In occasione della mostra sul concorso d’idee per la copertura dell’Arena di Verona, sponsorizzato dal marchio Calzedonia con 100.000 euro, due specialisti del restauro architettonico fanno il punto sulle reali urgenze dell’anfiteatro romano, icona della città scaligera
VERONA. Nelle scorse settimane una serie di articoli allarmistici riguardanti lo stato di salute dell’anfiteatro di Verona apparsa sulla stampa locale, ha lasciato a dir poco sbigottiti gli addetti ai lavori sollevando alcune preoccupazioni nella cittadinanza. Si è parlato, a più riprese, di fantasiose “paludi” createsi al di sotto dell’Arena che ne minerebbero la stabilità; poi di un presunto “tumore” latente sotto la cavea, dovuto ad un intervento di circa quarant’anni fa con malte cementizie, che aggraverebbe il carico sulle antiche volte dell’edificio. Il tutto, però, in assenza di una prova scientifica a sostegno di tali tesi.
Se uniamo a ciò le contestazioni degli esiti del concorso d’idee per la copertura dell’Arena (in mostra al Museo AMO, Palazzo Forti, sino all’11 giugno ndr.), il dibattito sulla stampa locale ci pare non solo surreale e contraddittorio ma addirittura rischioso e ricco d’insidie rispetto a quello che dovrebbe essere il vero obiettivo culturale della città: la tutela e la conservazione dell’anfiteatro, icona indiscussa della città scaligera; un obiettivo con cui nulla ha a che fare l’ipotizzata copertura.
Un po’ di storia
Per capire di cosa si potrebbe più utilmente discutere vale forse la pena rifarsi alla storia dell’Arena e ricordare alcuni dei tanti episodi che ci aiutano a comprendere come i problemi conservativi attuali siano stati affrontati in passato con soluzioni di altro livello scientifico e culturale.
Nel 1801, di fronte a problemi di conservazione sostanzialmente analoghi a quelli odierni, con l’acqua piovana che si infiltrava fra i gradoni della cavea minacciando la rovina delle sottostanti volte in calcestruzzo romano, il Governo Provvisorio della città incaricò l’allora Accademia di Agricoltura Commercio e Arti di trovare una soluzione a tali problematiche. L’idea del segretario dell’Accademia, il nobile conte Benedetto del Bene, fu proprio quella di bandire un concorso, incredibilmente innovativo ma anche carico di risvolti pratici per la salvaguardia del monumento, che aveva il seguente titolo: «Qual cemento, per sicura e ben applicata esperienza, resistendo all’umido e al secco, potrà perfettamente impedire la filtrazione delle piogge tra le pietre, i muri, e le volte dell’Anfiteatro, non trascurando, se può combinarsi, l’economia?». Il concorso dell’Accademia inaugurerà una straordinaria e proficua stagione di studi, perizie, esperimenti e innovazioni tecnologiche che nell’arco di tre decenni porteranno a rivoluzionare sia i metodi sia i materiali per il restauro e la costante manutenzione dell’Arena, richiamando tutte le più significative e avanzate ricerche sulla chimica dei materiali a livello europeo. Va sottolineato che negli stessi anni i principali studiosi dell’anfiteatro – quelli che materialmente guidavano gli scavi archeologici ed eseguivano i rilievi architettonici, portando alla luce significative novità – erano Luigi Trezza, Bartolomeo Giuliari e Giuseppe Barbieri, tre dei più noti architetti veronesi dell’epoca.
Il raffronto della cronaca odierna con le notizie storiche appare impietoso se si paragona il dibattito culturale che si scatenava in città sulla questione del restauro dell’Anfiteatro anche nelle sedi istituzionali: ancora alla fine del mese di aprile del 1879 il tema appariva nell’ordine del giorno della “Sessione ordinaria di primavera” del Consiglio comunale. In quella sede furono addirittura gli assessori e consiglieri a sfidarsi sulle cause dello stato di degrado della cavea e sulle “ricette” da utilizzare per l’intervento. Fu un dibattito dai toni accesi ma che coinvolse in primo luogo la sfera culturale e, ad una lettura attenta, dietro l’intervento di ogni politico s’intravede il ruolo di un consulente tecnico di elevatissimo livello. Né il tema verrà mai trascurato dagli intellettuali veronesi, come dimostrano l’attivismo del grande storico Carlo Cipolla negli anni immediatamente successivi e gli studi e l’opera del marchese Alessandro Da Lisca per i primi anni del XX secolo.
