L’eredità del grande architetto brasiliano a 5 anni dalla scomparsa (e a 110 dalla nascita)
Il 5 dicembre 2012 moriva a Rio de Janeiro – dove era nato il 15 dicembre 1907 – Oscar Ribeiro de Almeida de Niemeyer Soares.
Nel libro Amares, pubblicato originariamente nel 1993, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano afferma che Niemeyer ha potuto fare poco contro il capitalismo, ma ha fatto molto contro il predominio della linea retta nell’architettura moderna. Ha tracciato il cammino verso la riscoperta della geometria biomorfa, sfruttando appieno le possibilità tecniche e strutturali del cemento armato, poi sviluppate dal Le Corbusier di Ronchamp, da Jørn Utzon e da Eero Saarinen. Ha utilizzato un sistema metodologico multifocale così forte e creativo da influenzare non solo i maestri della seconda generazione moderna ma anche il linguaggio fluido dei contemporanei Toyo Ito, Kazuyo Sejima, Alvaro Siza e Zaha Hadid. Intervistata dal quotidiano spagnolo “El Paìs” nel 2015, la stessa Hadid afferma che “Niemeyer era un virtuoso dello spazio. Possedeva un talento innato per la sensualità. (…) Ha costruito in cemento armato forme apparentemente liquide e ha preso da Le Corbusier tutto il talento scultoreo che la modernità manteneva chiuso in una gabbia cartesiana. Il Le Corbusier più libero è venuto fuori in Brasile”.
Le influenze
Riconosciuto dall’Unesco come uno dei più fecondi creatori moderni, Niemeyer è un importante punto di riferimento nelle opere di alcuni noti architetti contemporanei. Basta dare un’occhiata, per esempio, al progetto di Alvaro Siza per la sede uffici della Shihlien Chemical Industrial a Jiangsu (Cina, 2014), alle bianche curve del Museo Ibere Camargo a Porto Alegre (Brasile, 2008), o alle piscine pubbliche di Cornellá, a pochi chilometri da Barcellona (2006), per capire come il maestro portoghese da anni sia interessato agli stilemi dell’architetto carioca. A Cornellá la pergola in cemento bianco del patio si collega delicatamente al corpo ovale, proprio come la pensilina della Casa do Baile di Pampulha (1940) collega delicatamente il cilindro centrale ai giardini del patio. Anni fa lo stesso Siza nel famoso edificio Bonjour-tristesse a Berlino (1984) sembrava reinterpretare le sinuose concavità e convessità dell’edificio Copan a San Paolo del Brasile (1951).
La Villa 08 che Mansilla e Tuñon hanno realizzato a Nanjing (Cina, 2013), ricorda il gioco sinusoidale della Casa das Canoas (1951), con la sua copertura dalla “forma libera” – secondo la definizione di Bruno Zevi – a proteggere il paramento in vetro e a dialogare con i leggeri brise soleil in bambù.
L’uso del bianco, il minimalismo, la geometria biomorfa, Il “metodo dell’estrusione”, la concatenazione fra natura ed artificio, la copertura sporgente rispetto alla pelle trasparente, sono tutti temi niemeyeriani presenti anche in molte opere dei più grandi architetti giapponesi come Arata Isozaki, Toyo Ito, Kazuyo Sejima, Ryue Nishizawa. Quel Nishizawa che, nel Museo d’arte di Teshima (Giappone, 2011), sembra dialogare con il progetto per il Centro religioso a Saint Baume (Francia, 1967): guscio bianco appoggiato direttamente sul terreno, realizzato secondo il metodo costruttivo descritto dal maestro brasiliano, ovvero realizzando previamente una collina artificiale e versandovi sopra una sottile colata di calcestruzzo. Potente la qualità spaziale degli interni. Pantheon contemporaneo dall’intensa relazione bianco-verde con i giardini circostanti. La Grace Farm che Sejima e Nishizawa (studio Sanaa) hanno realizzato a New Canaan (Stati Uniti, 2015), si può leggere come un’interpretazione su scala territoriale della Casa do Baile (1940) e della pergola del parco Ibirapueira a San Paolo (1950): ne condivide il tema del piano inclinato della copertura e della continuità organica tra le linee e le superfici concave e convesse. Lo stesso Nishizawa si è occupato lo scorso anno della cura della mostra “The man who built Brasilia” nel Museo MOT di Tokyo, la prima importante retrospettiva su Niemeyer in Giappone, che ha riscosso un enorme successo di pubblico. Protagonista della mostra un sistema di modelli, alcuni a grande scala: uno inerente il Museo di Niteroi e il suo rapporto con la penisola che lo accoglie; un altro riguardante due dei moduli strutturali delle colonne a forma di arco rovesciato del Palazzo dell’Alvorada e della Cattedrale di Brasilia; e ancora un altro, enorme, della pensilina dell’Ibirapueira, la cui morfologia ha tanto influenzato le architetture dello studio Sanaa.
