SOSBrutalismo – Salvate i mostri di cemento! è il titolo della mostra “sensoriale” curata da Oliver Elser presso il DAM di Francoforte per scoprire opere di insospettabile bellezza
«Possa il nostro così rude cemento rivelare, al di sotto di esso, la finezza della nostra sensibilità»
Le Corbusier (1887-1965)
—
FRANCOFORTE. «Sotto quell’apparenza rude si nasconde un cuore d’oro», pare voler dire, come in un feuilleton ottocentesco, l’interessantissima mostra SOSBrutalismo – Salvate i mostri di cemento! al DAM di Francoforte. Slogan efficace per un’esposizione capace di conquistare anche i più scettici, vittime della cultura classica della kalokagathia, alla scoperta di mostri di insospettabile bellezza. Un approccio di politica-estetica che milioni di appassionati hanno abbracciato, incontrandosi sulla piattaforma online dell’iniziativa lanciata dalla Wüstenrot-Stiftung, da 30 anni impegnata nella salvaguardia e tutela degli edifici del secondo dopoguerra, spesso in desolante stato di abbandono o destinati alla demolizione, capolavori dimenticati in stile brutalista: centinaia di caricamenti al giorno sui social con l’hashtag #SOSBrutalism hanno permesso la realizzazione di un portentoso database di edifici da ammirare e, si spera, poter avviare a un processo di tutela.
L’esperimento pare funzionare: privati, professionisti e associazioni hanno iniziato ad interessarsi a quelli che Oliver Elser – curatore della mostra costruita sugli esempi raccolti – ha icasticamente definito Betonmonster, giocando sull’ambiguità del termine stesso Brutalismo, che per assonanza richiama aggettivi come “brutto” e “brutale” ma che, in realtà, come da leggendaria definizione lecorbusieriana, vuol dire schiettezza: béton brut – cemento a vista, senza orpelli o rivestimenti – secco come lo Champagne e non per questo meno piacevole al gusto, come quello al tatto o alla vista. Questione di Zeitgeist, e persino i mostri in cemento diventeranno un classico e quello che ieri era punk (l’atteggiamento contro tutti degli architetti brutalisti anni ’50-’70) oggi è hip.
Liberata dalla rigidità estetica della maniera, l’architettura, esposta ed esplicata al piano terra dell’edificio museale del neorazionalista Oswald M. Ungers, è non più solo contenitore ma anche contenuto da sperimentare come opera d’arte alla portata di tutti, e ha del sensazionale. Modelli e plastici come gruppi scultorei evocano la singolarità di ogni manufatto nella sua duplice funzione di architettura-arte sociale e di prodotto artistico, frutto di studio e raffinata sensibilità.
Un allestimento capace di soddisfare quattro gradi di piacere: ottico e aptico (corpo), intellettuale (mente) e filantropico (anima). Per gli occhi, ci sono le foto e i plastici giganteschi in cartone degli esempi scelti fra i divi dell’architettura brutalista in giro per il mondo; per la percezione fisica-tattile, vicina alla sensibilità dei professionisti del settore, ecco i modelli in cemento, come appena tratti dalla cassaforma o dallo zoccolo dell’architettura che ripropongono in piccola scala, illustrata poco sopra nelle corrispettive istantanee a parete. Per la mente, attraverso il raggruppamento geografico, la scoperta dell’internazionalismo di uno stile presente ovunque nel pianeta ma altrimenti declinato, secondo le particolari inclinazioni nazionali: dal compiacimento di potere dell’URSS, persino nella provincia più remota, e per un’architettura socialista, per tutti e senza inutili e costosi orpelli, al processo di democratizzazione filosofica nell’ex Germania Ovest, passando per gli esperimenti della Scuola Paulista in Brasile o il Giappone del dopo Hiroshima, capace di fondere il ritualismo delle abitazioni tradizionali con la nudità dei nuovi luoghi di preghiera, arrivando alla frenetica attività ricostruttiva nell’Europa occidentale liberata da dittature e bombe, in una Macedonia post terremoto 1963 come in tutta la Gran Bretagna, e infine all’insegna del “deve rimanere” nella nuova Terra Promessa di Israele.
Una fame di architettura al servizio di tutti che solo il Brutalismo pare aver saputo saziare, a Skopje come a Bochum, a Berlino come ad Algeri, Siracusa, Londra, Città del Messico, Brasilia, Baku o Chandigarh. Strabiliante la fotogenia degli edifici freak già diventati icone. Per chi non può recarsi a Francoforte, è disponibile il catalogo edito da Park-Books e naturalmente la partecipazione online al gioco dell’anno, piacere per l’anima.
Buon divertimento!
—
—
SOS BRUTALISMUS – Rettet die Betonmonster! Ein gemeinsames Projekt des Deutschen Architekturmuseums und der Wüstenrot Stiftung / SOS BRUTALISM – Save the Concrete Monsters! A joint project by Deutsches Architekturmuseum and Wüstenrot Stiftung, GF.
Frankfurt am Main , 9.11.2017 – 2.04.2018.
DAM – Deutsches Architekturmuseums, Schaumankai 43, 60596 Frankfurt am Main (Hessen), Deutschland.
Curatore: Oliver Elser
About Author
Tag
allestimenti , mostre
Last modified: 5 Dicembre 2017