Con l’inaugurazione, il 30 settembre, di una consistente parte del complesso delle Officine Grandi Riparazioni ferroviarie, operative dal 1878 per circa un secolo e definitivamente dismesse negli anni ’90, Fondazione CRT restituisce a Torino un prezioso tassello di storia industriale. Ma è prematuro giudicare le scelte architettoniche
Il contesto
Sul grande boulevard urbano, la «Spina centrale» definita dal PRG – esito in parte della tombatura e in parte dell’interramento del piano del ferro con la realizzazione del Passante – si è finalmente illuminata un’importante casella, in letargo da tempo. Provenendo da nord (dove da pochi mesi il boulevard è stato prolungato ma è ancora monco dello sbocco verso l’autostrada per Milano), il viaggiatore a caccia di “fatti urbani” incontra il “semitubo schiacciato” della nuova stazione di Porta Susa (AREP, Duthilleul, D’Ascia, Magnaghi; 2001-2012) e la torre della nuova sede di Intesa Sanpaolo (2015), di certo non l’opera migliore di RPBW ma comunque qualificante. Poi, oltrepassato corso Vittorio Emanuele II, verso ovest s’incontra il comparto dei servizi tardo ottocenteschi, con le ex Carceri nuove (rilevanti ma sottoutilizzate dal Ministero di Giustizia) e le Officine Grandi Riparazioni ferroviarie, incalzate dalla cittadella del Politecnico che insiste sulla medesima area in parte recuperando edifici marginali ma soprattutto inserendo ex novo la grande corte a scavalco della strada: segno planimetrico forte che tuttavia sconta un’imbarazzante modestia esecutiva (Gregotti Associati, Studio Valle, Proger, RPA; 2000-2010). All’estremo sud, qualche centinaio di metri oltre, s’incontrano le altrettanto modeste residenze dell’area ex Materferro (Bossolono; 2007), rimaste orfane del punto focale di chiusura dell’asse urbano: quel grattacielo della Regione Piemonte (studio Fuksas, 2000-in corso), traslato tout court all’estremo sud cittadino, a dispetto del bando di concorso internazionale, nell’area ex Fiat Avio prossima al Lingotto, dove languisce in attesa che riparta il cantiere a seguito del fallimento dell’impresa costruttrice Coopsette, e ai cui piedi dovrebbe vedere la luce il mega progetto della Città della salute.
Aree dismesse, empasse, PRG, vision
Con le OGR – il tassello più pregiato del comparto di «Spina2» – si recupera un brano importante della memoria industriale torinese. Non sempre, infatti, è andata così: in altre circostanze la città non ha affatto esitato, di quell’eredità connotante, a fare carne di porco. Oggi, poi, in una situazione di grande immobilismo, l’intervento acquisisce particolare valore. Infatti, per la rigenerazione di altre aree ex industriali (Fiat Grandi Motori, Nebiolo-Westinghouse, Diatto, …), tutto tace o quasi. Per non parlare del comparto dismesso di Mirafiori: risale a poche settimane fa la messa in concordato preventivo di TNE (Torino nuova economia), la società partecipata incaricata della sua trasformazione.
Non va molto meglio per i grandi contenitori in attesa di riconversione: dal Palazzo del lavoro, da tempo candidato a diventare shopping mall (dopo una lunga interruzione è stato presentato il progetto dei nuovi investitori, il gruppo saudita Fawaz Alhokair, per una galleria commerciale di alta gamma e un Museo della tecnica da 4.000 mq), al complesso di Torino Esposizioni, destinato ad ospitare la Biblioteca civica e il campus Architettura del Politecnico (ma agli esiti della gara internazionale, aggiudicata al gruppo guidato da Rafael Moneo e Isolarchitetti, è stata messa la sordina, e nessun elaborato è stato reso pubblico).
D’altronde, lo stesso approccio di grande cautela e taratura al ridimensionamento pare contraddistinguere le linee di revisione del suddetto PRG, elaborato da Augusto Cagnardi (Gregotti Associati International) a fine anni ’80. L’assessore all’Urbanistica, nonchè vicesindaco Guido Montanari (docente di Storia dell’architettura al Politecnico, chiamato in qualità di tecnico dalla lista pentastellata della sindaca Chiara Appendino), prende tempo e sta alla finestra, suscitando qualche riserva nella comunità degli architetti locali, con il neoeletto presidente dell’Ordine Massimo Giuntoli che paventa una mancanza di vision. Di certo, una netta sterzata verso i temi dell’ordinaria amministrazione – anche dettati da evidenti ristrettezze di bilancio – rispetto alle politiche delle precedenti amministrazioni di centrosinistra, le quali molto avevano puntato sui grands travaux e sull’immagine urbana per il rilancio della città post industriale.
L’intervento
Ma anche l’epifania delle nuove OGR non è stata una passeggiata. C’è voluto parecchio tempo prima che s’innescasse la scintilla del recupero, grazie all’ingente impegno (100 milioni) profuso da Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) attraverso la Società consortile OGR-CRT, costituita ad hoc nel 2012 per gestire l’operazione. S’è infatti ormai persa memoria che nel 2003 qui naufragò un concorso internazionale per la conversione del comparto a nuova sede della Galleria d’arte moderna. Di quell’iniziale aspirazione, tuttavia, si è mantenuta la vocazione culturale, ora affiancata dall’intrattenimento e svago, con l’immancabile corollario di food&beverage, e dall’innovazione che caratterizzerà gli ambienti che, dalla prima metà del 2018, occuperanno la parte sud del complesso. Il tutto, per un’operazione di ampio respiro che intende porsi come nuovo spazio collettivo per la città e che è presentata fatalmente secondo la retorica della fucina produttiva: dalla materialità alle idee e alla sperimentazione.
