDM 11 lo scorso settembre. A quel punto è partita una grande opera di conciliazione che ha portato, […]