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Written by: Professione e Formazione

Giorgio Muratore (1946-2017)

Giorgio Muratore (1946-2017)
Una figura singolare che ha saputo imporre il proprio pensiero, discostandosi dalle correnti. Architetto, scrittore e professore, negli anni recenti ha fatto sentire la sua voce attraverso le pagine del blog Archiwatch

Ragionare oggi su ciò che la scomparsa di Giorgio Muratore ci ha lasciato in eredità non è semplice. Certo, si possono mettere in fila gli articoli, i libri pubblicati, i quotidiani con cui ha collaborato e le università dove ha insegnato. Ma anche così non avremmo che un ritratto ancora troppo povero per raccontare invece una figura così singolare.

La sua originalità non risiedeva tanto nelle idee, quanto piuttosto in un’integrità e onestà intellettuale così rara da renderlo rispettato e considerato anche dai suoi più convinti detrattori. Quella stessa libertà alla quale, del resto, non ha mai rinunciato e per cui probabilmente ha sacrificato riconoscimenti maggiori che sarebbero tuttavia estranei al suo temperamento.

Si laureò con Bruno Zevi, col quale però il rapporto non poteva che essere conflittuale: erano troppo diversi i due, quasi antitetici si potrebbe dire. Collaborò poi con Ludovico Quaroni prima di approdare alla redazione di “Casabella” negli anni della direzione di Thomas Maldonado.

Ancora più importante, per certi versi, fu poi l’esperienza nella redazione di “Controspazio”, rivista fondata nel 1969 da Paolo Portoghesi, al quale si deve il nome di morettiano rimando, che si affermerà per tutto il decennio successivo come il vero epicentro della discussione architettonica italiana. Condivise quelle pagine con altre prestigiose firme come quelle di Ezio Bonfanti, Renato Nicolini, Alessandro Anselmi ed altri.

Se l’attività critica fu importante, a dir poco fondamentale fu quella di storico. Studioso rigoroso e mai banale firmò diversi testi di grandissimo interesse come ad esempio La Città Rinascimentale, Tipi e Modelli Attraverso i Trattati, Cantieri Romani del Novecento, Sabaudia 1934 e soprattutto Italia, Gli Ultimi Trent’Anni, Guida all’Architettura Moderna; un vero e proprio atlante col quale compì un mastodontico censimento degli edifici più recenti costruiti in tutto il Paese.

Fu inoltre tra i primi a riscoprire alcune pagine della nostra storia architettonica colpevolmente dimenticate dalla storiografia ufficiale. Se infatti oggi si è tornati, ad esempio, a guardare con attenzione l’architettura del Ventennio lo si deve in gran parte grazie al suo lavoro, capace di coglierne il valore in un’epoca in cui questo tema – oggi ritenuto cruciale – era soggetto alla damnatio zeviana.

Negli anni in cui ha vissuto, furono molti gli interventi di natura politica che tentarono di cancellare la maggior parte degli emblemi di quel periodo storico, non ultimo quello voluto dall’amministrazione Veltroni a Piazza Augusto Imperatore a Roma, dove le decorazioni littorie degli edifici che cingono la piazza furono asportate per non far sfigurare l’intervento di Richard Meier per l’Ara Pacis. Per Muratore era semplicemente assurdo tentare di dimenticare la Storia (per quanto drammatica, con la “S” maiuscola) in nome di una globalizzazione che cerca di appiattire ogni cosa su un velo di patinata piacevolezza.

La vicenda dell’Ara Pacis è esemplare per capire il suo temperamento, e il prezzo che Muratore ha dovuto pagare per questa sua infinita fedeltà a sé stesso. Voluta dall’allora sindaco Francesco Rutelli, il museo dell’Ara Pacis di Meier sarebbe dovuto essere il baluardo di un nuovo rinascimento architettonico romano, parte di un progetto ambizioso che nelle intenzioni avrebbe dovuto proiettare la Capitale verso una dimensione finalmente europea. Ma la realizzazione di questo progetto chiedeva un sacrificio, quello della famosa teca di Vittorio Morpurgo del 1938, dove l’Ara Pacis era custodita. Il violento dibattito acceso da Muratore fu subito politicizzato, facendo intendere che l’ardore dello storico romano nascesse da un poco chiaro sentimento rossobruno. La difesa di quell’architettura prima, e delle decorazioni littorie poi, fu utilizzata sia al livello accademico che mediatico come capro espiatorio dei peccati di una classe dirigente intesa ad utilizzare l’architettura come arma di consenso.

Ma chi lo ha conosciuto sa che, semplicemente, l’ideologia non è mai stata un fattore capace di limitare la sua infinita curiosità verso opere e progettisti lontani dalla ribalta. Figure come quella di Calderini, Sacconi, Milani, De Vico o Brasini, solo per citarne alcuni, lo appassionarono profondamente. Che dire poi di argomenti come Sabaudia o il cosiddetto Barocchetto romano che Muratore riscoprì insieme ad altri quando il resto della comunità architettonica ne sottovalutava l’importanza, preferendovi il clamore delle cosiddette archistar che iniziavano ad affermarsi.

Parallelamente all’attività teorica non si può poi scordare quella militante. Si è battuto – spesso solitario – non solo a difesa di Piazza Augusto Imperatore, ma anche di alcuni luoghi in pericolo: dalla terrazza del Pincio alla Casa del Passeggero, passando dalla Centrale Montemartini – oggi straordinario museo celebrato anche dal “New York Times” – fino ad arrivare alla recente battaglia per il salvataggio delle tribune di Julio Lafuente a Tor di Valle combattuta fino all’ultimo giorno.

A ben guardare negli ultimi quindici anni il suo pensiero spesso scomodo e mai ipocrita lo ha portato ad un prevedibile “confino intellettuale” che gli ha precluso quasi ogni opportunità di espressione. Fu a questo punto che  vide la luce Archiwatch, il suo blog, nato in un’epoca in cui gli odierni social network erano ancora di lì a venire, divenuto ben presto lo strumento attraverso il quale faceva sentire la sua voce. Il tutto naturalmente attraverso il suo stile caustico e ironico in cui la battuta in romanesco era sempre preferita alla prosa accademica e dove i puntini di sospensione nascondevano ogni volta una qualche allusione che solo i più smaliziati sapevano cogliere.

In un’epoca di pavidi e opportunisti, la scomparsa della sua voce è una perdita che va oltre la sua opera di attivista, critico e storico.

Autore

  • Andrea Bentivegna e Emmanuele J. Pilia

    Andrea Bentivegna, laureato in Architettura, si occupa di ricerca storica e tiene una rubrica mensile su "La Voce" di New York. Ha inoltre collaborato con il quotidiano Viterbo News24 e i magazine Polinice, Punkt e Famo. Ha fondato e cura il sito Il Contrafforte sul quale raconta le vicende architettoniche e non solo di diverse città del mondo da Roma a New York, passando per Los Angeles. Formato nella facoltà di Architettura di Roma Valle Giulia, Emmanuele J. Pilia è da sempre interessato al situazionismo ed alla sfida neoutopista del transumanesimo. Nel 2003 apre il suo primo blog di architettura. Ha scritto articoli per riviste e magazine di architettura, filosofia e bioetica. Nel 2012 è tra i fondatori della casa editrice D Editore, nella quale ricopre il ruolo di direttore editoriale. Dal 2016 è direttore esecutivo dell’AIT, associazione transumanista per i diritti biologici.

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Last modified: 19 Marzo 2017