Le OGR trasudano storia del lavoro e sono pura eloquenza spaziale, basata sull’iterazione del modulo che genera le navate. Lo si capì già nel 2011, quando furono occasionalmente aperte per ospitare i festeggiamenti per il 150° dell’Unità d’Italia, con il memorabile allestimento della mostra “Fare gli italiani” (e ancor prima, nel 2008, per in occasione della mostra “Torino 011. Biografia di una città”). Bastò la messa in sicurezza degli interni e i torinesi, ormai dimentichi di quello spazio, rimasero basiti.
Quanto alle scelte architettoniche e del recupero, ma anche alla funzionalità dei nuovi spazi e al loro dialogo con l’esistente, è presto per esprimere giudizi; anche perché la parte che prevede i principali inserti ex novo verrà terminata nella primavera 2018. L’intrinseca maestosità di un edificio pieno di fascino ancora discretamente conservato richiedeva un intervento attento, calibrato e meno invasivo possibile.
Le OGR, oggi come allora, si sviluppano dentro una pianta ad H, in cui due lunghi volumi gemelli, le Officine Nord e le Officine Sud, sono collegati da un transetto. Tipici di un’architettura secondo ottocentesca funzionale alla produzione sono i materiali e le tecniche costruttive utilizzati: muri di mattoni scuriti dal tempo, metallo per le strutture portanti, vetro per le ritmiche aperture che, sulle coperture e lungo i muri, un tempo davano luce ai processi produttivi.
Funzionale anche se non pienamente convincente nei dettagli per quanto finora apprezzabile, il progetto di For Engineering Architecture e Gruppo Building agisce per trasformare il vecchio opificio nella nuova “fabbrica per le idee” fortemente voluta dalla committenza. Così, nella parte oggi aperta esso cerca, compatibilmente con gli inserti richiesti dalle nuove funzioni, di mantenere il più possibile immutato l’esistente e i segni lasciati dal tempo. I 200 m di lunghezza delle Officine Nord ospitano un’area per spettacoli e una per mostre, oltre a una digital gallery nel foyer compreso tra le due. Al centro, il Duomo, i cui 19 m di altezza interna consentivano di posizionare il verticale i vagoni per le manutenzioni, è destinato a simposi, workshop e conferenze. Il transetto, suddiviso in due livelli da un nuovo mezzanino, ospita due ristoranti e un bar affacciato sulla corte ovest. Le Officine Sud, in cui il cantiere sta velocemente procedendo, è invece destinato a diventare un hub per ricerca e innovazione, con volumi interni affacciati su un lungo corridoio-promenade oggi appena accennati dalle imponenti strutture metalliche che ne costituiscono l’ossatura portante. La Supefertazione, volume aggiunto sul fianco settentrionale delle Officine Sud negli anni cinquanta, conferma la sua funzione di servizio ospitando biglietteria, bookshop e control room.
Tra nuovi poli, funzioni rinnovate e un progetto che è intervenuto sull’involucro recuperando e ripristinando le coperture e le carpenterie, sostituendo i 10.000 mq di aperture e installando 20.000 mq di pannelli radianti per rendere abitabili i 260.000 mc di volume interno, finalmente restituita alla città è la naturale e forte connotazione urbana del complesso, la cui planimetria definisce un sistema di corti che da tempo aspettavano di essere rese fruibili (anche se, ad una prima vista, la corte est temporaneamente allestita dai 5+1AA nel 2011 sembrava preferibile agli attuali richiami a binari e locomotive che increspano come onde la superficie della pavimentazione).
Il tanto atteso Big Bang, la festa lunga due settimane per l’inaugurazione delle nuove OGR, è finalmente scoppiato dal 30 settembre per 15 giorni. La speranza è che, come l’originario diede vita all’Universo, quello odierno segni per Torino l’inizio di una nuova fase di sviluppo.
Cronologia
2008 Fondazione CRT acquista il complesso delle ex OGR da RFI
2012 nascita della Società consortile OGR-CRT
2013 acquisto delle OGR da parte della Società consortile OGR-CRT
2014 inizio del cantiere
2017 completamento I lotto (Officine Nord e Transetto)
Prima parte 2018: completamento II lotto (Officine Sud)
Dati dimensionali
Superficie complessiva: 35.000 mq
Superficie coperta: 20.000 mq
Volume interno: 260.000 mc
Officine Nord: 9.000 mq (2.700 mq per mostre, 3.000 mq per spettacoli, 350 mq del “Duomo”)
Officine Sud: 9.000 mq (ricerca scientifica)
Transetto: 2.000 mq (food&beverage)
Progetto
Progetto: For Engineering Architecture, Gruppo Building
Committente: Società consortile OGR-CRT
Costo: 100 milioni
Contractor: Zumaglini & Gallina
Web: ogrtorino.it
About Author
Tag
restauro , rigenerazione urbana , torino
Last modified: 11 Ottobre 2017
[…] del collettivo «Città svelata» di cui faceva parte Maurizio) portò diecimila persone nelle ex Officine Grandi Riparazioni di Torino salvandole dalla demolizione. Era il 1996, quasi 25 anni fa. «Torino Geodesign» (un […]
[…] come possono “funzionare” egregiamente i monumentali ex opifici: si veda il caso delle ex OGR a Torino. Gli eccessi, come sempre, negli Stati Uniti: dall’all open (nel vero senso della parola) dei […]
[…] vari consulenti medici e al supportato del World Economic Forum. Un prototipo è stato realizzato a Torino nelle ex OGR grazie al finanziamento della banca UniCredit e, data la disponibilità in rete del progetto, altri […]