Con l’intervista all’On. Chiara Braga, relatrice del DDL “Contenimento del consumo del suolo”, si chiude il ciclo di approfondimenti sulla proposta di legge
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Laureata in pianificazione territoriale, urbanistica ed ambientale al Politecnico di Milano, Chiara Braga, 37 anni, è deputata del Partito Democratico alla seconda legislatura. Ha iniziato la carriera politica come vicesindaco e assessore all’Urbanistica del Comune di Bregnano (provincia di Como) dal 2004 al 2009 e di consigliere provinciale della Provincia di Como dal 2007 al 2012. Dal 2003 al 2008 ha lavorato come tecnico urbanista presso il Comune di Lomazzo (Como).
Dal 2013 è componente – come responsabile nazionale ambiente ed energia – della segreteria nazionale del PD. È componente della Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati e si occupa in particolare di temi ambientali, della lotta contro il dissesto idrogeologico, della green economy, dell’economia circolare e dell’acqua. Nel dicembre 2015 ha fatto parte della delegazione del Parlamento Italiano alla COP21 di Parigi. Con lei, in qualità di relatrice della proposta di legge governativa in discussione al Senato, chiudiamo il cerchio sui contributi inerenti al consumo di suolo.
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Onorevole, iniziamo dalle prospettive. Le turbolenze della legislatura hanno modificato i calendari parlamentari. Quali sono le possibilità che il DDL “Contenimento del consumo del suolo” – approvato dalla Camera, fermo al Senato dal maggio scorso – possa diventare legge?
Attualmente l’esame è in corso presso le commissioni Ambiente e Agricoltura del Senato che stanno svolgendo una serie di audizioni. Sappiamo che le condizioni di operatività del Senato sono più complesse. Tuttavia credo che si possa fare un buon lavoro e tentare con serietà di completare l’esame del provvedimento nei prossimi mesi.
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Il testo in discussione è il frutto di anni di dibattito culturale e di tentativi politici di arrivare ad una nuova normativa capace di contrastare il fenomeno. Quali sono i pilastri?
Se il tema del consumo di suolo, del riuso del suolo edificato e della valorizzazione delle aree agricole è giunto all’attenzione del legislatore nazionale è anche grazie alla spinta determinata da una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica, dall’apporto del mondo accademico, scientifico e delle professioni lungo questi anni di dibattito nel paese. Il testo di legge su cui abbiamo lavorato tiene conto degli aspetti quantitativi ma anche qualitativi del consumo di suolo, a partire da una definizione che vuole rendere conto della pluralità di funzioni che gli sono attribuite. Non orientata esclusivamente alla sua valorizzazione a fini edificatori ma che riconosce pienamente il valore ecologico e sociale, prima ancora che economico, di una risorsa limitata e non riproducibile. Il testo licenziato dalla Camera si è posto l’obiettivo di determinare e fissare dei limiti quantitativi al consumo di nuovo suolo agricolo, coerentemente con gli obiettivi europei, traendo ispirazione anche dalla legislazione di altri paesi. Insieme a questa precisa finalità, la legge si basa su un secondo pilastro fondamentale: spingere l’acceleratore sui processi di riuso del suolo edificato o comunque già “consumato”.
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Qualcuno definisce il testo come un compromesso al ribasso.
Questa legge ha avuto un iter lungo ed accidentato anche alla Camera. Il testo licenziato è stato profondamente modificato e arricchito nel corso dell’esame in Commissione e in aula. Come sempre avviene nel dibattito parlamentare il disegno di legge trasmesso al Senato ha cercato di tener conto di punti di vista diversi, mediando anche tra spinte contrapposte. Da relatrice del provvedimento ho sempre affermato che il nostro obiettivo non era fare una “legge manifesto” ma una legge che si misurasse con la realtà, con le dinamiche reali del consumo di suolo, con le trasformazioni profonde del mercato delle costruzioni, con le esigenze rinnovate dell’abitare, del produrre, dei flussi di movimento sul territorio. Io credo che sia più utile avere una legge che accompagna processi di progressiva riduzione del consumo di suolo e renda più semplice e conveniente recuperare quello che già c’è, piuttosto che accontentarsi di affermazioni di principio che però non producono alcun effetto sulla realtà.
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La gestione di questa normativa sarà delegata alle amministrazioni comunali. Saranno in grado, soprattutto quelle piccole, di gestire dinamiche e processi?
