Riceviamo e pubblichiamo una lettera a margine dell’inchiesta sulla Cina e la scena dell’architettura globalizzata
La gran parte della creatività e dell’innovazione in Cina porta la firma di architetti e designer occidentali, in particolare europei, che negli ultimi quindici anni hanno aperto studi nelle città più importanti (Shanghai, Suzhou, Chengdu, Pechino, Shenzhen), mentre molti altri lavorano direttamente dalle proprie sedi europee.
Thinking in Italy and made in China, una migrazione di pensiero e competenze attraverso il tasto invio della tastiera del computer. Spesso l’idea di progetto e la realizzazione dell’opera non condividono lo stesso luogo, pensato a Parigi realizzato a Shengdu. Una migrazione dovuta al fatto che i designer cinesi non hanno ancora sviluppato una visione globale delle cose, legati e “soffocati” dalle tradizioni locali, con una struttura verticale legata al confucianesimo, dove fanno fatica ad emergere e vivono l’esperienza di progetto come un piacere esclusivamente personale.
Creativi cinesi e uomini di governo hanno capito che il design o il progetto architettonico in Cina non può essere un’esclusiva del mondo occidentale. Esiste un netto divario con i progettisti provenienti dall’Occidente che va ridotto per poter entrare nel mercato globale con le loro idee, i loro progetti e i loro prodotti, per essere protagonisti e non essere solamente la fabbrica del mondo, il luogo della realizzazione d’idee importate da culture completamente diverse dalle loro.
Liu Jun, vicepresidente e responsabile creativo di Eegoo Cultural Investment co., afferma il concetto di user-centeredness, un metodo di progettazione e gestione che studia e sviluppa strategie e soluzioni ai problemi che coinvolgono la prospettiva futura delle persone. Il cosiddetto human-centered design (HCD), metodo progettuale utilizzato da molti decenni in occidente, oggi è parte integrante del processo progettuale. Il coinvolgimento umano avviene nell’osservazione del problema all’interno del contesto.
Data la consapevolezza di mancanza di metodo e di processo progettuale, negli ultimi cinque anni sono stati avviati programmi d’istruzione d’eccellenza su tutti i settori disciplinari, dal design alla progettazione architettonica, “disseminando” scuole e campus in tutto il Paese. Negli ultimi dieci anni un milione di studenti hanno ricevuto una formazione basata su metodi e processi progettuali consolidati e verificati in Occidente, attraverso la consulenza di professionisti specializzati e visiting professor provenienti da diverse università; l’Italia è uno dei Paesi più presenti. Molti studenti cinesi, inoltre, decidono di studiare in Europa per arricchire le conoscenze del progetto di piccola e grande scala, così come lo stile e la cultura occidentale.
Daniel Altman dirige la sezione creativa della Dalberg Global Development Advisors, occupandosi di consulenza strategica e politica specializzata per lo sviluppo globale. Egli afferma che i cinesi sono capaci di modificare i loro processi formativi e applicativi in tempi molto rapidi. Nella realtà i cinesi hanno modellato e modificato il mondo che gli sta intorno con velocità impensabili per noi occidentali. In soli quindici anni hanno cambiato l’urbanistica e il volto delle loro città, in maniera spesso “scellerata”, senza una vera pianificazione; il che ha comportato per molte città e centri storici la perdita d’identità fisica formale.
Cambiare la conformazione fisica delle città, demolendo e costruendo nuove strade, palazzi, grattacieli e fabbriche per soddisfare il fabbisogno planetario rappresenta solamente una crescita economica e non culturale; soprattutto se tutto questo avviene tramite il know how proveniente da culture completamente diverse dalla loro. Potrebbe essere letta come un’imposizione culturale.
L’affermazione di Altman ci porta a pensare in modo positivo: che il cambiamento formativo avviato in Cina possa raggiungere ottimi livelli in tempi brevi e che il paese possa essere partecipe con le proprie idee nel mondo del progetto globale.
Immagine di copertina: workshop all’Università di Suzhou
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cina e globalizzazione
Last modified: 10 Novembre 2017