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Sofia NanniniWritten by: Senza categoria

Re-ligare. Architettura che unisce

Re-ligare. Architettura che unisce

Sebastián Irarrázaval (+ Francesco Dal Co) al Cersaie 2017

 

Lontana dal borbottio costante degli stand espositivi che popolano la fiera, la Galleria dell’Architettura accoglie architetti, curiosi e soprattutto tanti giovani in attesa delle lezioni del ciclo «costruire, abitare, pensare». Anche quest’anno, il Cersaie ospita professionisti del panorama internazionale che, attraverso parole e immagini, cercano di spiegare la loro visione della disciplina.

Il primo ospite illustre è l’architetto e professore cileno Sebastián Irarrázaval, classe 1967, presentato dall’altrettanto illustre e nostrano Francesco Dal Co. Irarrázaval fa parte di quella ormai famosa generazione di architetti che ha prodotto, tra i tanti, figure come Alejandro Aravena e Smiljan Radic. Il motivo di tanta vivacità nel dibattito architettonico cileno è indubbiamente connesso alla presenza di una scuola dalla lunga e solida tradizione, ovvero la Scuola di Architettura dell’Università Cattolica del Cile, dove lo stesso Irarrázaval si è formato e oggi insegna.

Il «rigore» della scuola cilena si fonde con l’insegnamento di una «straordinaria libertà nell’usare materiali e tecnologie» e questa unione si riflette nei progetti di Irarrázaval, specchi di un’architettura rigorosa e che al tempo stesso valorizza i tipi e le tradizioni costruttive locali; un’architettura che, come afferma Dal Co, «non imita il passato, ma lo interroga».

Irarrázaval pare convinto del ruolo primario del suo mestiere: esso ha il compito di «generare luoghi» a partire dalla costruzione di «ponti e collegamenti», non solo fisici, ma anche temporali e culturali. L’architettura è «religiosa», afferma, escludendo qualsiasi misticismo, ma scavando nel significato del termine, che vede tra le proprie etimologie quella di «re-ligàre», ovvero «unire insieme». I progetti di Irarrázaval uniscono insieme l’uomo col paesaggio, come cannocchiali visivi immersi nella maestosa natura cilena (Casa Oruga, 2012; Casa 2Y, 2013); il cittadino con la comunità, nel tentativo di ricostruire non solo una città distrutta dal terremoto, ma anche il legame tra uomo e cultura (Biblioteca Pública de Constitución, 2015); lo studente d’architettura con lo spazio, lasciando a vista lo scheletro interno per poter educare meglio chi sta imparando la disciplina (Escuela de Diseño e Instituto de Estudios Urbanos P. Universidad Católica de Chile, 2010).

La convinta naturalezza con cui Irarrázaval descrive le sue opere, rigorose e flessibili nel paesaggio naturale e urbano, è figlia della solida educazione ricevuta, ben lontana dallo sparpagliato puzzle educativo italiano. Dal Co non ha di certo perso l’occasione per criticare i «troppi obiettivi» e le «troppe facoltà d’architettura» che hanno rapidamente causato un «consumo delle tradizioni» negli ultimi decenni, lasciando la scuola architettonica italiana in uno stato agonizzante, agli antipodi, non solo geograficamente, della fiorente tradizione cilena.

 

Autore

  • Sofia Nannini

    Dottoranda in storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino, dove svolge ricerche sulla storia dell’architettura e della costruzione in Islanda tra Ottocento e Novecento.

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Last modified: 27 Settembre 2017