Nella sua struttura, piuttosto articolata e complessa, la legge tiene ovviamente conto del quadro di competenze. Il mancato compimento della riforma del Titolo V pone la necessità di un approfondimento ulteriore su questo punto. La legge non ha comunque un impianto verticistico, poiché prevede in tutti i passaggi il coinvolgimento delle Regioni e riconosce ai Comuni la titolarità delle scelte di trasformazione del territorio, nel rispetto degli obiettivi di riduzione stabiliti. È chiaro che questo presuppone un’assunzione forte di responsabilità da parte delle amministrazioni locali; avere una legge nazionale che definisce una cornice omogenea su questi temi tuttavia rafforza la possibilità di perseguire obiettivi virtuosi.
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La legge sembra lasciare spazio agli interventi infrastrutturali ritenuti strategici.
Sappiamo che una parte significativa del consumo di suolo è determinata dalla realizzazione di infrastrutture, non tutte strategiche. Il disegno di legge stabilisce anche per queste infrastrutture, qualora non ancora inserite negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici, l’obbligo di valutazione delle alternative di localizzazione che non comportino consumo di suolo.
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Alla luce di quanto contenuto nel DDL, è ipotizzabile, nel medio termine, l’obiettivo del consumo zero?
Il quadro di riferimento europeo rimane quello a cui questa legge si ispira – consumo di suolo tendente a zero nel 2050 – anche auspicando una ripresa di iniziativa a livello europeo per una nuova direttiva sui suoli.
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In un certo senso semplice, almeno a livello teorico, è l’obiettivo di contrastare l’artificializzazione di suolo libero. Più complesso il recupero naturale di zone compromesse e abbandonate. La nuova legge mette in campo strumenti per rendere possibili queste trasformazioni?
La legge cerca di far fare un passo in avanti sul fronte del riuso del patrimonio edilizio esistente. La sfida è quella di passare dalle numerose misure settoriali già esistenti ad una visione più ampia, che interessi non il singolo edificio ma parti di città da rigenerare. L’articolo 4 della proposta di legge prevede l’obbligo della redazione del censimento degli edifici e delle aree dismesse, non utilizzate o abbandonate esistenti, quale presupposto necessario e vincolante per l’eventuale pianificazione di nuovo consumo di suolo. L’articolo 5 reca una delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi, volti alla semplificazione delle procedure per gli interventi di rigenerazione delle aree degradate. L’articolo 8 differenzia gli oneri e la componente del costo di costruzione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, creando un regime di favore rispetto alle nuove costruzioni: seppur non quanto avremmo desiderato, questa legge introduce il principio fondamentale secondo cui recuperare quello che già c’è deve risultare più semplice e più conveniente che non occupare nuovo suolo libero ai fini edificatori.
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E’ sufficiente difendere il suolo agricolo, impedendo la sua occupazione, per rendere questi territori produttivi e quindi, nel medio e lungo termine, non soggetti ad appetiti edificatori?
Assolutamente no, non è sufficiente di per sé. Ma è significativo che dal 1971 al 2010 l’Italia ha perso il 28% della sua superficie agricola (una superficie equivalente a quella di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna). Una tendenza inversa rispetto all’andamento demografico; la continua perdita di terreno agricolo porta l’Italia a dipendere sempre più dall’estero per l’approvvigionamento di risorse alimentari. Molte variabili incidono sulla perdita di superfici agricole e possono essere ricondotte a due macro fenomeni: l’abbandono dei terreni e la cementificazione. Esiste una competizione reale nel nostro paese tra uso agricolo e occupazione dei terreni a fini edificatori; questa legge pone dei limiti quantitativi e obbliga ad una valutazione più attenta e consapevole delle scelte di trasformazione del suolo.
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La relatrice del DDL è un’urbanista che proviene dalla Lombardia, una delle regioni che ha pagato il prezzo più alto allo sprawling urbano. Come hanno influenzato il lavoro, la provenienza geografica e le esperienze personali?
Certamente la mia formazione professionale e le esperienze maturate negli anni scorsi in ambito amministrativo in Lombardia mi hanno fornito elementi di conoscenza utili per lavorare a questo progetto di legge. Naturalmente però il lavoro, non semplice, che è stato fatto in questa legislatura si è confrontato con la complessità del quadro italiano, caratterizzato da situazioni molto diversificate tra i diversi contesti regionali.
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consumo di suolo
Last modified: 6 Marzo 2017
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