Stilemi di tipo analogo sono reinterpretati da Ito in alcune delle sue opere più recenti, come nel Palazzo delle esposizioni a Barcellona (2007). Egli ha applicato in vari progetti morfologie e concetti tipici di Niemeyer: ad esempio, il tema della successione di archi in calcestruzzo armato di dimensioni variabili, adottato nell’edificio Mondadori a Segrate (Milano, 1968). Nella biblioteca dell’Università di Tama (2009), gli archi non solo sono presenti nella facciata, come a Segrate, ma “tagliano” ed animano lo spazio interno della biblioteca.
La ricerca attuale
Studi sulla metodologia progettuale adottata dal maestro carioca si stati sviluppati con assiduità negli ultimi anni, soprattutto in Spagna e in Brasile
: per merito della critica Ruth Verde Zein presso la Facoltà di Architettura dell’Universidad Presbiteriana Mackenzie di San Paolo; a Porto Alegre grazie alla curiosità di Carlos Eduardo Días Comas, che ha seguito una serie d’interessanti tesi studentesche nelle quali si analizzano varie opere del maestro da un punto di vista olistico.
In Argentina, Teresa Arijón e Bárbara Belloc nel 2014 hanno pubblicato il libro Diario-boceto che contiene alcuni bei testi originali di Niemeyer tradotti in spagnolo; cosa che facilita il lavoro dei ricercatori del Sud e Centro America. Il critico italo-brasiliano Roberto Segre (1934-2013) aveva pubblicato alcuni articoli analizzando la recente produzione del maestro con la volontà d’inserirne le opere all’interno di una classificazione tipologica che rimandava alle idee sul tipo sviluppate da Carlos Martí Aris e da Rafael Moneo. A Barcellona, il “grande vecchio” della critica catalana, Josep Muntañola, continua discutendo alcune delle questioni chiave sviluppate da Niemeyer con i suoi alunni del dottorato in Progettazione architettonica della Scuola tecnica superiore di Architettura, e nel libro La modernidad superada ha puntato l’attenzione sulla possibile influenza esercitata dalle prime opere del maestro brasiliano su Le Corbusier.
Temi simili sono apparsi nella rivista colombiana “DeArq” della Universidad de los Andes e nella rivista messicana “Arquine”. Altrettanto importante il lavoro condotto da ArchDaily, nella sezione “Clasicos de arquitectura”, nel diffondere le opere emblematiche di Niemeyer alla nuova generazione di “studenti digitali” poco avvezzi alla carta stampata. Silvia Arango, la più importante storica colombiana, nel suo ultimo lavoro Ciudad y arquitectura. Seis generaciones que construyeron la América Latina moderna ricorda che dai più disparati punti del continente si organizzavano negli anni sessanta e settanta veri e propri pellegrinaggi per andare a visitare le opere di Pampulha e Brasilia.
Infine, è interessante leggere i vari commenti di noti architetti e critici rilasciati negli ultimi mesi: una rivincita sui giudizi critici spesso affrettati degli anni cinquanta, che aiuta ad inserire il lavoro di Niemeyer all’interno del ruolo storico che gli corrisponde e delle influenze che ha generato. Lo stesso ruolo riconosciutogli nel 2014 dall’Unesco, che ha inserito nella lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità il suo archivio personale, oggi alla Fundação Niemeyer di Rio de Janeiro: quasi novemila documenti fra schizzi, album e disegni tecnici, che “costituiscono una preziosa testimonianza del lavoro di un artista che ha trasformato l’architettura del XX secolo nel mondo”. Iscritti nella lista Unesco dal 2016 anche i progetti realizzati a Pampulha con la motivazione di aver saputo “fondere diverse arti – architettura, scultura, pittura e paesaggio -, creando forme audaci integrate in un insieme armonioso”.
Natura e artificio
Zevi scriveva che il linguaggio di Niemeyer si basa sull’interpretazione del mondo dei paesaggisti come Roberto Burle Marx e Frederick Law Olmsted
, l’autore del Central Park di New York che Niemeyer conosceva bene grazie alle lunghe passeggiate che vi fece in compagnia di Lucio Costa. Nelle sue opere più sperimentali – come si legge nella pagina web dell’Unesco – appare chiara la reinvenzione incessante della grafia degli elementi biologici e geologici delle zone intertropicali, del lavoro degli amici artisti, e della sensualità della pittura di Le Corbusier. Un sistema di linee organiche che affettuosamente dialogano con la ricca vegetazione brasiliana perché possiedono linguaggi e regole geometriche simili, che rendono semplice e diretta la concatenazione armonica fra natura e artificio. Un insegnamento profondo e attualissimo, oggi più di ieri, viste le profonde e crude trasformazioni degli ecosistemi mondiali.
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Last modified: 6 Dicembre 2017