Il tema della copertura
Eppure, nonostante le tesi originali e le proposte curiose che pur non mancarono, l’unico tema assente fino ai giorni nostri fu proprio la proposta di una copertura. Il motivo è chiaro: quella di cui parliamo fu l’età della “rinascita dell’Arena”, in cui l’intento di amministratori e intellettuali fu quello di liberare l’anfiteatro dalle funzioni incongrue e deleterie che nei secoli vi si erano insediate per riportarlo alla sua funzione di monumento. Si pensi infatti che le prime destinazioni d’uso ipotizzate per quello che sarà poi Palazzo Barbieri – l’attuale municipio della città che si affaccia proprio sull’anfiteatro – furono quelle di mercato e teatro diurno, che insieme alle numerose botteghe e abitazioni erano proprio le funzioni ritenute più impattanti e che per questo si volevano espellere per sempre dall’edificio romano.
Nel nome del denaro
Oggi invece l’unico interesse della città pare essere lo sfruttamento del suo simbolo a meri fini commerciali, quale salvifico “generatore di indotto”. Così il monumento si è definitivamente trasformato in “contenitore” di spettacoli e in una vera e propria scenografia di eventi, magari da realizzarsi sotto una copertura più adatta ad uno stadio di calcio. Gli interessi economici hanno prevalso definitivamente su quelli conservativi e a fronte di continue manomissioni della materia perpetrate nel Novecento per l’inserimento dei servizi necessari alla stagione lirica, si è assistito ad una significativa contrazione degli studi.
A quest’ottica distorta non sembrano riuscire a sottrarsi nemmeno operazioni meritorie quali quella dell’Art Bonus, laddove pare che una buona parte delle risorse messe a disposizione da Fondazione Cariverona e Unicredit saranno impiegate per gli impianti tecnologici, tema fondamentale per qualsiasi architettura storica ma che ancora una volta pone in primo piano l’istanza dell’utilizzo.
La compatibilità delle funzioni
Al di là comunque delle operazioni conservative, che oggi sembrano interessare solo i pochi addetti ai lavori, il vero tema progettuale da affrontare sarebbe in realtà quello di una seconda liberazione dell’anfiteatro dalle strutture necessarie all’uso teatrale che oggi lo infestano, sia all’interno che all’esterno, tanto che durante la stagione estiva pare essere un grande e disordinato cantiere edile fornito di gru. Sarebbe quindi necessario un progetto – questo sì davvero ambizioso – pensato non per escludere ma per rendere più compatibili le attuali funzioni e che potrebbe coinvolgere gli spazi del vicino edificio della circoscrizione e delle scuole: un’architettura che – pur da convinti conservatori – possiamo definire delle più trascurabili del grande architetto veronese Ettore Fagiuoli.
Altro tema importante sarebbe quello di una seria musealizzazione di almeno una parte degli arcovoli interni e degli interrati (con l’ausilio degli strumenti più aggiornati) per mettere in mostra una mole di ricostruzioni, documenti e iconografie in gran parte inedite assieme alle molte “storie dell’Arena” per una fruizione all’altezza di quello che è il terzo sito archeologico più visitato d’Italia, dopo i circuiti del Colosseo e dei Fori a Roma e quello di Pompei e Ercolano in Campania. Si pensi solo che in questi giorni l’anfiteatro Flavio, nella capitale, ospita proprio una mostra di questo taglio (“Colosseo. Un’icona”, fino al 7 gennaio 2018), mentre a Verona non è mai stata nemmeno presa in considerazione un’idea consimile.
Sarebbero questi oggi i temi per dei veri concorsi di architettura, degni di una città europea, su cui discutere e dibattere e non quello d’una copertura, su cui ci auguriamo vivamente possa essere steso “un velario pietoso” nel più breve tempo possibile.
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restauro , verona
Last modified: 10 Maggio 2017