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Carlo OlmoWritten by: Biennale di Venezia Forum

Padiglione Italia alla Biennale: indietro tutta!

Padiglione Italia alla Biennale: indietro tutta!

Carlo Olmo, fondatore del Giornale, commenta la procedura di scelta del curatore del Padiglione Italia da parte del MiBACT, e ricorda che nel 2008 le cose andarono diversamente…

 

È difficile dissentire da quanto scrive Luca Gibello nell’introduzione alla newsletter n. 92 del 4 maggio 2017. Ancor più se quell’esperienza – la selezione di chi avrebbe dovuto rappresentare l’Italia alla Biennale di Architettura veneziana – la si è vissuta di persona.

Le strade del Signore sono misteriose lo si sa, forse non così quelle dei corridoi del Palazzo che un tempo ospitava la Congregazione dei Gesuiti. La storia ci dice però che il porto delle nebbie poteva essere rischiarato da un piccolo mistral chiaro: che era già soffiato in quei corridoi. Ed è questo oggi a lasciare l’amaro in bocca. Era l’anno, sempre del Signore, 2008. Nell’ambito della Biennale curata da Aaron Betsky, il curatore del Padiglione Italia fu scelto con una procedura non solo trasparente ma costruita per far emergere la proposta più interessante. Il ministro era allora Francesco Rutelli, scelse la strada dell’invito pubblico a cinque architetti (Carmen Andriani, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Francesco Garofalo, Marco Navarra, Cino Zucchi), una professionalità dei partecipanti precisa (chi partecipava doveva aver intrecciato esperienze professionali e lavori teorici e storici: essere a cavallo tra professione e studio), e una commissione di tre membri: Carla di Francesco (direttore generale per la Qualità e la tutela del paesaggio), Paolo Baratta (presidente della Biennale) e chi scrive. Furono consegnate quattro proposte: Zucchi declinò per motivi d’impegni pregressi. La scelta della proposta “L’Italia cerca casa. Progetti per abitare e riabitare la città”, presentata da Garofalo, fu compiuta all’unanimità, con motivate e scritte ragioni.

Sgombrare le nebbie non è davvero difficile, come rendere inerti corridoi e salotti: basta volerlo. Oggi colpisce non la scelta, ma l’abbandono di una strada che era stata intrapresa, con coraggio e condivisione: attorno al tavolo c’erano i due attori fondamentali, Ministero e Biennale, e la strada scelta era quella dell’invito pubblico, con una presa di responsabilità che deve distinguere le istituzioni che vogliono praticare una politica culturale, non solo scelte per curriculum. Oggi colpisce che nessuno di quei frammenti di ordine tentato sia rimasto: la condivisone tra attori protagonisti, l’assunzione di responsabilità rispetto a una politica culturale, la trasparenza dei criteri di scelta degli invitati, una procedura comparativa sul programma. In un’Italia che giustamente s’inquieta per il disprezzo dei curricula e per l’esaltazione delle reti sociali di conoscenze, una retromarcia così radicale segnala un vulnus molto grave. Chi gestisce istituzioni tanto importanti dovrebbe saper coniugare la capacità di far cooperare le altre istituzioni, il coraggio di dichiarare una politica, la trasparenza nell’individuare le caratteristiche di chi è chiamato a rappresentare il Paese, la trasparenza delle procedure e le ragioni della scelta.

In quella Biennale, chi scrive, lo… scrisse con estrema chiarezza allora. Il Padiglione Italia brillò perché il gruppo che Garofalo costruì intorno al progetto seppe dare sostanza culturale e dignità politica a un tema – la questione della casa, si potrebbe dire riesumando letture già ottocentesche – a una questione che sembrava quasi fuori moda e che certo era fuori dalle scelte economiche e sociali degli stessi governi di allora. Un’autonomia che rese ancor più efficace una scelta coraggiosa e una procedura essenzialmente, se si vuole, quasi provocatoria per comunità scientifiche e professionali così spesso attraversate da appartenenze, affiliazioni, gruppi di pressione.
Non è nostalgia, non è il ricordo di un caro amico scomparso di recente; non è, ancor meno, protagonismo senile. La democrazia vive di tante piccole occasioni e scelte che sappiano rilanciare insieme contenuti e procedure. Quel che colpisce in comportamenti come quelli citati è la scarsa cura proprio della democrazia quotidiana.

 

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 4 Maggio 2017